Matteo Renzi, domani martedì, è alla Casa Bianca. Il presidente Barack Obama riceverà il presidente del consiglio, con la moglie Agnese e una delegazione di ospiti “speciali”, invitati a una cena di gala la sera dopo il bilaterale mattutino fra i presidenti. Nell’occasione ytali pubblica stralci della prefazione di Renzi a “America adesso”, l’ebook di Guido Moltedo pubblicato nel 2012-2013, in occasione della rielezione di Barack Obama.
Al termine del suo secondo mandato, Barack Obama avrà da poco compiuto 55 anni. Di fronte a sé avrà, se vorrà, una seconda vita politica. […]Vedremo. Sicuramente dietro di sé, così giovane, avrà lasciato una profonda e duratura orma nella storia americana, anzi mondiale, figura simbolo di questo inizio di nuovo millennio. Non solo – ma basterebbe solo questo – per essere stato il primo presidente africano-americano, dopo 43 predecessori bianchi. Ma per aver gestito impeccabilmente la fase più difficile e insidiosa dal dopoguerra in poi: una fase segnata dal convergere di conflitti e di crisi senza precedenti e su diversi fronti, ognuna delle quali, in passato, avrebbe impegnato l’intera attività presidenziale. Una fase, soprattutto, caratterizzata da trasformazioni di portata – è il caso di dirlo – epocale in aspetti fondativi della nostra vita moderna.
Penso alla “chimica” demografica che sta ridisegnando il paesaggio di una grande nazione un tempo prevalentemente bianca e oggi sempre più multietnica e multiculturale: Obama è figlio di questo nuovo, affascinante, melting pot, che, non senza problemi, anche rilevanti, sta fornendo nuovo sangue al gigante americano altrimenti destinato a un ineluttabile declino. Penso ai nuovi equilibri geopolitici, con lo spostamento dei rapporti di forza mondiali sempre più verso l’Oriente e verso il Pacifico e con il ribollire di un’indomabile conflittualità in Medio Oriente. Penso alla “nuova” economia legata alla conoscenza e all’immateriale, dai tratti e dai contorni in divenire e però già parte della nostra quotidianità, con i suoi diffusi impatti negli stili di vita e nel costume. È una trasformazione in atto da tempo, che sta subendo una fortissima accelerazione in questi anni. In questi anni di Obama.
È una transizione di cui il presidente statunitense è protagonista e punto di riferimento. Lucido e consapevole. La sua azione di governo lo dimostra, a partire dal misto di concretezza e di audacia, di freddezza e di passione, che ha caratterizzato le sue scelte, confermandone anche il profilo di politico post-ideologico. Ha dato seguito alla promessa saliente della sua campagna elettorale – la riforma sanitaria – anche se l’aggravarsi della crisi avrebbe indotto un presidente meno coraggioso a lasciarla cadere. La dimostrazione che si può e si deve essere coerenti nei confronti di chi ti ha votato. Ma al tempo stesso ha affrontato di petto le conseguenze di una crisi ereditata, assumendo decisioni scomode, costantemente dettate dalla convinzione di far bene per il Paese. Adesso, e senza trasferire nella discarica del futuro tutti i problemi più gravosi nel segno della furba regoletta – «Non nel mio mandato» – che sta condizionando e frenando l’Italia e il nostro futuro. Obama non è mosso dal calcolo di dover essere rieletto (il male principale della politica oggi, non solo in America). E infatti, il secondo mandato […], Obama se l’è dovuto sudare. Combattendo contro una destra agguerrita e imbarbarita e insieme cercando di riconquistare l’appoggio di quella parte della sinistra che, con una buona dose di ingenerosità ideologica, gli rimprovera un eccesso di mediazione, confondendo questo termine con cedimento. Obama si è rimesso in gioco, con una straordinaria campagna destinata a finire nei “libri di testo” della moderna strategia elettorale. Non solo perché è un ulteriore affinamento della già sofisticata strategia mediatica del 2008, ma perché conferma la formidabile capacità di raccogliere fondi attraverso la Rete. Una lezione anche per noi, se immaginiamo un futuro di finanziamento della politica e delle buone cause, limpido, on line e trasparente, diffuso, orizzontale, dal basso.
La sua rielezione, per certi versi, potrà essere meno importante per gli storici rispetto alla sua elezione nel 2008. Ma per la politica contemporanea è un evento ancora più rilevante. Innanzitutto, perché l’innovazione riformatrice di questa presidenza sarà visibile in tutta la sua portata nell’arco di due mandati. Le circostanze avverse in cui si è mosso Obama nel primo mandato hanno messo in risalto più le sue doti di crisis manager – riflessività, metodo, calma, determinazione – più che la sua visione strategica. Insomma, il suo talento politico potrà dispiegarsi al meglio nell’arco di otto anni, il che gli consentirà di entrare nella galleria dei presidenti che hanno fatto la storia degli Stati Uniti.
Si è detto e scritto molto della “rockstar” Barack Obama. Meno del perché il più grande partito del più importante paese del pianeta, e tanti americani, ne siano stati contagiati in un crescendo inarrestabile fino alla scelta di portare un personaggio così alla Casa Bianca nel 2008 e, come tutto lascia pensare, a confermarlo per altri quattro anni. Non è un populista, non è un demagogo, di quelli che appaiono nei momenti di spaesamento. Perché tutto è Obama tranne che un propagandista cinico e ruffiano. Caso mai è esattamente il contrario. Incarna, sì, la speranza e il cambiamento in un Paese che ha fame di queste parole. Ma lo fa con i piedi per terra. […]
A Obama viene rimproverato, appunto, di non avere una Big Idea. È un messaggero senza un messaggio? Fosse pure così, paradossalmente è qui la sua forza. Il suo carisma, che deriva dal suo essere autentico quando ripete alle sue platee: «Siete voi non io, io senza di voi chi sono?». L’idea insomma di non calare dall’alto la politica, ma di farla crescere dal basso. Obama sa “connettersi” (“connecting” è una delle parole-chiave della nuova politica americana) con l’America di oggi, sicuramente con il suo partito, la forza politica che accoglie tutti sotto la sua Grande Tenda, senza discriminazioni, senza chiederti «da dove vieni?».
Obama è un personaggio che sfugge alle definizioni delle consuete e ormai logore classificazioni politiche. Nonostante la fortissima polarizzazione del conflitto politico e culturale, egli continua a credere nel superamento della partigianeria esasperata e nell’andare oltre la divisione tra America rossa e America blu. È un convinto “uniter”, anche a costo di apparire ingenuamente ecumenico. Lo è autenticamente, “uniter”, perché appartiene a una generazione che deve molto a quella degli anni Sessanta, alle sue lotte, alle sue conquiste, ma che non intende restare intrappolata in ideologie divisive, in contrapposizioni cristallizzate di valori e di interessi che ormai appartengono a un’altra epoca e che, sopravvivendo nel mondo d’oggi, condizionano il modo stesso di vivere e fare la politica, sovente avvelenandola con una permanente conflittualità o con l’esaltazione della retorica, determinata più da idee stereotipate che dai fatti reali.
Nell’“Audacia della speranza” Barack Obama riconosce «le vittorie che ha conseguito la generazione degli anni Sessanta», come «l’ammissione alla piena cittadinanza delle minoranze e delle donne, il consolidamento delle libertà individuali e la salutare disposizione a mettere in discussione l’autorità» che «hanno fatto dell’America un posto migliore» ma, puntualizza: «Quel che si è perso nel processo, e deve essere colmato, è la condivisione di certi fondamentali – quel senso di fiducia e comune sentire – che ci fa andare avanti tutti insieme come americani».
Ecco come si ridà respiro, credibilità, futuro alla politica e si tutelano i cittadini e in particolare quelli più indifesi. Ecco come si mette fuori dalla porta la politica che ha combinato un sacco di guai, ha snobbato principi fondamentali ed ha permesso di tutto con un clamoroso atteggiamento miope. […]
Nel Paese che ha visto crescere le ultime generazioni a pane e tangentopoli e ha fatto ridere il mondo per il Bunga Bunga, bisogna essere capaci di tornare a pronunciare con forza e convinzione almeno due parole: speranza e futuro. Queste passano da impegni molto concreti che impongono all’Italia di rimettersi in gioco e a ciascuno di noi uno sforzo personale per dare una mano. Le occasioni non mancano e non mancheranno. Viviamo fortunatamente su una penisola straordinaria che ha visto crescere alcune delle più grandi figure di ogni tempo, che ha prodotto bellezza e invenzioni, che ha saputo lanciare positivi valori immortali e dove molti continuano ad impegnarsi nonostante tutto e tutti. Se è questo il momento di ritrovare le ragioni dell’appartenenza, possiamo dire con Obama: tutti insieme. Due parole. Un pensiero forte che può guidare – adesso – anche la nostra politica.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!