Uomini, pomodori e caporali

PAOLO ANDRUCCIOLI
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Arriva il primo passo importante per ottenere, in Italia, una legge che contrasti duramente il caporalato. Ieri (1 agosto) con 190 voti favorevoli, nessun contrario e 32 astenuti, l’aula del Senato ha approvato il disegno di legge di conversione del decreto per il contrasto al fenomeno nel mondo del lavoro. Il ddl passa ora alla Camera.

È una giornata importante per la lotta ad un fenomeno vergognoso”, questo il primo commento della Flai Cgil. “Oggi [ieri] l’Aula del Senato, approvando il ddl 2217 contro il caporalato, ha compiuto un grande passo per dare giustizia ai tanti lavoratori e lavoratrici, che in agricoltura, sono costretti a subire sfruttamento, ricatti, salari di 3 euro l’ora, giornate di lavoro che possono arrivare anche a 12/13 ore, situazioni alloggiative precarie, assenza di servizi. Il provvedimento votato oggi dal Senato è anche il frutto di battaglie che il sindacato ha portato avanti con tenacia ed insistenza nel corso degli anni, insieme a lavoratori che si sono ribellati, che hanno denunciato e alzato la testa pur tra difficoltà e ricatti”. Lo dichiara il segretario generale, Ivana Galli.

L’organizzazione quindi prosegue: “È una giornata importante per contrastare il fenomeno del caporalato, dell’intermediazione illecita, gli interessi di chi vuole speculare sul lavoro, calpestando diritti e dignità e rendendo la schiavitù qualcosa non di antico e dimenticato ma una realtà viva e moderna. Ad un anno dalle morti sui campi e nelle serre, avvenute la scorsa estate, la politica si unisce al sindacato per una battaglia di civiltà che restituisce giustizia e dignità ai lavoratori agricoli, italiani e stranieri, troppo tempo considerati degli invisibili. Ora dobbiamo andare avanti, auspicando che la Camera proceda velocemente affinché il ddl 2217 diventi legge prima che si concludano le campagne di raccolta del 2016”. [rassegna.it]

In Italia ci sono ancora i caporali. Non quelli di Totò, ma quelli che fanno da intermediari tra lavoratori e imprese per collocare persone in modo illegale, soprattutto nel lavoro in agricoltura, ma anche in altri settori (l’edilizia per esempio). Dagli ultimi rapporti – di cui parleremo tra poco – spicca sulle altre una cifra: in Italia ci sono 100.000 lavoratori in condizioni di paraschiavismo, mentre altri 40.000 sono a rischio di sfruttamento. Più delle metà dei lavoratori reclutati dai caporali per lavorare nei campi o nei cantieri non ha accesso ai servizi igienici: il 64 per cento di loro non ha acqua corrente nei locali in cui viene “ospitato”. Il 72 per cento delle malattie di queste persone sono legate direttamente o indirettamente alle diverse forme di sfruttamento del lavoro.

Da cinque anni praticare il “caporalato” in Italia è un reato. Ora il Parlamento è alle prese con un testo legislativo che estende lo stesso reato anche alle imprese. Non si può infatti più ammettere l’ignoranza o peggio la connivenza. Il caporale commette un reato quando colloca illegalmente la manodopera. Ma dove lavorano poi tutte queste persone? Chi le assume? Possibile che i datori di lavoro siano tutti ciechi e sordi? Il dibattito ora è proprio su questo punto (il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso ha messo in relazione i reati di caporalato con quelli di estorsione).

Il caporale percepisce infatti una tangente perché permette alle imprese che sono consenzienti di assumere (quasi sempre alla giornata) lavoratori senza diritti: nessun rispetto delle tariffe contrattuali sui minimi salariali, niente permessi per ferie o malattia, niente assicurazione sugli incidenti. Oltre ai soldi che riceve dalle aziende, il caporale ha anche un’altra serie di entrate, una delle quali riguarda il pagamento dei “servizi” (si fa per dire) offerti ai lavoratori che sono disgraziatamente caduti nella rete: pagamento sui trasporti, pagamento di affitti completamente fuori regola di abitazioni che spesso sono più vicine a stalle e porcili che ad alloggi umani.

Quello del caporalato non è neppure un fenomeno nuovo. Nell’epoca contemporanea se ne parla almeno da una ventina di anni, anche se c’era stata una “preistoria” subito dopo la Seconda Guerra mondiale. Ma oggi torna alla ribalta delle cronache nazionali sia per alcuni casi singoli, sia per la battaglia pubblica che stanno conducendo i sindacati dell’agroindustria e i sindacati confederali. La novità riguarda anche il fatto che i caporali contemporanei reclutano in modo trasversale tra manodopera straniera e manodopera italiana sovrapponendo così varie forme di illegalità: dallo sfruttamento del lavoro all’immigrazione clandestina.

Storicamente il caporalato in Italia riguardava le fasce più povere della forza lavoro nazionale, a partire dai primi braccianti organizzati da Giuseppe Di Vittorio, il fondatore della Cgil, negli anni del Dopoguerra. Ora non si guarda più in faccia a nessuno: caporalato e nuove forme di schiavismo (denunciate da qualche anno anche da alcuni magistrati d’assalto) sono trasversali. In ogni caso sui quotidiani e le riviste italiane si parla del caporalato collegandolo quasi sempre ai ritardi atavici del Sud. Caporalato e questione Meridionale come un tutt’uno. Ma anche questa è una semplificazione perché in realtà forme diversificate di sfruttamento illegale dei lavoratori si registrano in varie regioni: oltre quelle meridionali, si parla anche di Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana.

Nel Terzo Rapporto del centro Placido Rizzotto e della Flai, il sindacato dell’agroindustria della Cgil, nella parte riguardante, “Le infiltrazioni mafiose nella filiera agroalimentare e nella gestione del mercato del lavoro”, si approfondiscono i principali fenomeni di illegalità che caratterizzano il settore, ovvero il fenomeno delle Agromafie e dell’infiltrazione ma fiosa e criminale nella gestione del mercato del lavoro attraverso la pratica del Caporalato, due business che insieme muovono un’economia illegale e sommersa tra i 14 e i 17,5 miliardi di euro in Italia. In merito al primo tema si registra, riportando dati e d informazioni rilevabili dall’azione giudiziaria e delle inchieste della magistratura, una crescita dell’attenzione delle Istituzioni nell’azione di contrasto all’infiltrazione mafiosa.

Si riportano inchieste che riguardano settori strategici per la nostra economia; dall’import -export oltreoceano dei nostri prodotti agroalimentari, alla contraffazione di prodotti (quella agroalimentare costituisce il sedici per cento del totale con un business da un miliardo di Euro) quali il pane, il vino, la macellazione e la pesca, solo per citare i settori più esposti. Di particolare interesse delle mafie resta il settore della logistica, del commercio all’ingrosso e al dettaglio, dei mercati ortofrutticoli e dei diversi passaggi che caratterizzano la filiera. Da nord a sud si rilevano fenomeni di sofisticazione legati all’Italian sounding , così come il nuovo intreccio tra agromafie e energie rinnovabili.

051a22dde3b372e5c058fbc303756df4_XL.jpgUna spia dell’interesse delle mafie rispetto al settore agricolo è testimoniata dal fatto che quasi il cinquanta per cento dei beni sequestrati o confiscati alle organizzazioni criminali sono proprio terreni agricoli (30.526 su 68.194). Avanza poi in tempi di crisi, quella che è stata definita la mafia imprenditrice, ovvero il riciclaggio dei proventi dalle attività illecite reinvestite nell’economia legale e nelle aziende agroalimentari in difficoltà che fanno fatica ad accedere al credito legale.

È ovvio quindi che la gestione del mercato del lavoro costituisca un terreno di conquista per la criminalità mafiosa. In alcuni casi lo sfruttamento in agricoltura – si legge nel Terzo Rapporto – viaggia di pari passo con il fenomeno della tratta degli esseri umani. Dalle rilevazioni contenute nel rapporto emergono circa ottanta distretti agricoli (indistintamente da nord a sud) nel quale è possibile registrare grave sfruttamento e caporalato, seppur con diversi livelli di intensità.

La trasversalità del lavoro (si fa per dire) dei caporali si capisce anche dal profilo delle vittime. I soggetti colpiti sono infatti italiani e stranieri, circa 430.000 unità, dunque circa 30/50.000 in più rispetto a quanto stimato nel rapporto precedente, con più di 100.000 lavoratori in condizione di grave sfruttamento e vulnerabilità alloggiativa. Seppur il caporalato vive una trasformazione in linea con la metamorfosi del mercato del lavoro sempre più flessibile e precario, le pratiche di sfruttamento dei caporali nei confronti dei lavorati rimangono più o meno le stesse: mancata applicazione dei contratti, un salario tra i 22 e i 30 euro al giorno, inferiore del 50% di quanto previsto dai CCNL e CPL, orari tra le otto e le dodici ore di lavoro, lavoro a cottimo (esplicitamente escluso dalle norme di settore), fino ad alcune pratiche criminali quali la violenza, il ricatto, la sottrazione dei documenti, l’imposizione di un alloggio e forniture di beni di prima necessità, oltre all’imposizione del trasporto effettuato dai caporali stessi. Ne emerge un quadro di forte vulnerabilità dei soggetti che andrebbe contrastato con maggiore incisività.

Nel rapporto sono riportati anche alcuni dati sulle ispezioni, cresciute del 59 per cento nell’ultimo anno, ma con esiti inquietanti: più del 56 per cento dei lavoratori trovati nelle aziende agricole sono parzialmente o totalmente irregolari, con 713 fenomeni di caporalato registrati dalle autorità ispettive Ne emerge un quadro di forte vulnerabilità dei soggetti che andrebbe contrastato con maggiore incisività. I sindacati confederali italiani, Cgil, Cisl, Uil rilanciano dunque l’allarme ponendo in particolare l’attenzione sulla normativa corrente – e su quelle emanate di recente dal Governo italiano – con l’obiettivo di contrastare gli abusi e le forme di grave sfruttamento lavorativo da un lato e le modalità e procedure di protezione sociale delle vittime che ne rimangono coinvolte dall’altra. Oltre al d.lgs n.109/2012 i cui intenti sono largamente disattesi (che recepisce la direttiva n.52/99 dell’UE sul regime di protezione delle vittime di grave sfruttamento) il Governo ha recentemente redatto un disegno di legge (Ddl 2217) per disciplinare le forme di contrasto anticaporalato ed inasprire le pene dei reati che vengono commessi nel reclutamento di manodopera straniera da occupare nel settore agricolo.

Ma manca ancora un tassello fondamentale. A fianco di misure innovative – come la possibilità di sequestrare beni e strumenti di produzione in caso di impiego di manodopera straniera da sottoporre a pratiche di sfruttamento non si è voluto introdurre il principio della piena corresponsabilità penale tra il caporale e l’imprenditore che lo ingaggia per reclutare manodopera da occupare nella sua impresa. Infatti, tra l’imprenditore e il caporale vige un rapporto stretto, poiché il secondo senza il primo non svolgerebbe nessun recluta mento di manodopera. Il ddl poi è ancora in fase di discussione nei due rami del parlamento, mentre invece il contesto di grave allarme sociale avrebbe forse dovuto suggerire l’adozione della decretazione d’urgenza per arrivare alla prossima stagione di ra ccolta estiva con maggiori strumenti di contrasto al caporalato e allo sfruttamento.

Si va dunque verso una nuova legge, ma ancora a piccoli passi. Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil hanno espresso di recente la loro soddisfazione per il definitivo e unanime via libera della Commissione Agricoltura del Senato al ddl 2217 contro il caporalato. Il testo ora passa all’esame dell’Assemblea di Palazzo Madama. “Dopo l’approvazione della Bilancio – hanno scritto Luigi Sbarra, Ivana Galli e Stefano Mantegazza, rispettivamente Segretari Generali di Fai, Flai e Uila – è arrivato il definitivo disco verde che condurrà il ddl ai lavori d’Aula del Senato. Una buona notizia, che risponde alla mobilitazione unitaria del sindacato di categoria, che dopo la manifestazione di Bari del 25 giugno e il presidio a Roma del 19 luglio, ci ha portato ieri a scrivere ai capi gruppo in Senato per richiedere una risposta celere e coesa da parte della politica e delle istituzioni”.

“Piena soddisfazione, dunque, anche per il segnale di coesione e compattezza politica implicita nell’approvazione unanime da parte di tutti i soggetti politici, unica eccezione la Lega che ha disertato il voto. Risultato che allarga le basi del consenso e lascia ben sperare in un iter veloce e senza tentennamenti. L’auspicio ora è che il percorso non s’interrompa, né rallenti, ma che anzi acceleri scegliendo per esso una corsia preferenziale che, nella discussione alla Camera, porti, in tempi brevi, alla sua l’approvazione definitiva. Si tratta di un provvedimento atteso da un anno e indispensabile per estendere gli strumenti penali e rafforzare la partecipazione delle parti sociali nelle strategie di contrasto”. L’augurio di tutti è che si faccia presto. E che la coppia storica caporale-imprenditore venga finalmente ricongiunta.

ALCUNI CASI DI CRONACA

Ottobre 2013: 130 bengalesi ingannati per un lavoro a Carmagnola (Piemonte).

Ottobre 2013: Nardò (Puglia) La testimonianza di alcuni braccianti che fa mettere alla sbarra caporali e imprenditori per associazione a delinquere, riduzione in schiavitù, estorsione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e della permanenza in stato di irregolarità sul territorio nazionale, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Dicembre 2013: Dominic Man Addiah muore di freddo a Rosarno nel periodo della raccolta delle arance.

Marzo 2014: Nel foggiano circa sessanta cittadini bulgari e romeni, tra cui una decina di bambini vengono pagati 15 euro al giorno per più di 12 ore di lavoro in condizioni di lavoro terribili. Raggiungevano i campi su carri bestiame.

Novembre 2014: 12 italiani nel dormitorio-lager di Varese per andare a lavorare in Svizzera.

Marzo 2015: Romeni sfruttati a Paternò (Sicilia) costretti a ritmi di lavoro massacranti e condizioni igienico-sanitarie disastrose.

Giugno 2015: Cooperative di ‘caporalato’ nelle vigne di Langa (Piemonte) dove vengono trovati

macedoni “schiavi”, pagati tre euro all’ora per dieci ore di lavoro al giorno, senza sosta anche nelle ore più calde, rimpatriati in caso di svenimento.

Luglio 2015: Un sudanese di 47 anni muore per un colpo di calore sotto l’afa mentre raccoglieva pomodori nei campi di Nardò (Puglia). Mohamed viveva da schiavo.

Agosto 2015: Paola, bracciante di 49 anni di San Giorgio Jonico (Puglia) muore sotto il sole stroncata dalla fatica mentre raccoglie l’uva. Morta nei campi per due euro l’ora.

Per approfondire:

1) Terzo Rapporto su Agromafie e caporalato. A cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto e della Flai Cgil (vedi sito www.flai.it).  I primi due Rapporti sono stati pubblicati nel 2015 e nel 2014

2) Alessandro Leogrande. Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi delle campagne del Sud. Mondadori, 2008. Nuova edizione Feltrinelli, 2016

3) Intervista a Susanna Camusso, segretario generale Cgil. Radio Articolo 1: “Reato di estorsione”. http://www.radioarticolo1.it/

4) Domenico Perrotta, Vecchi e nuovi mediatori. Storia, geografia ed etnografia del caporalato in agricoltura. Dello stesso autore sulla rivista Il Mulino: Il caso italiano. Ben oltre lo sfruttamento: lavorare da migranti in agricoltura (2014)

5) Pietro Alò. Il caporalato nella tarda modernità. La trasformazione del lavoro da diritto sociale a merce (Wip Edizioni) . 2010

6) Anna Maria Garrapa (edizioni Uscher). Braccianti just in time. Raccoglitori stagionali a Rosarno e Valencia, 2016

7) Enrica Simonetti. Morire come schiavi. La storia di Paola Clemente nell’inferno del caporalato, Editore Imprimatur, 2016

Documentari

Cesare Fragnelli. L’oro rosso, 2007

Pietro Alò. La follia degli onesti, 2012

Andrea Segre. Il sangue verde, 2010

paolus andr

giornalista, Radio Articolo

@pandrucc

articolo aggiornato il 2 agosto 2016, h. 15.30

Uomini, pomodori e caporali ultima modifica: 2016-07-27T18:54:27+02:00 da PAOLO ANDRUCCIOLI
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