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…Pochi destri ti han dato
di vittoria quel fiore
erano pugni azzurri
che partivano dal cuore.Si combatte soffrendo
per dovere e per donare
il meglio di se stessi
alle cose più care…
Fa un certo effetto sentirlo recitare a memoria, con gli occhi un po’ umidi, questa poesia che Angela Fabbri gli ha dedicato ben 56 anni fa.
Per lui è uno dei ricordi più belli di quell’estate romana indimenticabile: la bellezza della Capitale, l’amicizia con gli atleti provenienti da tutto il mondo, l’incontenibile entusiasmo della gente, la medaglia olimpica più preziosa nella categoria di pugilato più prestigiosa.
E appunto questa poesia, che Francesco Franco De Piccoli, ha incorniciato e appeso tra i ricordi più belli della sua prestigiosa, ed insieme incompiuta, carriera.

foto Umberto Zane
“In fondo – ci dice sorridendo – è stato meglio così. Se a 79 anni conservo una buona memoria e sono ancora in salute è anche perchè ho deciso di smettere con il pugilato al momento giusto, quando i pugni cominciavano a farmi davvero male. Quello a cui aspiravo l’avevo raggiunto: la medaglia olimpica, una bella carriera tra i professionisti con 37 vittorie in 41 incontri, un po’ di denaro racimolato per avviare un’attività e coronare il sogno di una vita: quello di poter dare una casa alla mia famiglia. Noi la nostra l’avevamo perso, per uno sfratto, in pochi giorni: eravamo andati a vivere in quello che in Inghilterra chiamano cottage, ma che qui da noi è un casone, la caratteristica abitazione della campagna e della laguna veneta con pavimento in terra battuta e tetto di canne.
Abitavamo poco distante da qua, vicino alla barena di Campalto, proprio di faccia a Venezia. Non eravamo certo ricchi: mio padre era un operaio che lavorava in una fonderia (dove purtroppo si è irrimediabilmente rovinato i polmoni) e poi alla Montevecchio Monteponie.
Mia mamma, invece, era una donna del latte: ogni mattina portava appunto il latte, in barca, a Venezia. Era una donna molto forte. Quando a tre anni mi diagnosticarono un fibroma alla nuca, dandomi già per spacciato, fu lei che quasi costrinse i medici a tentare ugualmente l’operazione, salvandomi la vita.”
- foto Umberto Zane
- foto Umberto Zane
- foto Umberto Zane
De Piccoli cresce in fretta, nell’immediato dopoguerra, in questa fetta della periferia di Mestre quasi sospesa tra terra e acqua. Gli piace il calcio, e gioca anche qualche partita con i pulcini della Mestrina, poi si dedica alla bici.
“Un giorno però – racconta – ebbi un incidente: mentre mi allenavo fui urtato da un’auto e finii nel fosso. Tornai a casa malconcio: all’indomani mia madre vendette la bici.”
Francesco, che nel frattempo prende il posto del padre malato, alla Montevecchio, si dedica così al ballo, frequentando, il sabato, un locale di Spinea, il “Bagiggi”.
Ed è qui che avviene uno degli incontri più importanti della sua vita: non con una donna, ma col proprietario, Emilio, che organizza anche incontri di pugilato.
Quando questi lo vede ballare il rock&roll con una leggerezza impensabile per una stazza ormai imponente, gli propone di allenarsi nelle vicina palestra, sotto la direzione di Arturo Paoletti, un ex campione europeo.
Nonostante il parere contrario della madre, De Piccoli s’avvicina al pugilato e il 6 marzo 1955, poco più che diciassettenne, combatte per la prima volta. Il suo avversario, un certo Trevisan, nemmeno riesce a colpirlo: in 40” è già al tappeto. Chi invece colpisce Francesco al naso, mandandolo al pronto soccorso, è, al suo ritorno a casa, la mamma che ha scoperto che il figlio ha combattuto senza il suo permesso.
Ormai la strada è però segnata: De Piccoli inanella una serie di incontri e di vittorie tra i dilettanti che lo portano alla ribalta nazionale e alla maglia azzurra. Il suo unico vero avversario è un altro veneto, Giorgio Masteghin. All’inizio sembra proprio lui il più forte, ma Francesco dimostra però via via di essergli superiore, vincendo il campionato italiano dilettanti dei pesi massimi sia nel 1959 che nel 1960, nonché i campionati mondiali militari.
In vista delle Olimpiadi però le posizioni tra i due non sono ancora definite.
“I tecnici azzurri – ci confida – avevano molta stima di Masteghin, mentre ‘vedevano’ meno me, anche perchè ero un mancino. A decidere su chi doveva andare alle Olimpiadi fu così il ring, mentre eravamo in ritiro. Nel combattimento con Masteghin ebbe la meglio la mia velocità di esecuzione e la mia precisione: lo mandai al tappeto e il posto per Roma 1960 fu mio. Per me era davvero un sogno che si coronava, uno dei sogni più belli in assoluto: partecipare alle Olimpiadi.”
I favoriti del torneo sono l’americano Price, il sovietico Abramov, l’inglese Dave, il cecoslovacco, Nemech, il sudafricano Bekker. De Piccoli dimostra però ben presto di avere una marcia in più: batte all’esordio Venneman per fuori combattimento alla prima ripresa. Poi si sbarazza ai punti, in quello che si dimostrerà il match più difficile, del russo Avramov, bi-campione europeo della categoria, un pugile con già 300 incontri alle spalle. In semifinale non c’è scampo nemmeno per il ceco Nemech.

Con Nino Benvenuti nel 2014 http://mattinopadova.gelocal.it/
Il torneo di pugilato sta mettendo in mostra una covata di atleti azzurri di grandissima qualità, che daranno lustro allo sport italiano per molti anni: da Benvenuti a Lopopolo, da Bossi a Musso. Ma la stella è proprio lui, De Piccoli. “Franco” così lo chiamano i romani (e il nomignolo gli resterà per sempre), è nel cuore degli appassionati per la sua velocità di esecuzione e la leggerezza con cui si muove sul ring, unite però ad una potenza devastante.
“Mi avevano soprannominato – racconta con una punta d’orgoglio – ‘l’ottavo re di Roma’: ovunque andassi per strada, mi riconoscevano, mi fermavano, si complimentavano, mi chiedevano l’autografo. La finale contro il sudafricano Bekker non la potevo insomma proprio perdere. L’ho mandato al tappeto in meno di due minuti. Non dimenticherò mai il boato della folla: ventimila tifosi che si sono alzati in piedi scandendo a gran voce il mio nome. Al di là del fatto che ho vinto credo che quella di Roma sia stata davvero la più bella Olimpiade di sempre: per lo scenario, l’entusiasmo dei romani, il clima che si era creato nel villaggio olimpico: davvero un’esperienza unica.”
Non meno caloroso l’affetto dei mestrini: al suo ritorno, nella centralissima piazza Ferretto, in cui arriva in una stupenda Buick gialla decappotabile, De Piccoli trova ad attenderlo diecimila persone.
Il passaggio al professionismo è immediato: Franco fa il suo esordio il 26 dicembre del 1960 sconfiggendo alla prima ripresa Moriggi.
Seguono due anni molto intensi.

ROMA 1960 Da sinistra, i pugili italiani Francesco Musso, Francesco De Piccoli e Nino Benvenuti, tutti vincitori della medaglia d’oro ai Giochi di Roma. Archivio Storico ANSA
De Piccoli è il pugile più atteso nelle riunioni della Capitale: i romani continuano ad impazzire per lui, ogni suo incontro segna il “tutto esaurito”, e lui combatte così con una frequenza impressionante, di fatto ogni quindici giorni.
Il 1° marzo 1963, dopo la vittoria con Hughes, sembrano finalmente aprirsi le porte per gli Usa: già si parla di una sfida possibile contro Cassius Clay, anche se nel mirino c’è soprattutto il campione del mondo in carica, Sonny Liston.
Prima però c’è un ultimo ostacolo da superare, costituito dal nero americano Wayne Bethea.
De Piccoli non è in buone condizioni: il match è fissato appena tre settimane dopo il duro combattimento con Hughes. Il suo staff lo convince però ad andare sul ring: troppo alta è la posta in palio.
Il 22 marzo 1963 è una data che De Piccoli non dimenticherà mai. Bethea si rivela un avversario di tutto rispetto: Franco viene colpito con un destro tremendo che lo manda al tappeto.
“Mi sono svegliato – racconta – nello spogliatoio, domandando chi aveva vinto. Bethea era un buonissimo pugile, ma sono convinto che se fossi stato bene non avrei mai perso con lui. Qualcosa però si era rotto in me: psicologicamente più che fisicamente. Dopo soli due mesi e mezzo dopo quel tremendo incontro mi fecero combattere con Bygraves e finii al tappeto al secondo round.”
Quella stessa sera Benvenuti batteva Tony Montano, prendendo di fatto il posto di De Piccoli nel cuore dei tifosi romani e italiani.
Franco comunque non molla: risale sul ring dopo circa un anno e sembra essere tornato quello di un tempo. Inanella così 12 vittorie consecutive. Si torna a parlare di un possibile incontro con Clay, diventato nel frattempo campione del mondo.
“Lo avevo conosciuto – ricorda – alle Olimpiadi di Roma, dove lui aveva vinto i medio massimi. Era ovviamente un grande pugile, anche se non mi sono mai piaciuti quelli che vogliono dare troppo spettacolo sul ring. Il pugilato è velocità, precisione, tempismo: tutte doti che modestamente avevo. Con Clay sarebbe stata decisamente dura, magari avrei perso, ma sicuramente me la sarei giocata sino in fondo.”
Il 15 ottobre 1963 arriva però una sconfitta per intervento medico contro Copeland, che segna definitivamente il destino di atleta di De Piccoli.
“Col pugilato – racconta – ho chiuso il 26 dicembre 1965, esattamente cinque anni dopo il mio esordio tra i professionisti, con una sconfitta per abbandono contro Weiland, ancora più amara perchè avvenuta proprio nella mia Mestre. Ho detto basta anche se molti spingevano perché continuassi, e a distanza di cinquant’anni devo proprio ribadire ancora che ho fatto bene. Ho chiuso col pugilato non solo come atleta. Non ho mai pensato di poter diventare ad esempio un allenatore, perché è difficile insegnare: il tuo allievo si aspetta sempre molto da te. I soldi guadagnati mi hanno permesso, oltre di acquistare una casa, di avviare un’autoscuola, che ancora oggi gestisce mio figlio.”
De Piccoli vanta anche un’esperienza come attore, in un film per la tv del 1979 intitolato “Alto quasi due metri”. “Anche in questo caso – ci racconta – ho cercato di dare il meglio: era però una carriera che non faceva per me e non ho accettato altre proposte.”
Il giornalista Walter Esposito, alcuni anni fa, gli ha anche dedicato un libro, dal titolo “Francesco De Piccoli storia di una medaglia d’oro”.
Oggi vive tranquillamente, da pensionato, con la compagna: ma lo sport italiano non lo ha certo dimenticato. Nel 2006 è stato, ad esempio uno dei tedofori per le Olimpiadi di Torino. Recentemente è stato premiato in occasione del centenario della federazione pugilistica e insignito del collare d’oro per meriti sportivi dal Coni.
“Soprattutto però – ci dice compiaciuto – ho ancora tanti amici: mi piace spesso sentirli per telefono, e fare quattro chiacchiere.”
Un unico piccolo cruccio.
“Un ladro mi ha portato via molti dei trofei più belli, a cominciare dalla medaglia olimpica. Pensi che mentre io entravo dalla porta lui è scappato dalla finestra. Ma forse è stato meglio che non lo abbia raggiunto…”
Il gigante dal cuore gentile, per una volta, avrebbe potuto davvero perdere la pazienza.

Umberto Zane
pubblicato il 19 maggio 2016

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