Pittore, scultore, autore di scenografie televisive e illustratore per l’editoria, Carlo Guarienti è tornato a Treviso, città natale, con la mostra La scultura, la pittura e la memoria, allestita al museo civico Luigi Bailo, nelle sale destinate alle esposizioni temporanee, ai lati della luminosa e imponente galleria d’ingresso, e aperta fino al 17 aprile. A novantatré anni compiuti, vitalissimo, caustico con i giornalisti e polemico con le istituzioni, stupisce per l’attualità e l’originalità dei sessantotto lavori qui presentati – dipinti e sculture – quasi tutti degli anni Duemila, alcuni del 2016.

Carlo Guarienti al Bailo (foto di Ennio Pouchard)
Rispetto allo spazio che le ospita l’affollamento di opere è indubbio e tuttavia non disturba, sia per la sobrietà dell’allestimento, sia perché è un’occasione di approfondire l’operare di un protagonista che è sulla scena internazionale sin dal 1956, quando partecipò alla XXVIII Biennale di Venezia e a un’esposizione della Royal Academy di Londra. Dopo la presenza nelle più autorevoli rassegne collettive e le tante personali in storiche gallerie private italiane e d’oltralpe, nell’ultimo decennio sue monografiche hanno avuto luogo all’istituto Italiano di Cultura di New York e di Londra, al Museo di Castelvecchio di Verona e a Palazzo Ducale di Venezia.
La famiglia era originaria di Verona, città che egli frequentava affascinato dalle sue storiche bellezze. Qui viveva lo zio che per diletto realizzava terrecotte in un proprio forno, lasciato poi in eredità a questo nipote, che a quindici anni iniziò lì a plasmare la creta. La passione per il disegno e la pittura l’ha coltivata a latere degli studi in medicina a Padova, conclusi nel 1949, decidendo subito dopo di darsi all’arte. La successiva permanenza in Spagna (con borsa di studio), i soggiorni a Roma e Parigi, che per lui diventerà meta abituale, la vicinanza ai “moderni” pittori figurativi – in primis Giorgio De Chirico, che egli tanto ammira ancor oggi – sono circostanze che hanno influito nei suoi orientamenti.

Carlo Guarienti, Autoritratto, 2006 (foto di Ennio Pouchard)
Stabilitosi nel 1956 a Roma, il suo fare si è espresso in fasi diverse: realismo “inquieto”, metafisica, surrealismo, geometrismo e, in quella più recente, un realismo corroso nella materia e nella forma. In tali fasi sono riconoscibili passaggi i cui rimandi vanno dalla classicità dei maestri rinascimentali all’ascendenza delle letture in cui via via si immergeva: Sigmund Freud, Pound, Svevo, Musil, Proust. E poi dal trarre ispirazione dalla produzione letteraria di amici che frequentava – Cesare Pavese, Primo Levi, Dino Buzzati e Goffredo Parise – fino alla sintesi di una mai interrotta sperimentazione di tecniche nuove.

Carlo Guarienti, Autoritratto, 2007 (foto di Ennio Pouchard)
Tornando alla mostra trevigiana, progettata dagli architetti Franco Fonzo e Luca Lagrecacolonna, gli esiti di tale sperimentazione si ritrovano sia nei dipinti sia nelle opere scultoree, alle quali si è dedicato assiduamente dall’inizio del Duemila, perché prima erano praticamente invendibili.
Tra i dipinti dell’esposizione, al ritratto di De Chirico seduto fa eco l’autoritratto nella stessa posa; in altri ritrae ripetutamente se stesso, ossessivamente: nudo, pennellato di sostanza che sembra sgretolarsi, o in effigi evanescenti, al limite della sparizione. Con aria da santone o solenne pari a un papa del rinascimento, oppure su uno sfondo di rossi lussuriosi, nudo e verdastro con il ghigno di un satiro, mentre nell’ultimo, del 2016, sta seduto sfacciatamente nudo con la modella, ugualmente nuda, avvinghiata al suo corpo.

Carlo Guarienti, Senza titolo, 2013 (foto di Ennio Pouchard)
Le tecniche adottate sono le più varie: lo strappo d’affresco, l’uso di materiali insoliti, come la tempera all’uovo, il caseato di calcio, le misture d’intonaci scrostati e di resina sintetica mescolata a colore e a sabbia, per ottenere effetti di superfici invecchiate dal tempo. Nelle sculture ancora autoritratti, di non-finiti fatti di materia terrosa, arrugginita, che pare stia per decomporsi, e colpisce il Doppio autoritratto in bronzo, dove l’uno guarda l’altro che sembra pendere da una forca. In tutti c’è una forza assoluta, quasi fossero non rappresentazione del corpo, ma del governo della mente: sono il pensiero che domina sulla realtà.
Vi sono sculture di arcaica solidità, altre di slancio giacomettiano, centauri di forza bruta, cavalli nella tensione del galoppo, tori minacciosi. In questi lavori, fortemente anti-graziosi – perfino nella raffigurazione geometrica di porte rose dal tempo, oltre le quali non pare certo trovarsi il Paradiso – più che inquietudine da essi scaturisce una riflessione sull’energia da cui nascono, che si direbbe intessuta di dolori mai sopiti.

Carlo Guarienti, Autoritratto, 2004
Giovanni Comisso, referente della vita culturale trevigiana, gli dedicò nel 1954 la prima monografia, riconoscendone il talento. A firmare testi sulla sua opera sono stati negli anni, tra gli altri, Giuseppe Ungaretti, Pierre Klossowski, Giuliano Briganti, Alberto Moravia, Dino Buzzati, Giovanni Carandente, Giorgio Cortenova, Giuseppe Mazzariol, Rossana Bossaglia, Vittorio Sgarbi, Marco Goldin. E questa mostra dimostra che su Carlo Guarienti c’è ancora molto da indagare.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!