Venezia, i tedeschi e il loro fondaco

GIANPAOLO SCARANTE
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Da qualche giorno Venezia ha una nuova importante struttura commerciale collocata nel cuore stesso della sua storia millenaria, la zona di Rialto.

Dove i tedeschi all’epoca della Serenissima avevano il loro “fondaco” (“fontego”, in veneziano) si trova ora un grande e modernissimo centro commerciale dedicato al lusso e ai prodotti di alta gamma. La sua recente apertura ufficiale, di fatto riservata agli ospiti stranieri visto l’esiguo numero di veneziani presenti, ha segnato l’avvio operativo di questa iniziativa che è da tempo oggetto di polemiche e critiche di varia natura, ma anche di non pochi consensi e apprezzamenti. Consensi che sono cresciuti nel momento in cui è stato possibile pubblicamente vedere e valutare l’ottima qualità del restauro eseguito.

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Come spesso avviene, il fatto compiuto della sua esistenza è destinato inevitabilmente a stemperare i giudizi negativi. A pochi giorni dalla sua entrata in funzione non pochi tra coloro che si dichiaravano perplessi o parzialmente critici si rifugiano in considerazioni ispirate alla ragionevolezza, del tipo “meglio ora del degrado in cui si trovava prima”, o di stampo vagamente economico “se non altro ha creato qualche centinaio di posti di lavoro”.

Sono considerazioni che hanno in sé una dose consistente di verità, ma che distolgono dal vero e centrale problema che sottintende anche questa iniziativa e che banalizzerei in una brevissima domanda: cosa vogliamo fare di Venezia e dei suoi abitanti?

Si tratta di un tema che coinvolgendo il futuro di persone e di importanti interessi collettivi dovrebbe essere oggetto di grandi dibattiti a tutti livelli, con il contributo di esperti di vari settori, di amministratori pubblici e della società civile veneziana nella sua interezza: Un grande dibattito collettivo che la Politica, quella vera, dovrebbe trasformare in un disegno politico di ampio respiro, una sorta di piano strategico per i prossimi decenni entro il quale collocare tutti gli interventi e le iniziative, quale ad esempio quella di cui parliamo.

Perché se si decide che Venezia debba essere un museo o un parco a tema destinato ai visitatori, vanno coerentemente predisposte tutte quelle attrezzature necessarie a questo fine, dai tornelli d’accesso, ai percorsi obbligati, ai bagni pubblici e altro, magari prendendo spunto dagli efficientissimi parchi di divertimento realizzati dalla Disney. Ma se invece si vuole mantenerla quale organismo con una sua società autonoma, attiva e vitale, allora le cose da fare sono ben altre.

Ma dato che tutto questo non avviene, che il dibattito collettivo non si vede e semmai si decide di “non decidere”, vorrei prendere spunto dal “nuovo fondaco” per indicare qualche considerazione cui sarebbe utile rispondere.

La prima è data dalle conseguenze generali che significative modifiche delle destinazioni d’uso di importanti complessi architettonici cittadini possono avere sul futuro del contesto urbano e civile di Venezia. Non mi riferisco agli aspetti urbanistici o architettonici, che comunque sono importantissimi, ma a quelli più propriamente sociali e culturali di lungo periodo.

Il problema si pone con particolare complessità a Venezia, dotata di un piccolo centro storico, fisicamente parlando, ma incredibilmente denso di strutture legate alla sua storia e alla sua cultura. Vi sono edifici e luoghi istituzionalmente e irreversibilmente legati alla storia della Serenissima la cui trasformazione e privatizzazione, ancorché positiva per alcuni aspetti, provocherebbe una forte discontinuità nel tessuto urbano cittadino, che a lungo andare potrebbe anche ridurre la capacità stessa di attrazione turistica della città nel suo complesso.

A dire il vero nel caso del “fondaco” si è evocato un “ripristino” delle sue funzioni originarie, dimenticando che il fondaco antico, parola araba che significa “deposito o magazzino”, era più un luogo di intermediazione commerciale e di ospitalità che un centro di vendita modernamente inteso.

E vengo qui al secondo aspetto che mi sta a cuore. Noi veneziani siamo spesso portati a pensare che Venezia sia il centro del mondo, che tutto quanto vi avviene sia unico e irripetibile. Non è vero. Quanto avvenuto con il fondaco è in linea con una tendenza oramai consolidata nelle società europee e occidentali, quella cioè di una crescita della diseguaglianza sociale e economica che si traduce in una divaricazione progressiva del potere d’acquisto all’interno delle stesse società. Detto in parole povere, vi sono persone, molto poche, che vedono crescere il loro potere d’acquisto già altissimo e altre, moltissime di più, che scivolano sempre più in basso nella scala sociale e spendono sempre di meno.

Il nuovo fondaco, che si rivolge ovviamente al target più alto e che si trova a poca distanza da un altro centro commerciale molto simile, segue questa logica economica e rafforza notevolmente la componente rivolta ai clienti ad alto reddito.

Questo mentre, come noto, è molto alto il numero di piccoli esercizi commerciali e di attività artigianali che chiudono progressivamente nel centro storico e -in parallelo- è in crescita l’apertura di micro esercizi rivolti ai visitatori stranieri che vendono prodotti a bassissimo costo e di bassissima qualità.

Insomma sembra profilarsi il rischio di una struttura commerciale cittadina profilata su due comparti, quello caratterizzato da prezzi altissimi e altissima qualità, il fondaco e molti altri, e quello caratterizzato da bassissimi prezzi e bassissima qualità, per intenderci i negozi orientaleggianti che vendono cose del tutto inutili a pochi euro. E in mezzo, il vuoto o quasi, assenti tutte quelle innumerevoli attività, dalla merceria al negozio di libri, che servono realmente alla vita di tutti i giorni dei cittadini.

Quanto questo sia poco compatibile con la sopravvivenza di una società civile veneziana vitale e autosufficiente credo sia facile da comprendere.ego

Venezia, i tedeschi e il loro fondaco ultima modifica: 2016-10-05T16:08:38+02:00 da GIANPAOLO SCARANTE
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7 commenti

Marina yaouanc 6 Ottobre 2016 a 3:17

Tristemente dolorosamente VERO

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giovanni keller 6 Ottobre 2016 a 11:39

Di negozi di libri, e già chiamarli così è forse esatto visto il sistema editoriale attuale, a Venezia ce ne sono sinceramente abbastanza, forse mancano le librerie!

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Lalla Turi 6 Ottobre 2016 a 13:21

Giustissimo Dr. Scarante, ho letto con attenzione la sua lettera, l’ideale sarebbe stato fare del Fondaco un centro culturale, librerie, ormai quai assenti in quasi tutta Venezia per far posto a “strasse” e cineserie, negozi di musica ricercati, dove l’amatore potesse trovare dalla musica classica a quella sinfonica “chicche” di scoperte oltre che per gli appassionati anche per chi volesse apprendere ed approcciarsi alla conoscenza nel campo musicale, un centro culturale che si occupasse di cinema,e della sua storia, dal muto al giorno d’oggi, con proiezioni di film , pilastri della cinematografia mondiale, come pure di pittura, esposizioni di pittori con dibattiti sulla pittura nell’evoluzione dei tempi e tante altre cose ancora, ma…chi si sarebbe sobbarcato l’impegno di una così utopica impresa, sarebbe stato bello, ma non avrebbe reso, quello che purtroppo oggi conta! Meno male che almeno l’impegno di restaurare il Fondaco se lo sia preso un Benetton e non un cinese di turno , mafia cinese? Per farne un centro di ristoranti cinesi, con le cucine peraltro interessanti, credo siano 5, per tutte le taschee e categorie e di magazzini ispirati a quelli di Mao di Hong Kong!
Accontentiamoci!

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ground_zero 8 Ottobre 2016 a 2:55

il fontego disegnato da lalla turi è altrettanto escludente di quello predisposto al commercio di lusso, solo con una sua declinazione più elitaria, in nome della Cultura…le poste andavano benissimo, ma presupponevano che si provasse a garantire l’esistenza di una popolazione “normale”, permettendogli di poter accedere al diritto alla casa ad esempio….invece, che siano l’intellighenzia dei massimo cacciari o i barbari arricchiti che piacciono a brugnaro, sempre per altri è stata disegnata e governata la città…

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Antonio Alberto Semi 6 Ottobre 2016 a 19:32

Sono ovviamente d’accordo. Ricordo che, con Alessandro Bianchini, Mario Coglitore, Giovanni Dalla Costa, avevamo pubblicato, nel 2012, un libretto intitolato “Un altro Fontego” (Cafoscarina ed.) proprio sottolineando in vario modo quanto già l’amministrazione dell’epoca avesse abdicato alle proprie funzioni, accettando di modificare la destinazione d’uso del Fontego (in cambio, peraltro, di pochi soldi). Ma anche cercando di contattare il Comune non riuscimmo a nulla. Con questa amministrazione, poi, la scelta è ormai palese di usare la scatola veneziana per sfruttarla al massimo, facendone beneficiare o i pochissimi ricchi-ricchi o quella sorta di Lumpenproletariat che vive di merce degradata-degradante. Ma, soprattutto, cercando di completare l’opera di svuotamento della città dagli abitanti, i quali sono di disturbo. Nonostante qualche iniziativa lodevole (penso ai 20-30…) temo che ormai la partita sia persa.
Antonio Alberto Semi

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mauriyio 8 Ottobre 2016 a 16:18

ma fatta in questo modo potrebbero realiyyarne una copia dovunque. Perchè non si fanno le loro copie commerciali e lasciano in pace l originale?

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maurizio 8 Ottobre 2016 a 16:24

ma forse questa è una nemesi storica. Venezia è cresciuta sul commercio e ora è diventata lei stessa un mercato. (era un pezzo che non pensavo a Nietsche)

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