Alla fine di gennaio di quest’anno si è conclusa la stagione venatoria 2015/2016. Bilancio: 17 (diciassette) morti e 67 (sessantasette) feriti da armi da caccia. L’ultima tragedia nel padovano: un ragazzo di quindici anni ha perso la vita al termine di una impresa venatoria. Allora – tra le prevedibili proteste dell’Arci-caccia e di similari organismi – sarebbe o no il caso di riaprire una riflessione, la solita riflessione, sull’esercizio dell’attività venatoria, sugli accorgimenti per verificare l’idoneità psicofisica dei cacciatori (quanti hanno anche 75 anni?) e per impedire ai più giovani l’uso delle armi, per bloccare il bracconaggio, e infine per rivedere le norme che consentono ai cacciatori, e solo a loro, di penetrare nelle proprietà altrui.
Ecco, cominciamo da qui, dal famigerato art. 842 del codice civile secondo cui
il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno.
A parte il consenso –forzato – all’intromissione dei cacciatori nei fondi, chi controlla che il fondo “sia chiuso nei modi..” ecc. ecc.? Evidentemente nessuno, dal momento che in stagione di caccia ci vorrebbero migliaia di guardie forestali a presidio dei fondi.
Ma c’è di più. Con la scusa della caccia, ecco il bracconaggio: per il Cabs (Committee against Bird Slaughter, associazione volontaria operante anche in Italia) il 78 per cento dei reati venatori sono commessi da persone munite di licenza di caccia o che l’hanno posseduta in passato. Così che nel nostro Paese fino a otto milioni di uccelli selvatici protetti cadono ogni anno vittime di trappole e fucili. In una ricerca presentata alla Conferenza internazionale sull’antibracconaggio nell’Europa mediterranea, svoltasi nel maggio 2015, la Lipu (Lega protezione uccelli) aveva dimostrato che le specie più “bracconate” risultano il fringuello, la pispola, il pettirosso, il frosone e lo storno. Preoccupante inoltre il dato sul bracconaggio ai danni di specie fortemente minacciate di estinzione: abbattuti ogni anno da 50 a 150 nibbi reali (il trenta per cento di quanti nidificano in Italia), da uno a cinque capovaccaio (venti per cento) da uno a cinque anatre marmorizzate, la metà di quante vivono, o sopravvivono.
In parlamento sono state presentate alcune interrogazioni su questi problemi solo apparentemente secondari, ponendo al ministro per le politiche agricole cinque questioni rilevanti. La prima: considerato il numero rilevante delle vittime delle battute di caccia, bisogna adottare tutte le iniziative necessarie per prevenire i rischi connessi all’uso delle armi da caccia, per garantire la sicurezza e l’incolumità dei cittadini.
La seconda è un corollario della prima: è necessario introdurre misure di accertamento di idoneità psicofisica all’uso delle armi nel caso in cui si sia oltrepassata una determinata soglia di età. La terza riguarda il bracconaggio: vista la decisione dello scioglimento del Corpo forestale dello stato, si è generata una situazione di quasi totale impossibilità di effettuare controlli in campo venatorio, oramai limitati alle guardie volontarie, a qualche polizia municipale e provinciale, e poco altro. Ancora: non è il caso di prendere in considerazione la possibilità di abrogare l’art. 842 del codice civile al fine di tutelare, insieme, il diritto alla proprietà privata e la sicurezza dei cittadini? E infine: visto l’evidente incremento dei reati contro gli animali, non si ritiene opportuno intervenire in maniera più stringente sul fenomeno del bracconaggio? La Lipu indica due aree particolarmente a rischio: quella dello Stretto di Messina e il Sulcis.
Già, ma non sono le uniche aree a rischio. Persino nell’isola d’Ischia il bracconaggio continua a essere particolarmente diffuso. Per intercettarlo, insieme con le azioni di repressione poste in essere da Wwf ed Enpa, scendono spesso in campo polizia di stato e carabinieri: monitoraggio del territorio, presidi nelle zone più battute dai cacciatori, interventi di recupero di rapaci “impallinati”: poiane, falchi pellegrini, ma anche gufi e aironi.
E nell’ambito di una vasta operazione posta in essere proprio insieme alle guardie Wwf, la polizia ha arrestato un uomo di 63 anni con l’accusa di detenzione di armi clandestine, ricettazione e possesso di trappole e dispositivi non consentiti per la cattura della fauna selvatica, compreso un richiamo acustico per quaglie. In particolare, l’uomo era in possesso di tre fucili, di cui uno con la matricola abrasa, uno privo di matricola e uno risultato, attraverso verifiche con i terminali del ministero dell’interno, di provenienza furtiva. All’interno di una gabbia, inoltre, il bracconiere deteneva un esemplare di fringuello, specie particolarmente protetta, ferito all’ala destra da un colpo di fucile. L’uomo è finito agli arresti domiciliari.
Ebbene, si tratta dell’unico arresto (poi annullato dal Gip) di cui quest’anno è stata data notizia…

Giorgio Frasca Polara

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