Federica Mogherini ha il merito certamente di saper tener conto più della sua “grazia di stato” che non del suo stato, , quasi mai di grazia (per l’ Europa, per l’ Italia per quello che accade), non certo per colpa sua.
Federalista, da sempre impegnata nel settore europeista e del volontariato internazionale era la persona giusta e con competenze specifiche ( tra cui la mancanza di esperienza e leadership internazionale era contemplata) per sbarrare la strada a tutti i “non Renzi generation”, quando Matteo era ancora il “Matteo rottamatore” ( per cominciare di D’Alema, Bonino, Amato e tutti i possibili esperti in quel campo sopra i quarant’anni).
E così è stato inevitabile fare i paragoni negli incontri internazionali e nel “gioco della torre” tra Putin e Obama è difficile che a salvarsi sia la rappresentante Ue della politica estera…
Tuttavia.
Tuttavia Federica Mogherini è una caparbia lottatrice ,che non s’offende e cerca di lavorare appunto in virtù della “grazia di stato” del suo ruolo o dei fatti internazionali che accadono copiosi e l’intervista a la Repubblica rilanciata su giornali e agenzie in cui parla degli sviluppi del tema della difesa europea, anche in conseguenza della Brexit, è di quelle che hanno il merito di porre questioni quando molti se le sono già dimenticate.
In realtà, scompaginando il gioco, perché mi sarei aspettato una riflessione sulla difesa e sicurezza europea al Vertice di Ventotene, che si è svolto sulla Garibaldi due settimane fa e considerata l’ attenzione che Renzi pone sempre ai simboli, stupisce davvero che la “Tuttoponte”( ribattezzata per brevità patriottarda portaerei per produrla in anni in cui era ancora vietato al nostro Paese di averne in seguito alle clausole della seconda guerra mondiale), sia semplicemente stata un bello sfondo per le photo-opportunity.
Ma torniamo al punto. Al Vertice di Ventotene dopo un’estate di attentati e su una nave militare nel luogo dove i federalisti europei festeggiano da 35 anni (ma su traghetti e pescherecci), la richiesta di Spinelli, Colorni e Rossi di ripudiare la guerra e costruire l’Europa, non se n’è parlato, invece la Mogherini ha il coraggio di porre la questione, che istituzionalmente nel 1954 provocò una prima grande crisi della costruzione dell’Europa. Ma essendo un tema di grande momento politico istituzionale potrebbe preludere a un rilancio in grande stile delle questioni capaci di trascinare in avanti e non indietro la costruzione Europea che soffre per la Brexit. E per i contrasti sui temi dell’immigrazione con punte ormai di aperto ritorno al passato profondo, vedi Orban e il suo regime autoritario (votato, eletto, ma autoritario direbbe Hannah Arendt).
Insomma, dice la Mogherini, rilanciamo il tema della difesa europea, non illudiamoci di parlare di esercito europeo ma di difesa comune sì; partiamo da subito; usiamo i “battlegroup” esistenti (brigate miste tra paesi UE ndr); ricorriamo all’art.44 (la mutua difesa simile all’articolo di mutua solidarietà di ogni alleanza: Nato per esempio ma anche Panafricana etc…) e la possibilità di dotare un gruppo di Paesi di bandiera in nome e per conto UE in azioni nel mondo; infine un quartiere generale difesa UE a Bruxelles.
“Vaste programme” avrebbe detto il generale de Gaulle.
Ora, sia detto da un non violento praticante che crede ai tempi storici e alla diplomazia come elemento di sicurezza e diminuzione del danno, la difesa in campo europeo fa più acqua dell’immigrazione o della ripresa economica.
Di fatto siamo fermi agli anni Novanta dello scorso secolo: relazione del parlamento europeo Morillon-Rutelli e poco più.
Sciolta la minima soglia di un organismo europeo di difesa in favore della NATO (a cui i paesi aderenti UE dell’est si erano immediatamente rivolti prima ancora di entrare nella stessa UE per evidente reazione post-cortina di ferro), creata qualche brigata mista franco-tedesca o Benelux-Francia e poco altro, messe da parte le esercitazioni comuni per carenza di fondi di fronte alla crisi economica, resta il sogno della relazione Morillon-Rutelli di una brigata di sessantamila uomini (e donne) come Forza di reazione rapida da mettere a disposizione della leadership europea e presentare sul tavolo delle trattative internazionali con USA e Russia e per le Nazioni Unite.
Ma nulla si è fatto ancora in questo campo e la procedura di decisione a maggioranza finora si è vista per cose certamente importanti, come il brevetto unico europeo ma con un’incidenza politico-istituzionale di scarso appeal. A oggi, fatti salvi i contatti tra intelligence sul campo e quelli tra le polizie antiterrorismo (a volte con scadenti risultati come tra Francia e Belgio nella recente vicenda del Bataclan per esempio), ogni Stato continua a gestirsi la difesa da solo e anche gli interventi in campo contro il fondamentalismo terrorista quando sono sul terreno militare hanno difficoltà di coordinamento.
Ne sono testimonianza la vicenda libica anti Gheddafi della Francia oppure i bombardamenti tragici del “fai da te” che si susseguono in Siria e in particolare sul Califfato-Daesh e la città di Raqqa. (Usa, Regno Unito, Russia, Turchia Francia bombardano luoghi diversi oppure quartieri diversi od organizzazioni diverse nella stessa città…)
Finora quello che ha cominciato a funzionare è solo un’intesa “cordiale” sugli armamenti per destinare maggiori armi di fabbricazione europea agli eserciti UE ma anche qui con forti eccezioni negli ex Paesi dell’est che privilegiano un rapporto particolare con gli USA.
Allora, se si vuol essere conseguenti al messaggio di Ventotene che Spinelli, Rossi e Colorni lanciarono nel pieno del secondo conflitto mondiale del Novecento, la strada potrebbe prevedere altri scenari e scelte.
Innanzitutto quello della formazione per davvero di una forza rapida di almeno sessantamila uomini da mettere a disposizione delle Nazioni Unite, che permetterebbe di attivare l’articolo dello Statuto Onu che prevede un comando militare unificato sotto la segreteria generale, il che consentirebbe alle Nazioni Unite di poter svolgere un immediato ruolo di interposizione al nascere di confronti militari e con l’uso di truppe internazionali più gradite a tutti i contendenti in campo.
Poi quello di una spending review reale e significativa tra i Paesi UE con l’eliminazione di doppioni e forze solo di rappresentanza da consegnare alla storia (come la guerra in Europa…), ma anche quella di un coordinamento negli interventi che faccia chiarezza sulle scelte politico-diplomatiche e che ci obbligherebbe, finalmente, ad avere un seggio unico UE alle Nazioni Unite, con evidenti vantaggi di rango e di peso internazionale nelle scelte ora affidate alle convenienze anche economiche delle singole Cancellerie europee.
È chiaro che ciò presuppone cambiamenti nei singoli Paesi e anche nel nostro dove è stato rifatto da almeno un anno il cosiddetto “libro bianco” della Difesa, di cui poco si è discusso e parlato: ancora oggi noi in Costituzione (che ci accingiamo a cambiare ma non qui) abbiamo affidato alle camere la dichiarazione di guerra come fossimo due secoli fa ma nulla si dice (è ovvio, è stata scritta nel 1946) degli interventi di pacificazione o comunque degli interventi di nostre truppe all’estero e di fatto le nostre missioni militari sono sottoposte al voto delle Camere solo in sede di finanziamento economico con poco o nullo dibattito (e in caso meramente ideologico) sulla strutturazione degli interventi, i loro fini, i loro obiettivi e le regole di ingaggio (tant’è che prosegue a suo modo una querelle sulle questioni relative all’uso del codice militare di pace in zone dove c’è di fatto la guerra). Sarebbe opportuno invece che ogni intervento avesse una presentazione del Governo in Parlamento con parole chiare e non implicite, fini, obiettivi e spesa.
L’Italia potrebbe anche, autonomamente, mettere a disposizione le sue truppe annualmente con disposizione di legge alle Nazioni Unite trascinando altri Paesi UE in questa scelta.
Stando sulla Garibaldi qualcosa di tutto questo sarà passato nelle menti dei tre leader? Qualcuno dei nostri avrà ragionato tenendo conto del fatto che sulla Comunità Europea di Difesa ci fu la prima grave crisi istituzionale dell’Europa?
Insomma la costruzione della pace ,come direbbe qualcuno, non è “un pranzo di gala” e forse perfino Spinelli, Colorni e Rossi avrebbero preferito che truppe UE fossero in Jugoslavia a evitare la carneficina che fece vergognare il nostro Continente sul finire del secolo scorso. Ma l’Europa come sappiamo fu colpevolmente assente fino alle scelte di Bill Clinton.
E che dire della politica estera UE sulla Libia che rischia per interessi diversi, anche economici, una tripartizione di quel Paese che a qualcuno fa rimpiangere (incredibile dictu) perfino Gheddafi?
Insomma, la difesa europea evocata dalla Mogherini non è un diversivo e le sue parole hanno il merito di porre una questione a tutto tondo per l’Europa che ci parla di istituzioni, denari, sicurezza, vita/morte, pace; si può solo sollevarla e lasciarla ricadere oppure ( anche se si è pacifisti, o scettici sui destini dell’ Europa), assumerla come un paradigma politico su cui misurare la politica (il fallimento Ced del 1954-la vergogna della ex Jugoslavia-l’ assenza nei Paesi in via di sviluppo al di là del consumismo economico). C’è di che riappassionarsi all’Europa…

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