Il Pd doveva nascere. Ma per davvero

ROBERTO DI GIOVAN PAOLO
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Ora che il congresso del Pd è avviato e Gentiloni ha reso le sue prime dichiarazioni estemporanee in tv e non solo al livello istituzionale delle camere possiamo dire che avevamo visto giusto nel parlare di una “grazia di stato” che avrebbe costretto Renzi e Gentiloni a fare i conti col loro “vecchio profilo” e a cercarne (non necessariamente riuscendovi) uno nuovo [Dolori e umori del giovane Matteo (ma non farà la fine di Werther) e prima ancora Gentiloni, Renzi e la “grazia di stato”]

Finora quello che si è scoperto di più è il presidente Gentiloni che più o meno obtorto collo per via di emergenze varie e obblighi di governo deve risposte quotidiane e non può certo tergiversare, oltre che deve per forza di cose ottemperare ai doveri costituzionali che prevedono ipotesi di fine legislatura solo nelle mani del presidente della repubblica. Ma…. Ma si è spinto a dire in una intervista televisiva che per le cose da fare il governo si pone ovviamente un termine con la naturale fine della diciassettesima legislatura. Il che non sappiamo ovviamente quanto sia una previsione reale o un desiderio, ma é un dato di fatto.

Diverso il cammino di Matteo Renzi che ha tentato di accelerare sul voto elettorale ma ha dovuto prendere atto che non si poteva votare né a febbraio dopo la pronuncia della Corte costituzionale né ad aprile, né, ormai lo sappiamo, a giugno, e, stante il fatto che ancora le camere non hanno nemmeno messo all’ordine del giorno la riforma-omogeneizzazione della legge con cui eleggere i nuovi parlamentari, e lo svolgimento sia del congresso sia delle elezioni amministrative, il primo “slot” sarebbe quello di ottobre, ovvero quello che gli aveva proposto il presidente Mattarella la sera stessa del 4 dicembre dopo il risultato elettorale nefasto del referendum. Ma solo se Renzi vince bene il congresso, le elezioni amministrative vanno dignitosamente e il referendum sul jobs act è depotenziato non si svolge del tutto per riforma della legge per via parlamentare.

Allora dato lo scenario che mi pare consolidato, mi permetto di presentare ai lettori di ytali non una cronaca politica – una volta tanto – ma una mia opinione che deriva da due interventi di Adriana Vigneri e Aldo Garzia che mi sono portato dentro per circa due settimane e che, come spesso accade a loro, sono andati al cuore del problema del Pd al di lá delle questioni della banalità quotidiana: il partito “personale” e la necessità reale di esistenza del Partito democratico.

Ammetto che sono tra coloro che ci hanno creduto e tanto dieci anni fa (e ci crederei ancora…).

Vengo dalla sinistra Dc che è stata la “mia tribù” nella federazione di partiti che era la Dc e quando è finita quella storia ho cercato prima la mia identità politica nel Ppi e poi dopo la ridicola espulsione di noi maggioranza da parte di Buttiglione ho abbracciato con gioia l’Ulivo transitando con allegria al Pd senza dar troppo conto alla transeunte Margherita.

Il Pd mi è sembrato il compimento di cose come le giunte Dc-Pci, la giunta Orlando di Palermo e della sua “Primavera”, il ricongiungimento delle forze della Resistenza sulla scorta della visione profetica dossettiana, impossibile in quegli anni di guerra fredda.

E non solo, potevamo allargare perfino l’Ulivo che non aveva capito il ruolo e l’importanza dei governi Prodi, unici a raccogliere in questi anni l’eredità dello slancio dei governi di centrosinistra morotei, dei piani industriali degli anni Settanta (per alcuni settori industriali gli ultimi fatti, sic….).

Con quello spirito ho lavorato (e lavoro) nel Pd, vedendo con angoscia bruciare segretari, riproporre stantie idee di “ditta” del Novecento, crescere l’incultura della chiusura e dell’assenza di confronto culturale che ha prodotto non solo quest’ultima improvvida scissione (colpevole chi va e chi non ferma…) ma anche tanti addii singoli che mi hanno addolorato egualmente.

Ora siamo arrivati a una idea personale e personalizzata di un partito che è meno dell’Ulivo che ci sembrava stretto dieci anni fa!

Però, e tuttavia, cari Aldo, Adriana e Guido, se posso, io continuo a credere che ne varrebbe la pena di riaprire il Pd, di rimettere indietro il nastro e ricominciare a costruire un partito nuovo, multiculturale, ovvero non senza culture o con culture a metà citate è mai approfondite, che torni con umiltà ad ascoltare ed interloquire con le culture laiche, ambientaliste, del volontariato e del terzo settore,con chi ci contesta, con chi prova rabbia per la crisi e non sa esprimerla se non di pancia.

Quel tentativo si fermò con l’addio inopinato di Veltroni (quale che sia l’opinione sul suo operato) e la resa alle proprie identità di troppi dirigenti Pd nel prosieguo. Oggi se non si fa questo sforzo ci sarà solo uno scontro elettorale tra “sistema” e “anti sistema” con una grande coalizione o di opposti destra sinistra o di anti Europa anti-immigrati anti-tutto.

Non possiamo e non dobbiamo accettarlo. Dobbiamo allargare il gioco. Dobbiamo ricreare le condizioni per la politica di tutti, con rispetto per tutte le culture e con umiltà per quanto la politica non riesce a dare.

È dai tempi della Thatcher e di Reagan che le forze progressiste non s’interrogano e non danno una risposta alla loro affermazione che “non esiste la società, solo gli individui”…. Non è questo il momento né la lunghezza giusta per le ricette ma certo lo dico a me stesso, se non fai una comunità nemmeno nel tuo partito come puoi rispondere a questa provocazione semplice e lineare?

La Rivoluzione francese disse libertà, eguaglianza e fraternità. Da oltre duecento anni su libertà ed eguaglianza s’impalca il dibattito, per ora pendente verso le destre. Non sarà il caso di far entrare in campo il terzo termine rivoluzionario, davvero rivoluzionario della “fraternità”, declinandolo, nel 2017 con comunità, solidarietà, welfare?

Il Pd doveva nascere. Ma per davvero ultima modifica: 2017-03-08T18:03:06+01:00 da ROBERTO DI GIOVAN PAOLO
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1 commento

Alberto leiss 15 Marzo 2017 a 8:56

Io vengo dal Pci, e ancor prima dalla sinistra ectraparlamentare del ’68, nel Pd non mi riconosco ma sarei per un campo di centrosinistra ( nuovo Ulivo?) con un serio programma riformista. Giusto richiamare la fraternità, sapendo però che nel frattempo le “sorelle” si sono ribellate e hanno aperto un’altra storia di libertà. Questo cambia tutto e cambia noi stessi, con le idee di comunità , docietà, individui ecc. Credo che se non si capisce questo – come finora non lo si è capito – non si va da nessuna parte…
Alberto Leiss

°°°°°°

Gentile Alberto Leiss,
grazie del commento. Sul campo di centrosinistra in un serio programma riformista pieno accordo, però se si vuol mettere il tentativo del Pd tra parentesi senza rifletterci sopra, il rischio è non far tesoro anche degli errori e delle sofferenze nell’Ulivo che ad alcuni di noi ha fatto venire l’idea di andare oltre quella stagione. Probabilmente un campo di centrosinistra è inevitabile anche perché ho imparato in questi anni che per chi viene dalla sinistra classica del nostro Paese è veramente difficile non distinguersi dal proprio vicino ad ogni costo… c’é sempre qualcuno più puro che ti epura… La fraternità non è per me maschile o femminile, è un valore guida e comunque per carità, magari cominciarla ad esplorare compiutamente, finora non è accaduto, concentrandosi solo sull’eguaglianza (giusto) e lasciando-non so perché- la libertà alla destra…
Grazie dell’attenzione ROBERTO DI GIOVAN PAOLO

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