L’ex ambasciatore del Nepal in India Lok Raj Baral non ha usato le armi della diplomazia con Pushpa Kamal Dahal, il “compagno Prachanda”, leader del piccolo stato himalayano stretto tra i due giganti vicini. In vista della sua visita ufficiale in India cominciata giovedì scorso e durata quattro giorni, Baral ha consigliato l’ex guerrigliero maoista, primo ministro in carica da soli quarantacinque giorni, di parlare meno e lavorare di più per dimostrare al signore di Delhi Narendra Modi di essere effettivamente cambiato.
Dahal, uomo ideologicamente vicino a Pechino, è corso a far visita al presidente Xi Jinping poco dopo essere riuscito a sostituire nel luglio scorso alla guida del paese Khadga Prasad Sharma Oli. Cui aveva mosso l’accusa di aver mal gestito la rivolta del Terai. Ma che molti a Kathmandu pensano nascondere un altro motivo, ovvero la partita della distribuzione degli aiuti post terremoto di fatto ancora al palo.
Non è il suo primo viaggio ufficiale a Delhi in veste di premier del Nepal. Il primo avvenne ben otto anni fa, e fu segnato da un’accoglienza travolgente da parte del governo indiano e della stampa che lo ritrasse come modello di un uomo che, pur avendo fatto la lotta di popolo, era approdato alla competizione elettorale. Un velato monito rivolto ai naxaliti, il movimento guerrigliero d’ispirazione maoista del Nord Bengala a che seguissero il suo esempio. Inoltre si trattava a tutti gli effetti di un ritorno in una città che non gli era di certo sconosciuta, dove aveva passato la maggior parte del decennio compreso tra il 1996 e il 2006 lavorando nel suo quartier generale segreto posto nella periferia est della capitale indiana. E dove è anche stato siglato nel novembre del 2005 l’accordo tra i guerriglieri maoisti e gli altri partiti democratici del Nepal sotto l’occhio benevolo del governo di Nuova Delhi, che avrebbe portato alla pacificazione.
Sempre l’ex ambasciatore Baral, mentre Prachanda sbarcava all’Indira Gandhi International Airport a capo di una delegazione composta da più di un centinaio di persone, l’ha spronato a ricostruire le relazioni tra India e Nepal, mai così basse come nei mesi scorsi quando è scoppiata la crisi dei Madhesi. Con il conseguente blocco della frontiera e degli approvvigionamenti da parte di Delhi, quale ritorsione verso la politica delle autorità nepalesi nei confronti delle popolazioni del Terai, in buona parte di origine indiana. Una scelta che ha messo in ginocchio l’economia nepalese già sconvolta dal tremendo terremoto che ha colpito il paese il 25 aprile dell’anno scorso.
Rispetto alla calda accoglienza ricevuta nel corso della sua prima visita, Dahal questa volta ha dovuto riscontrare che l’atmosfera era cambiata, che la fiducia nei suoi confronti e della politica nepalese da parte delle autorità indiane è venuta a scemare. Faticando non poco a convincere gli imprenditori locali che il paese sotto la sua guida rappresenta una seria possibilità d’investimento e di stabilità politica. Facendo anche capire che ha ben meditato la lezione del 2009 quando, compromesso il rapporto fiduciario con il governo indiano, a seguito del suo tentativo di impadronirsi del potere a Kathmandu, era stato costretto a dimettersi.
Il che avrebbe alla fine portato il suo partito alla cocente sconfitta del 2013 nell’elezione dell’Assemblea costituente. Quella stessa da cui poi è uscita la carta fondamentale che sta alla base dello scoppio della rivolta nel Madhesi e della politica del pugno di ferro di Narendra Modi nei confronti del piccolo vicino.
L’allora primo ministro Oli, seguendo la strada tracciata da molti politici nepalesi, nel tentativo di affrancarsi un po’ dal grande fratello indiano, si era rivolto a Pechino, al fine di ottenere aiuti nei rifornimenti di carburante. E ne è conseguita la sottoscrizione di un trattato commerciale e di transito nelle alte valli himalayane, oltre all’impegno del presidente cinese Xi Jinping di visitare Kathmandu. Una visita che, caduto Oli, pare essere stata messa in freezer, per quanto i nepalesi si sforzino di negare che sia stata cancellata. Mentre nessuna fonte ufficiale si prende la briga comunque di confermare. Dall’altro lato la capitale nepalese si appresta a ricevere la visita del presidente indiano Pranab Mukherjee invitato in prima persona da Dahal.
Una mossa del premier nepalese tesa a rassicurare l’India che appare a disagio nei confronti del crescente espansionismo del governo di Pechino nei confronti di Kathmandu. Segnali non ne mancano. Non ultimo la brutale repressione di questi giorni da parte della polizia nepalese dei tibetani che manifestavano a favore della libertà del loro paese occupato dai cinesi. Anche se, non bisogna dimenticarlo, lo stesso ritorno al governo di Prachanda è stato reso possibile grazie al sostegno dell’India, che non ha lesinato l’aiuto a un uomo politico sul quale già in passato aveva perso la fiducia e ideologicamente non distante dai governanti cinesi. E se l’India ha appoggiato Pushpa Kamal Dahal nella sua personale battaglia per il potere, è perché le deve esser parso come il male minore, e forse l’unica carta da giocare contro la deriva filocinese di Oli.
Il puzzle nepalese non sarebbe tuttavia completo se ci si scordasse di dire che anche lo stesso Prachanda, che pur ha tolto la sua fiducia in parlamento a Oli accusandolo di aver fallito sulla vicenda dei Madhesi, di lui e dei suoi voti in parlamento non può fare a meno. Se vuole finalmente comporre il rompicapo Madhesi e apportare conseguentemente quelle modifiche alla recente costituzione a gran voce richieste dai ribelli del Terai e dai loro protettori che stanno al governo a Delhi.
Quelle modifiche che sono state oggetto di accordi politici nei giorni scorsi nella capitale indiana tra Narendra Modi e Pushpa Kamal Dahal, tesi a far sì che la costituzione nepalese sia finalmente accettabile per tutti i gruppi garantendone l’attuazione. Un impegno ribadito a chiare lettere nella conferenza stampa congiunta tenuta a Delhi. E di certo la precondizione affinché le relazioni tra i due paesi possano nuovamente fiorire, superando la condizione di stallo. Per consentire agli accordi economici sottoscritti in questi giorni di consolidarsi nel tempo e che tra l’altro prevedono il miglioramento delle infrastrutture stradali nel Terai e una prima linea di credito per la ricostruzione post-terremoto cui seguirà la concessione di un prestito di 750 milioni di dollari sempre per lo stesso scopo.
Al di là dei pur positivi accordi economici, di sicuro una boccata d’ossigeno, riuscirà il piccolo Nepal a calibrare attentamente le speculari oscillazioni nei confronti dei due grandi vicini senza suscitare sospetti e gelosie? E soprattutto, riuscirà a preservare la propria indipendenza e autonomia? In un incontro tra i due a ridosso della partenza di Pushpa Kamal Dahal alla volta di Delhi, l’ex primo ministro Oli l’ha messo in guardia contro il pericolo di minare la sovranità del paese a favore degli indiani. Si sa che Pechino è infastidita dal recente cambio di regime a Kathmandu e dalla sua risposta tiepida al progetto caldeggiato da Xi Jinping riguardante Una Strada per l’Eurasia.
Non sappiamo come Dahal abbia risposto alle raccomandazioni un po’ velenose di Oli. Quel che si sa è che il blocco stradale di Birgunj per lunghi mesi è stato un disastro per il paese. E che la lezione da trarre, costata la carica di primo ministro allo stesso Oli, è che il Nepal non si può permettere scontri con l’India. Quanto alla Cina, Dahal l’ha scelta come suo primo viaggio di stato. Basterà a tranquillizzare gli animi dei governanti cinesi e i loro sempre più robusti appetiti?

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