Fortezza America. Le conseguenze del muro di Trump

GIUSEPPE SACCA'
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L’elezione del presidente della più grande potenza economica e militare del mondo interessa tutto il globo. Ma alcuni paesi più di altri. E lo Stato che ha il legame più stretto con gli USA è il Messico. Condividono una lunghissima frontiera (oltre tremila chilometri), un sistema commerciale ed economico molto integrato dal 1994 (data dell’entrata in vigore del NAFTA, l’accordo nordamericano per il libero scambio), una lingua (lo spagnolo è parlato da circa cinquanta milioni di statunitensi, ossia il diciotto per cento della popolazione, con percentuali che arrivano al trenta per cento in alcuni stati) e oltre dieci milioni di abitanti (ai quali si devono sommare i nati negli USA ma da genitori messicani, altri quindici milioni).

Le politiche transfrontaliere investono il commercio, la finanzia, il contrasto al crimine organizzato (narcotraffico e traffico di armi) e l’utilizzo delle risorse idriche. Un bel puzzle anche in fatto di governance: tanto gli Stati Uniti quanto il Messico sono stati federali, dove le relazioni non si costruiscono solo tra Washington e Città del Messico ma anche tra gli stati frontalieri (sei messicani e quattro statunitensi) e tra le città costruite a cavallo della frontiera, agglomerati di milioni di persone, vere e proprie metropoli meticce. Il quadro è complesso e se guardiamo ai dati elettorali la sfida per Trump ancora più complicata: ha vinto in due stati come la Clinton, ma sono sessanta i delegati democratici contro 49 repubblicani e soprattutto undici milioni di voti per la Clinton contro i nove per Trump.

In questi giorni il dibattito transfrontaliero è dominato dal tema dell’immigrazione illegale. Al momento dell’insediamento Trump si troverà un confine attrezzato per combattere questo fenomeno con circa mille chilometri tra muri e barriere e un corpo di frontiera specializzato, fornito delle più avanzate tecnologie. Il primo tratto della barriera, poi sempre rinforzata ed estesa, è stato edificato nel lontano 1971. Sotto la presidenza Obama, secondo gli ultimi dati disponibili, sono stati rimpatriati 2,8 milioni di immigrati irregolari.

Gli Stati Uniti rispetto alle politiche migratorie, nonostante le pressioni del governo messicano, di molti organismi internazionali e innumerevoli ONG, hanno avuto sempre un atteggiamento molto rigido e spesso ben poco rispettoso dei diritti umani. Obama ha proseguito, in silenzio, la politica di Bush e prima ancora di Clinton. Promettere ai propri elettori di rafforzare il muro e di rimpatriare tre milioni di immigrati irregolari non ha nulla di rivoluzionario per un neoeletto presidente. E alle parole di Trump sono seguite delle piccole, ma importanti, sottolineature di personalità che avranno un ruolo nella futura amministrazione quali Rudolph Giuliani (“l’edificazione di nuove parti del muro sono state già deliberate”) e Paul Ryan oggi capogruppo alla Camera per il Partito repubblicano (“Donald Trump non sta organizzando nessuna forza di deportazione. Vogliamo solo sapere chi entra e chi esce per la frontiera”).

Ciò che sta rendendo molto caldo il quadro sono alcune delle parole utilizzate da Trump, e mai smentite, con le quali ha bollato gli immigrati messicani accusandoli di essere nella maggior parte dei casi ladri, violentatori, portatori di droga e di avere un background criminale. Trump sta giocando con il fuoco: materialmente il confine non è certo più la frontiera raccontata da Cormac McCarthy ma le caratteristiche sono sempre quelle, ossia territori immensi con una natura impossibile e selvaggia, regno di piccole e grandi ingiustizie, visceralmente violenti. Tutto è estremo nella frontiera.

Il visitatore attraversando il confine con occhio attento potrà avere le stesse sensazioni che si hanno quando si vede dal vivo una corrida: la forza e la furia del toro lottano contro la disciplina e le presenza di spirito del torero. Un gioco molto pericoloso perché in questi luoghi la violenza può essere tale da rendere la cronaca ben più macabra dei peggiori incubi.

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Il muro che separa San Diego, California, da Tijuana, Messico

Ma forse la vera domanda è: Trump, da abile torero quale è, visto che è riuscito a diventare presidente contro tutti i pronostici, sta alzando il tono sui temi delle politiche migratorie per lasciarle di fatto immutate e intervenire negli accordi commerciali come, ad esempio, il NAFTA? Un cambio di politica sul trattato di libero commercio tra Canada, USA e Messico è più in linea con le sua idee sul commercio mondiale e sicuramente più dirompente di ogni nuovo muro per l’economia frontaliera, che ne uscirebbe sconquassata dalle fondamenta.

La confusione è ancora molta e ciò del resto accade dopo ogni elezione nella quale si sconta una naturale gap tra ciò che si promette, ciò che si può effettivamente realizzare e ciò che si vuole concretizzare. Fenomeno con articolazioni ancora più forti quando il vincitore non ha nessuna esperienza di governo: Trump è il primo presidente statunitense dai tempi di Eisenhower a non aver mai ricoperto nessuna carica politica in precedenza.

Ammesso e non concesso che essere il Comandante in capo delle forze Alleate prima nel teatro del Mediterraneo nel 1942-1943 e quindi dal 1944 in Europa e successivamente governatore della Germania occupata dalle truppe statunitensi non siano anche cariche politiche. Altrimenti bisogna risalire molto più di indietro arrivando a Ulysses Grant, generale unionista vittorioso nella guerra di secessione. E prima di lui ad un altro generale, Zachary Taylor, vincitore proprio della guerra con il Messico combattuta tra il 1846 e il 1848 che ha permesso agli USA di annettersi Texas, California, Nevada, Utah, Nuovo Messico e parti di Arizona, Colorado, Wyoming, Kansas e Oklahoma.

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Nel frattempo i messicani di entrambi i lati della frontiera stanno inondando il web di centinaia di video e vignette satiriche che spesso colgono meglio di mille articoli il sentimento di milioni di persone. Ne abbiamo selezionate due: la prima è un fotomontaggio che propone come futuro presidente messicano (si voterà nel 2018) El Chapo Guzmán, narcotrafficante specializzato in lunghi tunnel per fuggire da prigioni di massima sicurezza e gallerie per commerciare sostanze stupefacenti tra il Messico e gli USA; la seconda segnalazione è un video di cinque minuti che racconta con grande sagacia lo stretto intreccio tra Messico e Stati Uniti.

Guardandolo con attenzione troveremo molti dei simboli della messicanità (mariachi, taco, lotta tra polli, lotta libera, ecc.) ma il finale fa ben capire come i messicani negli USA rivestono anche importanti funzioni. Ad oggi, in attesa di capire le reali intenzioni di Trump, la frontiera e i suoi abitanti prendono con spirito la situazione creatasi.

Fortezza America. Le conseguenze del muro di Trump ultima modifica: 2016-11-19T13:30:43+01:00 da GIUSEPPE SACCA'
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