Trumpworld. La squadra del presidente. Il peggio deve ancora venire

GUIDO MOLTEDO
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Il cop bianco che sparerà contro un africano americano disarmato d’ora in poi avrà ancor meno da temere di quanto non avvenga oggi. Potrebbe anzi essere premiato. L’agente assassino avrà convintamente dalla sua parte Rudy Giuliani, il sindaco-sceriffo della “tolleranza-zero”, o Chris Christie. Uno dei due è il probabile futuro attorney general, il ministro di giustizia.

Di Giuliani, sindaco tosto di NYC, si ricordano anche in Italia le gesta. Il suo nome è indicato anche tra gli aspiranti alla direzione della Cia. Molto meno note sono invece le gesta di Christie. Le più gloriose, da fargli meritare una poltrona in prima fila nella prossima amministrazione, sono quelle del Bridgegate.

Di che si tratta? Il gaglioffo governatore del New Jersey fece creare ad arte maxingorghi, nel settembre 2013, all’ingresso del George Washington Bridge, il ponte più trafficato del mondo (102 milioni di veicoli all’anno) che collega il suo stato con Manhattan, per punire e inguaiare Mark Sokolich, il sindaco democratico di Fort Lee, la cittadina dove inizia quel ponte, colpevole di non essere passato dalla sua parte al momento della sua rielezione a governatore. Christie è ormai conosciuto non solo per il Bridgegate ma anche per le sue pose da bullo ridotto però a fare letteralmente il domestico di The Donald.

A Teheran e all’Avana, intanto, si preparano a tornare alla “guerra fredda” pre-obamiana. Leggono, anche in quelle capitali, i nomi che circolano per la sostituzione di John Kerry: Newton Gingrich e John Bolton.

“Newt” è una vecchia conoscenza della politica washingtoniana. Speaker della camera negli anni 90, aveva chissà quale carriera davanti, proponendosi come l’anti-Clinton repubblicano. Non è mai più riuscito a tornare in prima fila, se non, quest’anno, grazie a Trump. Mentre tutti i papaveri repubblicani prendevano le distanze da The Donald o tramavano per farlo fuori, Newt, e con lui Christie e Giuliani, ne diventavano i più solidi alleati e, nella parte finale della corsa, i principali consiglieri e i “surrogati” che ne facevano le veci con comizi e interviste. E lo difendono anche dopo la pubblicazione del video in cui il candidato repubblicano fa commenti pesantemente sessisti e volgari contro le donne.

Per questo s’attendono adesso di essere ricompensati con i premi più ambiti, i posti chiave nell’amministrazione Trump.

Christie, intanto, guiderà il team del nuovo presidente incaricato della transition, la fase del passaggio dei poteri dall’attuale alla nuova amministrazione. Ovviamente John Podesta, il campaign manager di Clinton, ne aveva chiesto la rimozione da questo incarico così delicato. Ma quanto conta adesso il parere di Podesta?

Quale è il loro profilo politico? Qual è l’amalgama della nuova squadra presidenziale? Basti dire che Donald Trump è più affidabile, meno ottuso, meno cattivo, meno “falco” di ognuno di loro. Sarà il volto più presentabile della banda Bassotti che governerà l’America dopo Obama.

L’amministrazione repubblicana che s’insedierà a gennaio – sostiene una certa vulgata sui media italiani – sarà più pragmatica e meno ideologica, molto più dentro la logica del potere washingtoniano messo all’indice da Trump, molto più più dentro i canoni consueti dell’azione di governo rispetto al rude stile sovversivo della campagna elettorale di The Donald. Faranno squadra, non faranno gli squadristi, ci assicurano i nostri commentatori.

Come non tirare un sospiro di sollievo se sarà così?

Il dubbio che possa andare così però è gigantesco. Ancor più che dai suddetti nomi, che dopotutto sono uomini politici, anche se estremisti non estranei al compromesso, viene dai nomi dei cosiddetti “tecnici” che sono entrati nella rosa dei candidati a posti di ministri di massimo rilievo. Per esempio, Stephen Hadley, uomo chiave della presidenza di George W. Bush, o un altro super falco, l’ex generale Michael Flynn, già capo dell’intelligence militare, entrambi indicati per la guida del Pentagono.

Ma il nome più inquietante è quello di John Bolton, baffi da tricheco, ambasciatore all’Onu all’epoca di Bush, beniamino dei neo-con, perfino più falco, se possibile, di Cheney e di Rumsfeld. Di quell’amministrazione catastrofica è stato, con Cheney, la voce più critica verso la politica internazionale di Obama, in particolare sulla distensione con Cuba e con l’Iran. La sua nomina a segretario di stato o a consigliere per la sicurezza nazionale sarebbe il segnale più chiaro della cancellazione in tempi brevi delle intese siglate con Teheran e con L’Avana.

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Donald Trump e John Bolton

Una soluzione più soft per Foggy Bottom – il soprannome del dipartimento di stato, dal quartiere in cui si trova – potrebbe essere quella di Richard Haass, 65 anni, presidente del Council on Foreign Relations dal 2003. È un diplomatico classico, conservatore, non oltranzista tuttavia come sono invece Bolton e Gingrich.

L’altro posto più in alto nella gerarchia del governo americano, il segretario al Tesoro, è ambito da Steve Mnuchin, a lungo ai vertici di Goldman Sachs. Mnuchin è stato il responsabile finanziario della campagna elettorale di Trump. Dopo aver accumulato una fortuna di oltre quaranta milioni di dollari alla Goldman Sachs, nel 2002 ha lasciato il gruppo finanziario fondando la RatPac-Dune Entertainment, che ha prodotto film campioni d’incasso come Avatar. Gira anche il nome di Carl Icahn per il Tesoro. Il presidente della Icahn Enterprises è titolare di un patrimonio di 17 miliardi di dollari, ed è pertanto il 43º uomo più ricco del mondo secondo Forbes. Un altro imprenditore, Forrest Lucas, cofondatore dell’omonima società petrolifera, diventerebbe segretario agli interni. Un posto a cui ambiscono sia Sarah Palin, che comunque avrà un incarico di rilievo, sia Christie, nel caso non riuscisse a ottenere la Giustizia, sia Donald Trump jr, mentre il genero Jared Kushner potrebbe avere l’incarico di capo dello staff.

Poltrona destinata anche a Reince Priebus, il presidente del Partito repubblicano che non ha mai mollato Trump anche quando tutto l’establishment del GOP aveva scomunicato The Donald. Ricompensarlo con il posto più importante nella macchina organizzativa della Casa bianca è il minimo. Lo stesso vale per i “complici” più intimi del magnate, come il picchiatore di cronisti, Corey Lewandowski, la mente della sua campagna di cattiverie e incontinenze verbali, e Kellyanne Conway, la sua campaign . E poi il senatore dell’Alabama Jeff Sessions, l’unico vero sostenitore del tycoon al Congresso, nella rosa degli aspiranti agli Interni e al Pentagono, e Ben Carson, il ricco neurochirurgo di Detroit, l’africano americano bigotto che detesta Obama ed è il cocco della destra più conservatrice.

 

Trumpworld. La squadra del presidente. Il peggio deve ancora venire ultima modifica: 2016-11-11T16:30:07+01:00 da GUIDO MOLTEDO
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1 commento

MAURIZIO 12 Novembre 2016 a 17:45

Il pezzo è onesto come un giornalista di manifesta area politica dovrebbe fare però c’è un piccolo particolare che mi sento di criticare ed è la continua battaglia a verdetti espressi dal popolo in”democrazia”parola che alla sinistra specialmente più estrema resta indigesta,a prescindere dai dubbi e le paure che lei può avere verso chi ha vinto le elezioni e la squadra che andrà a formare penso che si debba rispettare il popolo americano per il voto espresso non è che se vinceva la Clinton erano tutte rose e fiori tutt’altro per cui pensa che l’analisi dovrà essere fatta nel tempo d’altronde ad Obama hanno dato un Nobel solo per il colore della pelle e poi si è visto i disastri che ha fatto

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