Victoria Surliuga. Uno sguardo nell’arte di Ezio Gribaudo

VICTORIA SURLIUGA
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Ezio Gribaudo: The Man in the Middle of Modernism, ed. Glitterati Incorporated, contiene una serie di interviste e un saggio introduttivo sull’artista, collezionista, editore d’arte torinese e sulla sua collaborazione con le maggiori personalità dell’arte, da Pablo Picasso a Giorgio de Chirico, da Francis Bacon a Peggy Guggenheim. A Victoria Surliuga, che è l’autrice del volume, abbiamo chiesto di introdurci a questo suo lavoro.

Nel gennaio del 2014 stavo studiando l’autobiografia di Peggy Guggenheim. C’era un riferimento a una mostra della sua intera collezione alla Galleria d’Arte Moderna, organizzata nel 1976 da Ezio Gribaudo (Torino, 1929). Mi soffermai su questo nome, pensando al libro “Bianchi e teatri” (2006) che faceva parte della biblioteca di mio padre. Mi ricordavo delle opere di Gribaudo.

Avevo infatti sfogliato molte volte un libro che presentava i suoi lavori in polistirolo, tra cui “Baleine blanche” (1991) e “Archipels pour A.” (1989). Sapevo che mio padre aveva collezionato delle opere di Gribaudo ed ero colpita dalla forza espressiva di quei monocromatismi bianchi, gli stessi che hanno permesso a Gribaudo di sviluppare il lavoro artistico in tipografia e l’uso della carta come strumento creativo, portandolo a una visione dell’arte come antipittura, con echi di Burri e Fontana.

Ezio Gribaudo, Omaggio a Peggy (1965), flano, tecnica mista, 58 x 45 cm

Nei “bianchi di Gribaudo” l’uso della sabbia mescolata al bianco accentua le forme invece di farle svanire nello sfondo monocromatico. Alla superficie (“texture”), viene data una particolare granulosità, come una serie di impronte. Invece di appiattire, il bianco accentua l’uso dei materiali, creando composizioni in un cui non si vuole cancellare nulla ma al contrario, evidenziare tutto lo scibile. In Gribaudo, le variazioni del bianco lasciano un senso impreciso di contorno alle composizioni, che non vengono definitivamente racchiuse all’interno di margini. Il suo lavoro delinea uno spazio enigmatico che beneficia dell’esperienza umana senza eliminarla. L’artista crea un’archeologia conoscitiva contenuta in forme antiche che diventano contemporanee grazie al fatto di non essere state cancellate, bensì alluse nelle ombre. Il lavoro di Gribaudo è poi continuato con i logogrifi – impronte tipografiche su carta buvard – che sono stati acquisiti dal MoMA di New York, dal Museo di Arte Moderna di Parigi e dalla stessa Peggy Guggenheim e riconosciuti con premi internazionali quali la XXXIII Biennale di Venezia (1966).

Ezio Gribaudo, Omaggio all’Ariosto (1974), logogrifo, 59 x 46 cm., foto di Pau Garcia

Il cammino artistico di Gribaudo, centrifugo rispetto alle convenzioni, si ritrova nella sua scelta di far progettare un edificio adibito a casa-studio dall’Architetto Andrea Bruno nel 1974. In una casa-bunker a Torino, Gribaudo ha diviso il suo lavoro creativo su tre piani, predisposti unicamente alla realizzazione di lavori dalla spiccata impronta artigianale, di bottega, e caratterizzati da un’alta manualità. Come nei workshop rinascimentali dove parte dell’attività più meccanica veniva eseguita da una squadra di assistenti adibiti ai lavori ripetitivi, così Gribaudo lavora in una vera e propria officina pullulante di attività creative. Qui nascono i nuclei espressivi dell’arte di Gribaudo, che possono essere sintetizzati da un dizionario di immagini, la cui terminologia è riconducibile all’artista stesso. I cardini concettuali e verbali della sua opera hanno il nome di flani, logogrifi, saccogrifi, metallogrifi, Teatri della memoria, Simboli del Concilio, i cieli e i Pinocchi.

Ezio Gribaudo, Teatro della memoria (1996), tecnica mista, 100 x 70 cm.

Nel suo lavoro Gribaudo fa ampio uso delle risorse dell’industria tipografica, in particolar modo delle matrici e della tecnica della riproduzione seriale. Ha così inaugurato la stagione creativa dei “flani”, scarti della produzione di giornali e testi editoriali, da lui salvati e poi rielaborati, seguendo l’idea di un progetto di ampia portata che l’ha portato al di là dei mezzi tecnici della pittura tradizionale. All’inizio degli anni sessanta, i flani sono confluiti nei già menzionati “logogrifi”, a testimonianza di come nel lavoro di Gribaudo risulti fondamentale il rapporto multimediale tra testo e immagine, nonché l’elevazione figurale del testo letterario attraverso l’opera d’arte.

Ezio Gribaudo, Cavalli (1990), tecnica mista, 100 x 100 cm

I flani servivano a Gribaudo a ricontestualizzare dei “ready made”, spesso come cornici dei Teatri della memoria. In stereotipia, i flani sono stampi in cartoncino resistente ad alte temperature, modellati su una pagina di composizione tipografica per rilevarne un’impronta. Vengono poi colati in piombo fuso dove sono impressi i caratteri tipografici di una pagina di composizione per creare, con impronte su carta, delle pagine di piombo da usare per stampare libri e giornali con le rotative. Inoltre, l’uso delle impressioni tipografiche e delle arti incisorie ha anche dato origine ai logogrifi, da “logos” e da “grifo” (“grìphos”), etimologicamente una rete da pesca, “clichés” tipografici sbalzati nei quali l’ombra crea un rilievo che di rimando compone l’immagine. Sono scavi di profili ottenuti grazie alla calcografia meccanica usando lastre che creano impronte sulla superficie, dove il bianco della carta crea contrasti di luci e ombre evidenzianti figure astratte o create attraverso matrici. Si tratta di stampe a secco prive di inchiostro la cui realizzazione viene facilitata dalla carta buvard, assorbente e in grado di resistere alle pressioni con le quali l’artista la “segna” per creare i logogrifi. L’impronta sulla carta viene realizzata con un graduale incremento delle atmosfere, dando luogo a scavature più o meno profonde.

Ezio Gribaudo, Macchine antiche (1963), collage, 100 x 140 cm.

Gribaudo ha elaborato queste tappe figurative come elementi osservabili in un caleidoscopio, non solo come metafore del suo lavoro, ma anche come arcipelago di immagini che costituiscono una vera e propria descrizione del mondo. La resa gribaudiana del reale si conforma alle poliedriche sfaccettature di una visione realizzata attraverso un attento processo conoscitivo. Viene in mente “L’Arte della Cartografia” della breve prosa di J. L. Borges dal titolo “Del rigore della scienza” (1946). Gribaudo si differenzia dal tema di questo racconto in quanto la totalità del visibile (la mappa che coincide con il territorio) –anche se all’interno del suo lavoro se ne trova ogni aspetto – viene filtrata da una precisa scelta estetica che determina, ciascuno in modo diverso, i vari gruppi delle sue opere.

Copertina del volume di Victoria Surliuga, Ezio Gribaudo. The Man in the Middle of Modernism, New York-London, Glitterati, 2016.

NELLA FOTO IN ALTO SOPRA IL TITOLO Intervista di Victoria Surliuga a Ezio Gribaudo (2015), foto di Pau Garcia

Foto per gentile concessione dell’Archivio Ezio Gribaudo

Victoria Surliuga. Uno sguardo nell’arte di Ezio Gribaudo ultima modifica: 2017-01-13T23:28:40+01:00 da VICTORIA SURLIUGA
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