Montenegro amaro per Milo Đukanović

GIUSEPPE ZACCARIA
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Quando accade una cosa strabiliante, imprevista o ancora indecifrabile, la reazione dell’ex jugoslavo medio si concreta nell’espressione “ohiohiohi…”. Quando qualcuno minaccia sfracelli o al contrario promette cose impensabili, la risposta è sempre “ohihohiohi”, può dirlo persino una donna nel bel mezzo dell’atto amoroso per dimostrare al partner quanto è coinvolta. E martedì, alla notizia che dopo 21 anni di gestione del potere Milo Đukanović, si è dimesso da primo ministro del Montenegro denunciando le “interferenze di servizi segreti stranieri” la medesima espressione è rimbalzata in tutte le sue possibili intonazioni da Lubiana a Pristina, senza trascurare nemmeno il più remoto villaggio.

A questo punto, nel linguaggio degli osservatori internazionali si dovrebbe dire che per il Montenegro e i Paesi vicini si apre una fase di grande instabilità, perché non si è ancora trovato il modo di dire elegantemente che diventa tutto un gran casino. Qualcuno per descrivere i Balcani odierni ha rispolverato il mito di Casablanca ma dimentica il fatto che specie negli ultimi venti anni da queste parti si è andati molto al di là dei vecchi schemi spionistici, e che non c’è stato nessun Humphrey Bogart ma solo servizi segreti che spiavano altri servizi segreti, politici che spiavano altri politici, primi ministri assassinati e uomini di potere arrestati in lunghe serie mentre giornalisti e faccendieri venivano eliminati.

In questa fase però la novità vera è che le cosiddette “intelligence” di Oriente e Occidente sono entrate in scontro aperto – soprattutto da quando Đukanović ha “tradito” Mosca facendo entrare il suo piccolo Paese nella Nato – e a dimostrarlo ci sono almeno tre fatti.

Primo: due domeniche fa, nella mattina delle elezioni vinte per un soffio ma perse nella sostanza, il governo Đukanović con una decisione senza precedenti fa arrestare venti persone, quasi tutte di nazionalità serba, accusandole di aver tramato un colpo di Stato. Fra di essi c’è Bratislav Dikić, ex comandante della gendarmeria di Belgrado. “Una banda armata organizzata da servizi di spionaggio stranieri si apprestava ad occupare il corpo di guardia del Parlamento di Podgorica per aprire la strada a un colpo di Stato”, la sapere il governo. Le opposizioni gridano al bluff, ma poche ore dopo dalla capitale serba il primo ministro Vucić conferma che in effetti è stato individuato in gruppo di agitatori, sono state sequestrate armi e divise e sono stati compiuti alcuni arresti.

Secondo: a metà settimana, quasi senza preavviso, il capo del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev visita Belgrado.L’incontro ufficialmente serviva a discutere di “terrorismo internazionale e misure di sicurezza” e pare sia sfociato anche in un incomprensibile “patto di collaborazione” fra ministeri degli interni che già collaboravano. Nel frattempo però un quotidiano della capitale scrive che Patrushev se ne n’è andato portando nel suo seguito tre persone in più, ovvero presunti agenti russi arrestati nei giorni scorsi. Se non siamo alla scambio sul genere “Il ponte delle spie” non è perché non ci siano i ponti, ma solo perché le spie serbe in Russia scarseggiano.

Terzo fatto: un membro della direzione della polizia criminale serba è stato arrestato sotto l’accusa di “aver trasferito informazioni ad un’agenzia occidentale”, e per come il ministro degli interni ha riferito l’informazione la cosa sembrava riportare direttamente all’ambasciata americana. Il premier Vucić rincara la dose e dice che “qualcuno si incarica di fornire informazioni ai funzionari dei servizi segreti stranieri ed alle ambasciate”. La delegazione Usa tace, ma da Zagabria si polemizza anche su un altro arresto collegato allo spionaggio, quello di un certo Čedo Čolović, che è stato arrestato in Serbia all’inizio di settembre con l’accusa di spionaggio a favore della Croazia ma in realtà sarebbe collegato a vecchi crimini di guerra, chissà.

A guardarla freddamente, la situazione al momento sembra rappresentare una perfetta applicazione del manuale Cencelli alle guerre fra spioni, un colpo ad Est e uno all’Ovest, in attesa di vedere cosa succede, ma i fatti verificabili per il momento si fermano qui,e tutto il resto appartiene alla solita fiera di mosse e dichiarazioni fatte a beneficio dei pochi giornali ancora esistenti.

Dopo aver annunciato le dimissioni, Milo Đukanović incarica di formare un nuovo governo montenegrino Duško Marković, suo antico sodale e compagno di partito ma soprattutto ex direttore dei servizi di sicurezza nazionali. Le opposizioni rispondono che la dittatura non passerà e negano di essere finanziate dalla Russia.

Ad oggi siamo a questo punto, e per immaginare cosa potrebbe accadere già nella prossime ore non basterebbe un Le Carré in grandissima forma. Poi, come sempre accade, quando l’instabilità aumenta si infittiscono anche le provocazioni e come dicevano i nostri nonni anche alle pulci viene la tosse: dal disperato Kosovo parte un bizzarro ultimatum, o la Serbia ci riconosce come Stato o interrompiamo le trattative per l’ingresso nell’Unione. A Belgrado il ministro degli esteri, Ivica Dačić, più o meno risponde: “Trattative per entrare dove?” e Bruxelles, come sempre, prudentemente tace forse perché non ha capito.

Quanto a Milo Đukanović resta da sottolineare un’ ultima cosa: ha 54 anni, è al potere da quando ne aveva 29 e fu il più giovane primo ministro d’Europa, è sopravvissuto a Slobodan Milošević, all’inchiesta sul contrabbando di sigarette della Procura di Bari, a trappole e sgambetti di ogni tipo e prima di oggi si era dimesso già due volte, nel 2006 e ne 2012 prima di tornare rapidamente al potere per scomparsa o incapacità dei suoi successori. Allora, come oggi, aveva detto che “è tempo di lasciare che in Montenegro sia governato da giovani e forze nuove”. Ohiohiohi

 

Montenegro amaro per Milo Đukanović ultima modifica: 2016-10-29T15:38:58+02:00 da GIUSEPPE ZACCARIA
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