Il labirinto del silenzio (Im Labyrinth des Schweigens) è un film diretto da Giulio Ricciarelli su soggetto di Elisabeth Bartel, Germania, 2014
Questo film, notevole opera prima di un regista italo-tedesco, s’ispira a vicende storiche che ci riportano indietro di almeno sessant’anni, ovvero alla fine degli anni Cinquanta, nel decennio della cosiddetta Restauration economico-politica della Repubblica Federale Tedesca.
La pellicola racconta la difficile genesi delle indagini che portarono alcuni anni dopo all`importante processo tedesco – il primo in assoluto – contro alcuni dei molti criminali del Terzo Reich, per l’esattezza contro 22 degli ottomila aguzzini delle SS nei campi di concentramento di Auschwitz in Polonia, tra il 1940 e il 1945, che sterminarono oltre un milione di esseri umani, deportati dall`Europa intera. Fu il cosiddetto Processo di Francoforte (1963-65), che ebbe un breve seguito dal 1966 al 1968 e si concluse con sei ergastoli e undici condanne dai tre ai quattordici anni.
Il film ricostruisce bene il contesto politico-sociale della vicenda processuale, ma ne inventa il protagonista. Non mette cioè al centro del racconto l’eminente figura storica di Fritz Bauer, procuratore generale dell’Assia, e la sua strenua lotta per imporre alla Germania il primo grande risveglio dal sonno del dopoguerra, dalla rimozione, dal silenzio sui crimini del Terzo Reich, commessi dagli stessi tedeschi, che allora s’affannavano a voler dimenticare il passato nella ricostruzione del loro benessere economico. Il procuratore generale Bauer compare sì nel film, impersonato dal grande attore teatrale Gerd Voss nella sua ultima apparizione in scena, ma rimane in secondo piano, sullo sfondo.
Al centro della ricostruzione dell´asfissiante clima politico di allora c’è un altro magistrato, il giovane Johann Radmann (un personaggio-sintesi ispirato ai tre collaboratori reali di Bauer). Questi s´imbatte in un sopravvissuto al campo di concentramento di Auschwitz (la figura storica è Hermann Langbein 1912-95) che gli confida di aver riconosciuto per strada uno dei suoi aguzzini. Ma Radmann ignora perfino il significato del nome Auschwitz. Grazie all´aiuto del giornalista Thomas Gnielka (altra figura storica 1928-65) e al sostegno quasi paterno del suo superiore Fritz Bauer (1903-1968) sarà proprio lui, Radmann, a intraprendere una lotta eroica contro le mille resistenze che la società tedesca – dalla sfera politica alla stessa magistratura e ai servizi segreti – oppone a ogni tentativo di confronto con gli incommensurabili crimini perpetrati negli anni del nazismo.
Senza dubbio la libertà artistica permette di ricostruire la storia anche senza attenersi rigidamente alla documentazione storica, ma il Processo Auschwitz di Francoforte e la caccia ad Adolf Eichmann sono impensabili senza la centrale figura di Fritz Bauer, personaggio per lo più rimosso per decenni nella RFT.
Pur essendo lui stesso ebreo perseguitato e uno dei pochissimi a essere riuscito a ottenere una posizione di spicco nell’alta magistratura postbellica tedesco-occidentale, per anni ancora di forte impronta nazista, Bauer si dedicò al compito della sua vita non per motivi di vendetta, ma per costruire una Germania postbellica nuova e diversa, un paese che non si sottraesse ai conti col proprio passato!
Il socialdemocratico Bauer fu anche compagno di esilio di Willy Brandt, pure lui tacciato fino agli anni Settanta dalle destre di essere stato un “traditore della patria”.
Ma Fritz Bauer rimase sempre solo – anche dopo quel contrastato processo che avrebbe comunque cambiato il clima politico degli anni Sessanta e avrebbe aperto la strada alle successive rivolte studentesche contro l´establishment. Poco dopo il Parlamento federale emanò infatti una legge in base alla quale in futuro sarebbe stato pressoché impossibile istituire altri processi simili. Da lì a poco Fritz Bauer morì in circostanze mai chiarite.
Sarebbe necessario, a mio avviso, accostare a questa pellicola il film di Lars Kraume, uscito successivamente, nel 2015, col titolo esplicito: “Der Staat gegen Fritz Bauer/Lo Stato contro Fritz Bauer”. Quest’opera ricostruisce con maggiore attenzione documentaria la vicenda storico-politica dell´eroico procuratore di Francoforte, pressoché ancora sconosciuta al pubblico odierno. Kraume mette in evidenza il ruolo decisivo di Bauer anche per la cattura di Adolf Eichmann da parte del Mossad e il successivo processo a Gerusalemme (1961/2). I suoi contatti col Mossad gli valsero l`accusa di alto tradimento e la frase riferita da Bauer “Se esco dal mio ufficio mi trovo in terra nemica” rende l´idea di quale fosse il suo contesto nella Francoforte degli anni Cinquanta/Sessanta (il film è già uscito in DVD).
Da rileggere anche il dramma documentario “L’istruttoria. Oratorio in undici canti” che Peter Weiss ricostruì dagli atti del processo di Francoforte nel 1965, in occasione del centenario della nascita dello scrittore (1916/2016), rimosso anch´esso dall`opinione pubblica.
Proiezione al Cinema Dante di Mestre, il 23 gennaio 2017, ore 21, per Il giorno della memoria/ANPI