La Storia, si sa, è fatta anche di una moltitudine di microstorie che attendono solo di essere portate alla luce. Il suo svolgimento nel corso del tempo, nei fatti noti e meno noti, la sua interpretazione alla luce delle varie e diverse teorie storiografiche, della memoria e dei punti di vista, a volte opposti, di chi ne scrive e di chi legge, somiglia ad un immenso cantiere archeologico. Del Novecento, delle sue funeste ideologie nazionaliste, delle sue guerre (due conflitti planetari in poco più di trent’anni…) si è scritto e si continua a scrivere e ad illudersi, forse, di capire per evitare futuri disastri. Ma gli “scavi archeologici” del Secolo breve sono in ogni caso necessari e continuano a riservare sorprese.
Gli ebrei del Trasimeno
Di recente pubblicazione è “La scelta”, un libro del giovane giornalista e scrittore perugino Giovanni Dozzini (Nutrimenti editore, 250 pagine), un bel racconto di una triste storia nell’Italia umiliata e offesa del 1944 e un esempio di come la suggestione di un romanzo (articolato sul racconto di una storia vera) possa a volte coinvolgere più di una mera ricostruzione storica. È la narrazione di un gruppo di ebrei fuggiti da Perugia che si nascondono in un’isola del lago umbro con la complicità di gente del posto, soprattutto pescatori.
Siamo verso il 20 giugno del 1944; gli americani sono entrati a Roma sedici giorni prima e sono attesi ansiosamente da gran parte della popolazione di Tuoro, Castiglione, Passignano e degli altri paesi del Trasimeno. Ma un incidente che sfocia in uno scontro a fuoco con i tedeschi, si tradurrà probabilmente in una Strafexpedition, una spedizione punitiva dei militari del Terzo Reich. “La scelta” del titolo è dunque questa. Consegnare gli ebrei e provare a salvare la pelle, oppure scegliere quel coraggio che nobilita una vita nel momento stesso in cui la toglie? Gli ebrei ce la faranno, grazie ai pescatori e a don Ottavio Posta che, di notte, li porteranno con alcune barche sulla riva meridionale del lago da dove riusciranno poi a raggiungere gli avamposti americani.

Carta del Lago Trasimeno
Il valore di una scelta
Don Ottavio, uno dei pochissimi personaggi non di fantasia del romanzo, fu decorato con la medaglia d’oro al valor civile subito dopo la fine della guerra e sei anni fa, nel 2011, è stato nominato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, l’ente nazionale israeliano per la memoria della Shoah. La sua scelta fu quella dei molti che preferirono rischiare piuttosto che macchiarsi della vergogna della delazione. Come accadde in tutta Europa. Episodi che fanno da limpido contraltare alle molte denunce di chi per pochi denari o per ottenere credito presso l’occupante tedesco contribuì direttamente all’Olocausto. Come diceva il premio Nobel sudafricano Nadine Gordimer, tutti i romanzi che si sono scritti nel tempo non sono altro che capitoli di un solo grande romanzo. “La scelta” si inserisce a buon diritto in questa infinita corrente di storie dell’umanità e più specificamente in quella della letteratura, memorialistica, diaristica della Shoah.
Con occhio sereno
Ed è un bene che anche alcune ragioni degli sconfitti, dopo molti decenni di silenzio, vengano esaminate con un occhio meno vendicativo e che di foibe e di eccessi nella resa dei conti finale si parli con maggiore obiettività e distacco. Osservando, al seguito della Quinta Armata americana del generale Clark, i disastri provocati dai 104 bombardamenti alleati su Napoli, col suo usuale stile paradossale Curzio Malaparte scrisse, “è una vergogna vincere la guerra” (“La pelle”).
È certo, tuttavia, che la persecuzione degli ebrei e la Shoah costituiscono il capitolo più infame del conflitto. Al riguardo, libri e memoriali, saggi e testimonianze sull’ultima guerra in Italia vengono pubblicati a getto continuo. Sulla persecuzione degli ebrei, da Roma a Ferrara, da Firenze a Venezia a Milano pensiamo di sapere quasi tutto, eppure c’è sempre bisogno di cercare, di far sapere, di denunciare e pubblicare. E lo si può fare, a volte anche con risultati sorprendenti (basti pensare a Fenoglio a Bassani), rinunciando agli strumenti dello storico per indossare i panni del romanziere. Come ha fatto Giovanni Dozzini.

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