Tra i molti difetti, Matteo Renzi ha quello di sottovalutare il tema del consenso alle scelte del suo governo. È talmente sicuro di sé da pensare di poter intraprendere qualsiasi iniziativa, purché la ritenga giusta e coerente. Tale sottovalutazione ha favorito il crescere di un fronte del “no” al referendum costituzionale che va da Salvini a D’Alema-Bersani. In questo modo, la scadenza referendaria è diventata una resa dei conti: chi perde sarà sconfitto forse vita natural durante, anche se in politica il detto che vale è “mai dire mai”. Da qui il clima da guerra civile, soprattutto a sinistra che impedisce di ragionare e discutere.
Un caso esemplare è quello che ha avuto per protagonista Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano. Per aver detto cose semplici e chiare (Repubblica del 18 settembre) è stato lapidato dalla sinistra cosiddetta radicale. Eppure il suo ragionare era condivisibile come spunto almeno di riflessione: è in corso una lotta fratricida a sinistra, Renzi non è il pericolo per la democrazia a differenza del vento che soffia in tutto il mondo a favore dei Trump e dei Le Pen, difficile orientarsi serenamente tra “sì” e “no”, il centrosinistra vince solo se ritrova idee e unità, di riforme del sistema politico c’è comunque bisogno.
In un colpo solo la limpida biografia politica e intellettuale di Pisapia è stata cancellata con epiteti indegni: “opportunista”, “traditore”. Lo stesso destino era capitato ai sindaci di Cagliari e Genova, Zedda e Doria, per aver richiamato l’esigenza di correggere eccessive contrapposizioni. A poco è valso per ripensare ai propri limiti quel tre per cento striminzito strappato da Sinistra italiana nelle recenti elezioni amministrative. Il leit motiv è il solito: il Pd non appartiene più alla sinistra, occorre uccidere politicamente e metaforicamente Renzi: solo dopo questo assassinio si potrà riprendere il glorioso cammino.
Il blocco contro Renzi è forte e consolidato, raccoglie tutti i corporativismi nazionalpopolari: scuola, pubblico impiego, pensionati, mercato del lavoro, magistrati. Tutte le riforme proposte non vanno bene, anche quando ricalcano modelli scandinavi (pensioni, scuola). Pure la politica estera contro l’austerity e di gestione delle ondate migratorie non piacciono, spesso per partito preso.
Se Renzi sarà alla fine sconfitto, è assai probabile che non avvenga su un programma alternativo ma per le diffuse resistenze sociali e politiche al cambiamento. Alla destra che fa il suo mestiere, si unisce una sinistra livida per le proprie sconfitte e rancorosa per la propria impotenza. Renzi è considerato un corpo estraneo, come se non fosse il prodotto della crisi del progetto Pd e dell’inconcludenza della sinistra. È lo stesso copione che si riproduce sull’analisi del Movimento 5 Stelle. I grillini non sono infatti solo populismo e antipolitica: sono il prodotto dell’afasia della politica e della sinistra.
Ovvio che Renzi non è la soluzione del cruciverba ma fa parte del problema. I suoi metodi e contenuti non sono affatto persuasivi. Occorre perciò innanzitutto riaprire il dialogo tra tutte le componenti della sinistra e del centrosinistra. Il problema è anche europeo, come ci dicono le recenti elezioni in Germania e Spagna: sinistra moderata e radicale possono governare solo insieme, da sole periscono nella testimonianza. E a poco serve guardare al passato dell’Ulivo o di altre esperienze di casa nostra. Bisogna volgere lo sguardo avanti e pensare al futuro. La tanto vituperata rottamazione aveva segnalato il bisogno dell’emergere di nuove generazioni e di nuovi gruppi dirigenti, oltre che di nuovi programmi. Da questo punto di vista, resta validissima.

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