Dopo che delle strade e dei viadotti in Sicilia, parliamo del sistema autostradale nel Paese. La gran parte (3.020 chilometri) è in mano ad Autostrade per l’Italia SpA, di proprietà della famiglia Benetton. Il contratto di concessione, stipulato nel 2007, è valido sino al 2038. Vogliamo fare un po’ di conti in tasca alla società che, insieme alle sua controllate, “si impegna” a curare la manutenzione delle autostrade in cambio dell’esazione e dell’incasso dei pedaggi?
Dunque, dal 2008 al 2015, la società ha incassato ai caselli 27,3 miliardi di euro, realizzando 6,3 miliardi di utile netto contro i 3,5 miliardi previsti dal piano finanziario allegato alla convenzione. Così che è stato possibile distribuire agli azionisti (la famiglia Benetton più frattaglie) qualcosa come 4,5 miliardi di dividendi. (A proposito di Benetton: nel frattempo la famiglia ha ceduto la catena dei suoi Autogrill al gruppo Cremonini-carni che ha rinominato i punti di ristoro Chef Express. Un affare miliardario.)
Ora, le previsioni di traffico, costi e guadagni sino al 2038 sono stabiliti in quel piano finanziario. E l’art. 13 della convenzione stabilisce che la società concessionaria deve devolvere fino al 75 per cento degli introiti a un fondo a disposizione dello Stato per nuove opere autostradali nel caso in cui il traffico sia superiore al previsto. Però la convenzione (la regia del testo si deve all’Anas, gestione dell’allora presidente Ciucci, vedi l’identikit del personaggio nel servizio sulle strade siciliane) non prevede nulla nel caso in cui il traffico sia inferiore al previsto e i ricavi da pedaggi risultino tuttavia superiori alle previsioni.
E qui sta il punto. Il traffico autostradale nei 3.020 chilometri gestiti dai Benetton è diminuito nel 2015 del sette per cento rispetto a quello del 2008, mentre i pedaggi incassati dalla società sono aumentati di pari passo del 22 per cento. Ed è grazie proprio all’aumento progressivo, incessante (l’ultimo nello scorso gennaio) delle tariffe dei pedaggi che è potuto avvenire il miracolo del maggior guadagno con il minor traffico. Un’acrobazia – miracolosa, appunto – dovuta ad una opportuna “dimenticanza” nella stesura del contratto di concessione.
La giustificazione dei rincari delle tariffe, regolarmente autorizzati dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti? Con la realizzazione di nuove arterie (non risulta) e/o con la riqualificazione delle autostrade già esistenti: ulteriori corsie, ripavimentazione con materiali antiscivolo, ecc. Ma – ci si chiede in numerose interrogazioni rivolte al governo tanto alla Camera quanto al Senato, e sistematicamente rimaste sin qui senza risposta – di quali massicci benefici in termini di sicurezza e di efficienza del servizio hanno usufruito gli utenti delle autostrade? Scarsi, e comunque niente affatto rapportati agli utili della società concessionaria. Qui, allora, si pongono due ordini di problemi, due ovvie necessità che investono la responsabilità del governo e gli interessi di Autostrade SpA.
La prima questione ha dell’ovvio: riparare alla imperdonabile “dimenticanza” nel contratto di concessione, per cui, come si è detto ed è bene ripeterlo, nulla in esso si prevede a carico del concessionario nel caso in cui ad un traffico inferiore del previsto corrisponda un ricavo addirittura superiore. In altre parole: è necessario rivedere la (a dir poco compiacente) convenzione siglata nove anni addietro. È un punto non solo economico ma soprattutto politico di primo rilievo che chiama in causa la gestione ministeriale delle Infrastrutture.
La seconda questione chiama ancora in causa il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, e questa volta in quanto ente vigilante di una effettiva, reale, diffusa manutenzione, intendo su tutte le tratte autostradali, al fine di ridurre il tasso di incidenti e di mortalità. Il pensiero corre inevitabilmente alla tragedia sul viadotto Acqualonga dell’autostrada A16, nel 2013, quando un pullman sfondò un guard-rail precipitando per trenta metri: 38 morti e venti feriti, una inchiesta-fiume per omicidio colposo plurimo, disastro colposo e strage colposa condotta dalla procura di Avellino. Nel procedimento fu chiamata in causa anche e proprio Autostrade che, per due volte sollecitata a sostituire con barriere più resistenti la recinzione del viadotto, accampò motivi tecnici che non le risparmiarono un procedimento a carico dell’amministratore delegato e del direttore generale di Autostrade SpA oltre che di dieci funzionari, tra i quali proprio il responsabile del “progetto relativo alla sostituzione e al potenziamento delle barriere di sicurezza e bordi laterali”. Mai realizzato prima della tragedia, fu attuato dopo. A babbo morto, anzi dopo la morte dei 38 passeggeri…

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