Bilancio 2017/19. Duecento cappellani militari. Trenta milioni di stipendio

GIORGIO FRASCA POLARA
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Lo sapevate che il cardinale Angelo Bagnasco oltre ad essere arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale, è anche generale di corpo d’armata dell’esercito italiano? E sapevate che, come tale, il gen. Bagnasco percepisce dallo Stato non una congrua ma una regolare pensione parametrata allo stipendio (9.500 euro lordi al mese) che gli è stato pagato sino a quando è stato l’ordinario militare per l’Italia, cioè il vescovo-capo della struttura religiosa di tutte le forze armate? È una, solo una delle stupefacenti informazioni che si traggono dalla lettura della “nota integrativa” del ministero della Difesa al bilancio triennale 2017-2019 (la Finanziaria di una volta).

Niente male come fonte di notizie, questa nota. La prima: per l’anno prossimo è previsto che ci siano in servizio duecento cappellani militari (cattolici, manco a dirlo): 81 nell’Esercito, 31 tra i Carabinieri 30 nell’Aeronautica, 28 tra le Fiamme gialle, 27 nella Marina e tre – come dire? – liberi battitori, nel senso che sono svincolati dall’appartenenza ad uno specifico corpo. La spesa annuale a carico dello Stato per gli stipendi è di nove milioni e mezzo, anzi un poco di più: 9.579.962. Che nel triennio fanno quasi trenta milioni di euro pari a (è bene ricordarlo, ogni tanto) sessanta miliardi di vecchie lire.

Cifra sbalorditiva nevvero? E qui c’è la seconda notizia, cioè come si arriva a cotanta spesa. Gli è che i cappellani sono assimilati ai soldati (non alla bassa forza ma agli ufficiali) e inseriti nella gerarchia militare con criteri assai larghi, generosissimi. L’ordinario – cioè Bagnasco come i suoi successori – viene equiparato a generale di corpo d’armata e in quanto tale gode di uno stipendio lordo annuo di 124mila euro; poco meno il suo vicario (che ha il grado di generale di divisione o maggiore generale) e si becca 107mila, che fanno ottomila al mese. L’ispettore invece è generale di brigata: seimila mensili per 79mila/anno; e via discendendo: il vicario episcopale, il cancelliere e l’economo sono assimilati ai colonnelli (60-70mila anno), il primo cappellano capo è un maggiore, con tre-quattromila euro al mese, il cappellano capo è un capitano (tremila mensili), mentre il cappellano semplice ha il grado di tenente e percepisce 2.500 al mese.

E l’assistenza ai militari di altre religioni, dai protestanti ai musulmani, dagli ebrei agli avventisti? Qui la “nota integrativa” conferma in modo plateale quel che era facile immaginare. Quasi che quella cattolica fosse ancora, in Italia, la “religione di stato” (come fu dallo Statuto albertino nel 1848 all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, esattamente un secolo dopo), i militari credenti in altre religioni non esistono per il ministero della Difesa e in definitiva per lo Stato. E se la Carta sancisce, tra i principi fondamentali, all’art. 3, “pari dignità sociale” di “tutti i cittadini” che “sono eguali…senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione…”, ecco che per quasi tutte le altre religioni praticate nel nostro Paese esistono, sancite in Costituzione (art. 8, terzo comma), delle speciali “intese”, in base alle quali – per esempio – anche le altre confessioni sono ammesse alla ripartizione dell’8 per mille dell’Irpef. Ma non esiste da nessuna parte una qualche “intesa” che vincoli lo Stato a farsi carico della retribuzione dei cappellani-tutti ufficiali della sola chiesa cattolica.

Già che ci siamo, non può mancare un accenno all’incredibile beneficio che, grazie alla benevolenza di Bettino Craxi e del suo primo governo, la chiesa cattolica ha strappato con la legge n. 222 del maggio 1985 che ha istituito la quota di imposta sui redditi da ripartire tra lo Stato e le confessioni religiose: quella cattolica con il “nuovo” concordato, le altre con le “intese”. Come ognun sa la scelta sull’effettiva destinazione dell’8 per mille viene effettuata da ciascun contribuente, ma se questi non esprime una preferenza, la destinazione viene stabilita in proporzione alle scelte espresse. Accade così (e mai denuncia è stata ed è tanto ignorata quanto questo sfacciato favoritismo) che se quasi il sessanta per cento dei contribuenti lascia in bianco la destinazione del contributo, paradossalmente questo silenzio non favorisce lo Stato ma la Cei che, a fronte del 38 per cento di opzioni espresse in favore della chiesa cattolica, si è accaparrata l’82 per cento dell’intero ammontare dell’otto per mille: più di un miliardo di euro, anziché meno della metà: 485 milioni.

Già, forse ha proprio ragione il “modesto signor di buonafede” (cioè Leo Longanesi) quando, tra i suoi “giusti pensieri” colloca quella chiesa che “ha sempre capito che in fatto di moralità è sempre meglio essere di manica larga piuttosto che cadere nel quacquerismo americano”. Manica larga in primo luogo con se stessa…

Bilancio 2017/19. Duecento cappellani militari. Trenta milioni di stipendio ultima modifica: 2016-12-20T17:04:41+01:00 da GIORGIO FRASCA POLARA
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