Lo stile di Don Matteo che dà la linea a Bologna

PIERGIORGIO PATERLINI
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Monsignor Zuppi non è uno che se ne sta con le mani in mano. Non era ancora arrivato che già incontrava lavoratori in lotta per il posto di lavoro. E, in questi giorni, i soldi Faac per i disoccupati, il dialogo forte con Unindustria, perfino l’annuncio della marcia per la pace, dopo anni, a Bologna. Dunque una chiesa bolognese che passa dagli anatemi al dialogo, a valori sociali condivisi e alle cose da fare, una chiesa che mette al centro della propria missione la terza delle “virtù teologali”, la carità. È chiaro che una chiesa così ci sembra più somigliante al Vangelo che è chiamata a proclamare “dai tetti” (quei tetti rossi di Bologna così belli ma così poco simbolici, ormai). Ma se continuiamo a sottolineare questa fase “rivoluzionaria” della gerarchia cattolica bolognese non è per amore di dibattito teologico, bensì perché questo ruolo così netto sembra costringere ad arrancare chi per lavoro si occupa di lavoro, diseguaglianze, bene comune: dai sindacati alla politica. Che infatti finiscono per giocare di sponda, dare l’idea di arrivare sempre un po’ dopo e dunque in obbligo di ricordare – vedi la lettera del presidente della Regione ieri su queste colonne – ciò che si è fatto e quanto sia in linea con la “linea Zuppi”. Un ribaltamento curioso, anche se le gare non interessano all’arcivescovo di Bologna, e meno che meno a noi. Come curioso che sia Matteo Zuppi a rilanciare quel “modello emiliano” che la sinistra da anni sta cercando di far dimenticare autoaccusandosi di superbia. Ammetterete che un po’ da pensare viene.

Lo stile di Don Matteo che dà la linea a Bologna ultima modifica: 2016-09-09T09:02:33+02:00 da PIERGIORGIO PATERLINI
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