
Renato Mambor, Colosseo e farfalla, 1966, smalto e acrilico su tela
Ma quante sono le Rome che non conosciamo? Quali sono, solo per fare un esempio, i segreti dell’arte romana del dopoguerra che, all’inizio degli anni ’60, sperimentò un lungo momento di splendore proprio quando la Dolce Vita faceva conoscere al mondo il triste disincanto della “città eterna” attraverso il dolce e malinconico sorriso di Marcello Mastroianni?
Via Veneto e le sue strade traverse, splendenti di “night” dove a sera si riversava la colorita fauna del jet set internazionale, conobbero un’improvvisa ed inattesa notorietà mondiale. Tra l’Hotel Flora e l’Hotel Excelsior, proprio accanto all’ambasciata americana, e di fronte al Café de Paris, paparazzi e divi del cinema giocavano ad un mondano “nascondino” e Walter Chiari assieme ad Ava Gardner o Anita Ekberg, assieme al suo amore di turno, finivano controvoglia (ma non troppo) sulla “prima” dei settimanali scandalistici.

Franco Angeli, Frammento di paesaggio romano (Non Half dollar), metà anni Sessanta
La Jeunesse dorée e la Meglio gioventù
Poco tempo prima (1958), grande scandalo aveva suscitato al ristorante Rugantino, in Trastevere, lo spogliarello improvvisato a beneficio della jeunesse dorée romana e di vari rampolli della cosiddetta “nobiltà nera” dalla ballerina turca Aichè Nanà, morta due anni fa, sola e dimenticata. Roma era la Hollywood sul Tevere, come recitava il titolo del celebre libro di Michelangelo Antonioni. Era la città bella ed annoiata dove “La sera andavamo a via Veneto“, come scrisse in un suo volume Eugenio Scalfari.
Ma ovviamente la grande bellezza di Roma non si esauriva lì. Anzi. L’arte era altrove, a Via Margutta, al Babuino e in piazza del Popolo dove una giovane generazione di pittori, poeti e letterati si riuniva al Caffè Rosati. Era la generazione di artisti come Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli…di Toti Scialoja, Giosetta Fioroni e del suo compagno Goffredo Parise, reduce dai trionfi de “Il prete bello” e prossimo a diventare inviato di guerra di razza in Indocina. Non era la jeunesse dorée, era un’altra gioventù. Era la meglio gioventù.
Tano Festa, Giulio Turcato, Pier Paolo Pasolini, Sandro Penna e un giovanissimo Dario Bellezza li incrociavi per strada anche di giorno…un’alba di rinnovata creatività pittorica subentrava alla Scuola romana di Mafai, Stradone, Scipione, Antonietta Raphael, mentre dal suo bell’attico sulla gradinata di Trinità dei Monti, il grande vecchio Giorgio de Chirico vedeva avanzare il nuovo e viveva solitario la sua maturità pensosa e scontrosa..

Mario Schifano
Il Macro dopo la Gnam. Capote e Gay Talese dopo Hemingway e Faulkner
Via Nizza, a Roma, collega il quartiere Trieste con Piazza Fiume. È una via tranquilla, parallela alla popolare via Alessandria e all’aristocratica via Savoia. Proprio all’inizio della strada, in una parte della ex Birreria Peroni (un complesso edilizio restaurato al meglio e vanto del quartiere) sorge il Macro, il Museo d’arte contemporanea di Roma che tante energie sta spendendo per far tornare Roma ai fasti di capitale culturale. Ma per capire l’ultima, bellissima mostra sulla Roma Pop degli anni ’60, (fino al 27 novembre al Macro) non si può prescindere da un tuffo nel mare dei sogni che fu la capitale di ormai oltre mezzo secolo fa. Non si può ignorare il ruolo di una Palma Bucarelli, leggendaria direttrice della Gnam, Galleria nazionale d’arte moderna, né le nuove idee che bussavano alle porte di Roma.

Giosetta Fioroni, Ragazza TV, 1967
Roma-New York. Andy Warhol e Roy Lichtenstein, gli amici americani
Da oltreoceano giungevano i nomi di Andy Warhol e Roy Lichtenstein che conobbero e apprezzarono Mario Schifano, il pittore maledetto, come si cominciò a sussurrare per la sua dipendenza dalla droga. Dipendenza che negli ultimi anni lo costrinse a firmare, come suoi, quadri falsi per ottenere la liquidità necessaria per saldare i conti con i pusher, gli spacciatori che lo tenevano in mano. Altri nomi giungevano dagli Stati Uniti. Finita la “sbornia” per Faulkner, Hemingway e Steinbeck, fortemente alimentata da Fernanda Pivano e Cesare Pavese, l’eco di nomi “esplosivi” come quelli di Truman Capote e Gay Talese giunse a Roma mandando in frantumi le conservatrici certezze della nostra critica letteraria.

Mimmo Rotella, Sua Maestà la Regina, 1962, decollage su tela
Nel moderno edificio del Macro si entra dunque per respirare le atmosfere della Roma che fu, nell’incanto delle tele di Schifano e Tano Festa, nell’onirica interpretazione di una città che sembra, oggi, non riconoscere più se stessa.

Mario Gazzeri