“Fresca come cupo smeraldo
all’ombra di folti giardini,
brillante come cristallo
levigata dall’acqua è Peterhof.”
Pëtr Vjazemskij
Fino al 29 gennaio, alla Reggia di Venaria di Torino, grazie alla mostra “Meraviglie degli Zar. I Romanov e il Palazzo Imperiale di Peterhof”, è ancora possibile veder sfilare tre secoli di storia russa. Un percorso che si intreccia, tra il Settecento e l’Ottocento, con quello delle grandi corti d’Europa e che ha determinato un intenso scambio socioculturale tra il mondo russo e quello europeo.
L’iniziativa, realizzata dal Peterhof State Museum Reserve, da “La Venaria Reale”, dal ministero della Cultura russo e dal “Consorzio di Valorizzazione Culturale La Venaria Reale”*, rende omaggio alla Residenza imperiale di Peterhof, inaugurata nel 1723, che rientra tra i simboli più rilevanti di tale connubio.
Situata a pochi chilometri da San Pietroburgo, sulle rive del Golfo di Finlandia, e fortemente voluta dallo Zar Pietro I Romanov (detto “Pietro Il Grande”, 1672 – 1725), Peterhof, con 430 ettari di parco, più di 150 fontane, 33 musei ospitati e oltre quattro milioni di visitatori l’anno, è una delle mete turistiche e culturali più importanti della Russia.

Foto di Annalisa Bottani
Come ricorda Elena Kalnitskaya, direttrice generale del Peterhof State Museum Reserve e curatrice della mostra, la Residenza, composta, principalmente, dal Gran Palazzo di Peterhof, dai tre Padiglioni del Parco Inferiore – Marly, Hermitage e Monplaisir – e dal Parco di Alessandria, cui nel corso dei secoli si sono aggiunte altre creazioni architettoniche,
è espressione non solo dei tratti più caratteristici della cultura russa, ma anche del gusto e del temperamento dei membri della dinastia imperiale che l’hanno abitata.
La mostra rievoca, infatti, “l’essenza” della Residenza esponendo alcune delle “meraviglie” acquistate dai Romanov durante i grand tour in Europa e quelle commissionate dagli Zar agli artisti russi: i dipinti (tra cui quelli di Pietro Antonio Rotari), che segnarono l’inizio della tradizione del collezionismo russo, gli arazzi, i ritratti degli Zar, le porcellane orientali, occidentali e russe (ad esempio, il noto Servizio Gur’ev), le manifatture russe (vasi, orologi etc.) in pietre preziose (malachite, diaspro, lapislazzuli, rodonite), senza dimenticare gli oggetti d’arte decorativa, gli arredi artistici e i sontuosi abiti in cui lo stile russo abbraccia la moda europea.
Il sogno petrino di una “Versailles del Nord”, ripensata, tuttavia, secondo lo stile russo e caratterizzata da uno straordinario sistema di fontane e cascate, è animato dal desiderio del sovrano di aprire il mondo russo all’Occidente. Lo dimostra la decisione di coinvolgere nella realizzazione della Residenza importanti architetti stranieri, tra cui, solo per citarne alcuni, il francese Jean-Baptiste Le Blond, i tedeschi Johann Friedrich Braunstein e Andreas Schlüter, gli italiani Rastrelli (padre e figlio), Nicola Michetti e i maestri fontanieri Giovanni e Giuliano Barattini e il francese Paul Soualem.

Foto di Annalisa Bottani
E questo sogno, alla morte di Pietro, non si cristallizza nel tempo, ma si evolve e cambia volto. Tutti i Sovrani, infatti, hanno lasciato il proprio segno: da Caterina I, moglie di Pietro Il Grande, più attenta allo svago che alla creatività architettonica ad Anna Ioannovna che proseguì la fase di espansione della Residenza, da Elisabetta Petrovna (figlia di Pietro Il Grande), decisa a realizzare i progetti del padre, a Caterina II, che, malgrado i ricevimenti e le feste, non amava Peterhof a causa dei ricordi legati alla congiura di palazzo contro il marito. Fino ad arrivare, passando per Paolo I e Alessandro I, al “secondo padre di Peterhof” – lo Zar Nicola I, che fece ampliare e ristrutturare la Residenza. Sue le parole dedicate a Peterhof e pronunciate in punto di morte: “La amo, la amo, non smetterò mai di amarla”. E, infine, dopo Alessandro II e Alessandro III, Peterhof vide compiersi anche il destino dell’ultimo Zar, Nicola II, che lasciò il Palazzo, inconsapevole del tragico corso della Storia.

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Negli anni successivi alla Rivoluzione del 1917 Peterhof venne nazionalizzata e dal 1941 al 1944 venne devastata e depredata dall’occupazione nazista. Dopo la liberazione iniziarono i lavori di ricostruzione dell’intero complesso e delle fontane fino ad arrivare al 1964, anno in cui finalmente i visitatori ebbero la possibilità di visitare le sale restaurate. Gli interventi di manutenzione proseguono ancora oggi, rendendo la Residenza una punta di diamante del panorama culturale russo.
Secondo lo scrittore e critico letterario Arnaldo Colasanti,
l’atmosfera di Peterhof svela una qualità profonda che non compete alla storia dell’arte, ma alla verità di individui che vissero in tempo di corte con spietata tenerezza ingenua, come non sarebbe mai accaduto a Versailles e come forse mai più, in Russia, capiterà di nuovo fino alla tragedia dei Romanov.
Perché è stata scelta proprio la Reggia di Venaria, dichiarata Patrimonio mondiale dell’Umanità dall’UNESCO, per restituire lo Spirito del Tempo di Peterhof?
Peterhof e Venaria, secondo Paola Zini e Mario Turetta, rispettivamente presidente e direttore della Venaria Reale, condividono
due destini analoghi: residenze di corte, devastate nel Novecento dall’incuria e dalla guerra e poi rinate a nuova vita […] Luoghi dove si sono intrecciate le vite dei sovrani delle due dinastie: i Romanov vengono a Venaria nel 1782 e nel 1857; i Savoia vanno a Peterhof nel 1876.
Per Zini e Turetta
Pietro Il Grande guardò all’Europa per creare San Pietroburgo e la sua casa di Pietro, Peterhof, così come Carlo Emanuele II costruì la Venaria Reale negli stessi anni (nel 1658 circa) in cui suo cugino primo Luigi XIV faceva realizzare Versailles.
Lo scambio diplomatico tra i Savoia e i Romanov fu molto intenso. Il 1782, data cui si è accennato in precedenza, è il momento centrale nella storia dei rapporti tra le due dinastie. Torino (e, in particolare, la Reggia di Venaria) fu, infatti, insieme ad altre città italiane, una delle mete del grand tour europeo (Polonia, Austria, Francia, Belgio, Olanda e Germania), durato 14 mesi, scelte dai conti del Nord (ossia, il futuro Zar Paolo I e la moglie Maria in incognito). Questo scambio politico e diplomatico puntava a rafforzare l’aggiornamento culturale (in seguito, anche militare) e a stringere rapporti di committenza con gli artisti. Sempre alla Venaria Reale furono ospitati nel 1857 anche i granduchi Michele e Costantino, figli dello Zar Nicola I.

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Dopo il 1861 i rapporti tra Russia e il nuovo Regno d’Italia assunsero un ruolo ancora più strategico. Il primo esponente di Casa Savoia a recarsi in Russia nel 1870 fu il principe Umberto I, che nel 1876, con la moglie Margherita, venne nuovamente accolto a Peterhof dallo Zar Alessandro II.
Tra l’Ottocento e il Novecento i rapporti si intensificarono a seguito dello sviluppo della Russia (in particolare, nei bacini industriali sul Baltico e sul Mar Nero), caratterizzata da un ruolo sempre più centrale a livello internazionale. L’interesse dei Savoia non era solo motivato da questioni diplomatiche, ma anche da un “maggior coinvolgimento nella politica estera” che si manifestò, in particolare, nei Balcani. Lo dimostra il matrimonio del 1896 tra Vittorio Emanuele III con Elena del Montenegro.
L’ultimo incontro ufficiale tra i Romanov e i Savoia avvenne nel 1909 quando lo Zar Nicola II fu accolto sempre da Vittorio Emanuele III al Castello Reale di Racconigi. Un’ulteriore intensificazione dei rapporti tra Italia e Russia si verificò con il Governo Giolitti grazie alla firma dell’“accordo segretissimo” che
divenne una delle tappe del passaggio dell’Italia dalla Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria all’Intesa con Francia, Inghilterra e Russia.
A distanza di più di un secolo cosa è rimasto del sogno di una “Russia europea” tanto caro a Pietro Il Grande? Secondo Vittorio Strada, critico letterario e accademico (“EuroRussia. Letteratura e cultura da Pietro Il Grande alla rivoluzione”, Editori Laterza, 2005),
il discorso europeo è servito alla Russia per individuare la propria identità, interpretare il proprio passato e delineare il proprio futuro, riconoscendo all’Europa la funzione di punto di riferimento.
Un confronto complesso a causa della difficoltà di definire in maniera univoca la natura dei due interlocutori.

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La “modernizzazione” – definita anche “europeizzazione” – avviata da Pietro Il Grande, ovvero una rivoluzione culturale in grado di toccare “istituzioni civili, mentalità popolare e creatività spirituale”, avvenne secondo modalità diverse. In Russia si è verificato un processo “che ha spezzato tradizioni locali di per sé incapaci di autosuperarsi spontaneamente.” A causa dello sviluppo di forze “dall’esito catastrofico”, ma “costruttive” e della relativa metamorfosi della Russia in una nuova formazione statale – l’URSS, la Russia non si è più posta il problema “Russia-Europa”, considerandosi un modello per l’umanità secondo l’ideologia del regime. Dopo la fine della fase sovietica, il rapporto con l’Europa è divenuto per la Russia parte di un problema più vasto: quello del rapporto con l’Occidente euroamericano […] e il non Occidente, in un mondo in cui il carattere dominante è occidentale.” Per Vittorio Strada la Russia potrebbe voler “affermare una sua esclusiva particolarità”, costituita da “relitti di sovieticità, nostalgie imperiali e ambizioni di superiorità”, oppure scegliere di essere occidentale “in un modo suo proprio, un’EuroRussia, con una visione critica e costruttiva del proprio passato storico e un progetto di società aperta per il proprio presente e futuro.”
Una direzione – quest’ultima – che non sembra appartenere, per ora, all’orizzonte putiniano.
*composto dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, dalla Regione Piemonte, dalla Città di Venaria Reale, dalla Compagnia di San Paolo e dalla Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura.
Finito di redigere in data 7 gennaio 2017 alle ore 20

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