Ho qui davanti a me una copia ingiallita del The Statesman, il quotidiano di Calcutta (edizione di New Delhi), datato sabato quattro dicembre 1971. È uno dei pochi ricordi che ho portato con me dopo più di trent’anni vissuti in India.
Il titolo cubitale, a tutta pagina, del giornale è: IT’S WAR.
Nei sottotitoli si legge: Pak planes bomb many airports. Heavy Shelling of Border Posts. President Declares Emergency...
Nel dicembre del 1971, quando scoppiò la guerra tra l’India e il Pakistan da cui nacque il Bangladesh, vivevo nell’ostello della School of Planning and Architecture di New Delhi. Ricordo ancora il suono lugubre delle sirene che annunciavano il coprifuoco. Nell’ostello della scuola non c’era uno scantinato in cui potersi rifugiare.
Il mio vicino di stanza era un musulmano. Si chiamava Mohammad Shaheer. Eravamo molto amici. Ricordo che mentre ascoltava su una piccola radio a transistor la dichiarazione di guerra del presidente pakistano Shaheer piangeva.
Ho letto e ascoltato in questi giorni molti articoli e opinioni di giornalisti ed esperti italiani (di destra e di sinistra) sulla situazione in cui versa oggi il Bangladesh.
Da nessuna parte ho visto citare come causa prima di questa tragedia la “Partition“, la spartizione del subcontinete indiano operata dai colonialisti inglesi con la complicità delle élites hindu e musulmana dell’India.
Il Bengala, una terra ricchissima e con una raffinata cultura, venne spezzato in due. Da una parte il “West” Bengal (in India) e, dall’altra, il Pakistan “Orientale”, una mostruosità. Le industrie finirono in India, e le materie prime in Pakistan (Orientale). Per il Bengala fu l’inizio della fine.

Indira Gandhi
Il 17 dicembre 1971 vidi alla televisione in bianco e nero dell’ostello Indira Gandhi pronunciare nella Lok Sabha di New Delhi le famose parole: “Dhaka è adesso la libera capitale di una nazione libera”.

Il Pakistan firma la resa alle forze alleate dell’India e del Bangladesh 16 dicembre 1971.
Tutto il parlamento si alzò in piedi ad applaudire. In Aula, il capo dell’opposizione paragonò Indira Gandhi alla dea Durga, l’Invincibile. Era nato il Bangladesh.
India e Bangladesh avevano qualcosa in comune. L’inno nazionale indiano “Jana Gana Mana” era stato composto, parole e musica, da Rabindranath Tagore. Anche l’inno nazionale bangladeshi “Amar Sonar Bangla” (che significa “Il nostro Bengala dorato”) era stato composto da Rabindranath Tagore e fa riferimento a un Bengala “unito”.
Ascoltando la dichiarazione di guerra del 1971, il mio amico musulmano Mohammad Shaheer piangeva perché “sentiva” che era una guerra fratricida. Era il tragico lascito del colonialismo inglese, l’origine di tanti dei mali che affliggono oggi il subcontinente indiano.

Carlo Buldrini, allora inviato di Lotta Continua, intervista Indira Gandhi. New Dehli, 4 novembre 1981
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