L’8 marzo è scomparso Danilo Mainardi. È morto a Venezia, la sua città d’adozione, alla quale era molto legato e della quale parla nella conversazione che qui di seguito pubblichiamo. L’intervista, raccolta da Caterina Falomo, è pubblicata in un libro apparso nel 2012, editore La Toletta di Venezia, dal titolo “Veneziani per scelta. I racconti di chi ha deciso di vivere in laguna”, a cura di Caterina Falomo e Manuela Pivato, che ringraziamo unitamente a Giovanni Pelizzato, della Toletta, per averci gentilmente concesso di riprodurla.
Ho fatto l’esperimento tante volte:
dopo un po’ di tempo, anche poco, una settimana, che sono via da Venezia
mi manca molto…
Venezia è stata una folgorazione, un sogno, un desiderio diventato realtà, un po’ per occasioni di lavoro, un po’ per scelta, tanto che ormai a Venezia l’etologo Mainardi vive da anni. Prima e per una quindicina d’anni in un appartamento dalle parti della Salute, sul Canal Grande, da poco nel sestiere di Cannaregio, vicino al Ponte delle Guglie.
Milanese di nascita, è poi approdato a Parma, dove si è laureato in scienze biologiche. Presidente onorario della Lipu, Lega italiana protezione uccelli, da anni è anche un volto noto della televisione italiana, a fianco del giornalista Piero Angela nel programma Quark, ma non solo.
Professore ordinario di ecologia comportamentale presso la Facoltà di Scienze matematiche fisiche naturali dell’Università Ca’ Foscari, ancora oggi si stupisce del fatto che gli scienziati veneziani studino principalmente Venezia.
Mainardi è anche uno dei massimi esperti della popolazione non umana veneziana: gabbiani reali, piccioni e pantegane, che qui vivono indisturbati. A proposito della modernità è convinto del fatto che in questa città non vi possa entrare: Venezia va protetta e certe operazioni di modernizzazione e quindi omologazione, che tanto piacciono ai politici, semplicemente qui non vanno fatte.
Alla domanda se si considera veneziano, risponde dicendo che si sente prevalentemente apolide, anche in conseguenza al suo lavoro, ma che sì, si sente anche molto veneziano. Anche se prova un po’ di vergogna nel parlare il dialetto.

Illustrazione di Paolo Bertuzzo, da “Venezia disegnata e raccontata da Paolo Bertuzzo”, edito dal Gazzettino, 2014, da un progetto di Piero Zanotto
Come è approdato a Venezia?
Ero stufo di stare a Parma, lì avevo “costruito” anche troppo a livello universitario e Venezia è stata una fantasia, un sogno: passavo davanti a Ca’ Foscari e pensavo “guarda, se potessi mi piacerebbe tanto venire qui!”. Ma a Venezia non c’era nulla, mancava una facoltà di scienze. Un giorno però il rettore di allora mi disse che ci sarebbe stata una possibilità di creare del nuovo e di reclutare altre persone e così è iniziata una nuova vita professionale, all’inizio nel campo della Celestia, che per molti era ed è considerata come la legione straniera, in quanto i colleghi padovani o giù di lì, la vedevano come una zona lontana… in riferimento alla stazione ferroviaria.
Ho scoperto un’università unica, in una città altrettanto unica e diversissima. Qui succedono “cose strane” in ambito scientifico. Venezia è una città così importante e con tanti problemi per cui ho scoperto che i professori che lavorano a Venezia si occupano prevalentemente di Venezia, studiano Venezia. Quando uno studioso veneziano dice “questo avviene nella laguna”, intende la laguna di Venezia, non le lagune del mondo.
Io non ho mai voluto studiare Venezia, perchè non sono stato abituato a studiare dei casi ma i problemi di carattere generale. A livello universitario dovrebbe essere così. Mi hanno anche chiesto di occuparmi ad esempio della laguna o dei colombi di piazza San Marco, ma alla fine per scelta non ho mai studiato praticamente niente di Venezia.
Però si sarà fatto un’idea della popolazione non umana della città?
Qualche mio allievo ha studiato delle “questioni veneziane”, perché c’erano dei casi interessanti. Ciclicamente ritornano quelle relative ai colombi, ai gabbiani reali e alle pantegane. A dire il vero sono problemi che non vengono risolti per motivi politici più che per motivi reali: ad esempio tutti sanno come si fa a controllare il numero dei colombi ma ci vuole molto tempo, mentre i politici vogliono far vedere che in sei mesi risolvono la situazione e così trovano una finta soluzione, cioè ne catturano un mucchio, poi li ammazzano e dicono “ecco, ce ne sono meno”. Dopo sei mesi invece ce n’è di nuovo una quantità enorme.
Con i gabbiani si è trattato di un problema molto più interessante, perchè in questi vent’anni in molte città di mare e anche a Venezia – che è quasi una città di mare – c’è stata la colonizzazione dei gabbiani reali. Quando sono arrivato a Venezia ce n’erano pochissimi, adesso invece ce n’è abbastanza, probabilmente ci sono “quelli che ci possono essere”. Mi sono adoperato per creare un gruppo con una dottoranda che ha considerato Roma, Trieste, Napoli e altre città per cercare di capire cosa succedeva quando un animale coloniale, che di solito non abitava in una città, iniziava a viverci. Abbiamo notato una evoluzione: quelli grandi possono essere aggressivi e pericolosi, hanno cambiato completamente il loro comportamento, perché qui si sono trovati molto bene da un punto di vista alimentare, inoltre non hanno nemici, per cui hanno cambiato il loro modo di stare al mondo, il che ci dice anche che sono anche animali molto intelligenti.
Per quanto riguarda il resto della popolazione non umana, potrei portare questa regola: “tanti colombi, tante pantegane” più o meno, solo che i colombi si vedono e le pantegane stanno nascoste. In fondo la regola è la stessa per tutti: gabbiani, colombi e pantegane hanno risorse alimentari in grandi quantità, perchè qui non si gestiscono bene le scoasse (l’immondizia, ndr), e poi non hanno nemici, per cui di conseguenza non ce n’è troppi, ma il giusto numero.
E i gatti?
Non ci sono quasi più, perchè li hanno castrati e poi il gatto ha un po’ paura delle pantegane grosse.
I cani stanno bene a Venezia invece?
Un cane può stare benissimo a Venezia, perché non ci sono le macchine. È vero che ci sono molti divieti per i cani, ma nonostante tutto stanno meglio qui che altrove. Certo, starebbero meglio se potessero avere degli spazi dove poter andare in giro un pochino più liberi, a parte le aree monumentali e centrali, però poi vedo che vanno in giro liberi ugualmente. Qui a Cannaregio vedo molti cagnolini microscopici, spesso agghindati con vestitini… muoiono dal caldo… più che umanizzati, direi che sono “bambinizzati”.

Illustrazione di Paolo Bertuzzo, da “Venezia disegnata e raccontata da Paolo Bertuzzo”, edito dal Gazzettino, 2014, da un progetto di Piero Zanotto
Parlando di lei, ma si sente veneziano adesso?
Mi sento molto apolide in genere perché fa parte del mio mestiere in definitiva, ma mi sento anche molto veneziano; ho fatto l’esperimento tante volte, dopo un po’ di tempo, anche poco, una settimana, che sono via da Venezia mi manca molto, perché io qui vivo benissimo, mi piace moltissimo la città, il modo di vivere a Venezia. Amo i veri veneziani, quelli che hanno tante cose da raccontarmi, la gente, il popolo minuto che non sa parlare in italiano, ma soltanto in dialetto. E sono tanti ancora.
Ma lei lo parla il veneziano?
No, avrei vergogna, ma credo di capirlo. È già da qualche anno che mi fermano delle scolaresche che fanno una sorta di ricerca, un gioco: dei ragazzini mi leggono dei nomi di mestieri in dialetto veneziano e mi chiedono “lei sa che cos’è questo, etc”? E io ne so sempre il dieci – venti per cento. Ci sono dei nomi di mestieri che non capisco.
E vivere a Venezia oggi, com’è? Aldilà che è una città stupenda e ci si sta bene. Si può fare di più per la qualità della vita?
Bisogna stare un po’ attenti: si rischia la banalizzazione e la normalizzazione di tutto. Mi ricordo quando ero a Venezia da pochissimo tempo e c’erano molti vecchi veneziani – anche colleghi universitari – che soffrivano della diversità di Venezia, volevano che a Venezia ci fosse tutto quello che c’era a Milano, ad esempio. Certe cose sì, si possono fare per migliorare la qualità della vita, anche perché Venezia si è andata spopolando e ci sono tanti motivi per cui tanti servizi non funzionano bene, però se vogliamo essere rispettosi della sua identità e proteggerla bisogna anche un pochino lasciarla stare cosi com’è: non volere la metropolitana, non volere tutto, tutte quelle cose che ci fanno scappare quando andiamo da un’altra parte, ma accontentarci di andare a piedi, andare in giro con la barca.
Ricordo che il mio amico Paolo Costa, quando era rettore di Ca’ Foscari, aveva proprio un’ansia di modernità, ma viveva Venezia come se fosse una città con un senso di inferiorità rispetto a certe città della modernità, che non valgono una cicca in confronto a Venezia. Dico così forse perché ho girato il mondo e sono affascinato da certe situazioni, certe situazioni antiche e primitive. Penso che se andiamo in Marocco o in certe città nel cuore dell’Africa o in Asia, in certi posti, dobbiamo essere noi ad adeguarci al loro modo di essere, non lamentarci se ci sono troppe mosche in Africa; se noi vogliamo tutto – le strade asfaltate, etc, – allora diventa tutto uguale. Io starei un pochino attento a non volere copiare tutto dalle altre parti, perché non è detto che il moderno sia meglio dell’antico, in definitiva. Quindi bisogna andarci calmi.

Illustrazione di Paolo Bertuzzo, da “Venezia disegnata e raccontata da Paolo Bertuzzo”, edito dal Gazzettino, 2014, da un progetto di Piero Zanotto
E il grande problema delle maxi navi nel canale della Giudecca e in bacino San Marco?
Non ho una mia idea, ma ho sentito dire da persone esperte che è un grosso problema, perché il loro passaggio fa molto male alla città.
Quando abitavo alla Salute le vedevo passare dalle finestre di casa e ammetto che era una scena un po’ magica e un po’ strana, mi piacevano forse per un tocco di infantilismo, erano così grandi… ma se fanno male, bisogna sicuramente trovare una soluzione. Bisogna rispettare Venezia e non avere la mania di cambiare tutto.
C’è un luogo o una persona di Venezia che ama particolarmente?
Da naturalista quale sono ho stretto una grande amicizia con Giancarlo Ligabue, persona che ho frequentato molto e poi amo il Museo di storia naturale al quale Ligabue ha regalato uno splendido dinosauro.
Prima che venissero create le facoltà scientifiche e di scienze naturali, tutto l’immenso patrimonio della natura era di competenza del Museo di storia naturale, che era molto importante, era un vero punto di riferimento: naturalisti di tutto il mondo sono passati di qui. E poi Venezia è una città di viaggiatori ed esploratori quindi in molti hanno portato tanti reperti da tutto il mondo.
A livello scientifico c’è sempre un riferimento alla città. Come mai?
Come ho detto prima, a Venezia si trova un’università diversa, perché è talmente importante la città – pur essendo piccola -, che chi è cresciuto qui ha un’idea diversa della scienza, come se studiare Venezia volesse dire studiare il mondo. Forse è una caratteristica delle persone che abitano nelle isole. In definitiva il ponte della Libertà esiste da poco e Venezia è e rimane un insieme di isole, è come una grande isola, per cui le persone hanno il senso del possesso della propria isola. Venezia è “roba” loro, sono gelosi dei propri luoghi.
Oggi i residenti registrati all’anagrafe sono più o meno 58.600… è solo per motivi economici?
Certo sono davvero pochi; ci sono tanti vecchi, ma si vedono anche tanti bambini, forse sono i nuovi veneziani, nemmeno italiani, un po’ dappertutto cambia la demografia.
I giovani, ad esempio, che vengono a lavorare all’Università non possono permettersi tanto. O perlomeno con quello che spendono a Venezia si prendono il doppio a Mestre, e questo è un fatto economico; poi c’è il vizio di volere la macchina sotto casa, di quel piacere che per me non è un piacere, dell’omologazione: un mucchio di cinema, grandi magazzini, grandi cose. Conosco molte persone che sono proprio contente di vivere a Mestre. Io credo che in vent’anni che sono a Venezia, sono stato a Mestre tre volte.

“Veneziani per scelta. I racconti di chi ha deciso di vivere in laguna” Caterina Falomo, Manuela Pivato, LA TOLETTA Edizioni , 2012

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