Si accettano scommesse. Di una nuova legge elettorale s’inizierà a discutere a maggio inoltrato e inizierà a prendere forma solo dopo la pausa estiva. Le primarie per eleggere il nuovo segretario del Pd sono fissate infatti per il 30 aprile, poi ci sono da insediare i nuovi organismi di direzione e la nuova Assemblea nazionale del partito che devono orientare le decisioni parlamentari. A parte le vicende interne al Pd, del resto non sono molti quelli interessati a spianare la strada a una legge elettorale in tempi brevi.
Oltre al vuoto legislativo, c’è quello politico. Finora non esistono né centrosinistra, né centrodestra (con o senza trattino). Nessuno conosce infatti con precisione se il Pd cercherà alleati e porrà fine alla vocazione maggioritaria, o se Forza Italia si piegherà ai diktat della Lega. Siamo nel porto delle nebbie, il che la dice lunga sullo stato confusionale seguito al 4 dicembre che ha bocciato le riforma costituzionale. Urge perciò lavorare a sinistra su come rimediare alla frammentazione indotta dalla crisi del Pd e dalla scissione che lo ha diviso, cercando nuove modalità di uno schieramento che – come dicono Pisapia e il suo Campo progressista – dovrebbe guardare più a sinistra che a Verdini e Alfano. Alcuni (Sinistra italiana) tuttavia pensano “mai con Renzi”, posizione legittima. Ma se Renzi vincesse il congresso piddino, qual è l’opzione di riserva?
Ne serve una. A meno di non rassegnarsi all’idea di “grande coalizione” o di ripetute elezioni, come è accaduto in Spagna, prima di trovare un assetto istituzionale dettato dall’emergenza economica e sociale. Il discorso vale anche per Renzi che non ha sciolto il dubbio: o al centro, come fece Blair, o a sinistra.
S’assiste così al paradosso che dallo scorso 4 dicembre la legge elettorale è diventata oggetto da tenere lontano. Eppure senza conoscere le nuove norme elettorali è impossibile disegnare scenari, coalizioni o alleanze, prevedere evoluzioni del sistema politico italiano in perenne transizione verso la stabilità istituzionale che non arriva mai. Le leggi elettorali non sono la panacea, però aiutano a sollecitare percorsi e a individuare possibili approdi.
Certo, alla fine un accordo sulle regole del gioco si troverà tra Pd e Forza Italia innanzitutto, a cui seguirà la contrattazione con le forze minori e i grillini. Avverrà su un mix tra proporzionale e maggioritario a base di Mattarellum, o prevarrà un proporzionale puro? Voci e indiscrezioni – il ministro piddino Anna Finocchiaro sta tastando gli umori degli altri partiti – parlano della prima ipotesi: almeno un quaranta-cinquanta per cento da assegnare in collegi proporzionali (l’altro cinquanta con collegi uninominali). La soglia per ottenere il “premio di governabilità” verrebbe invece fissata al 40% indifferentemente per una coalizione o un singolo partito. Per accedere in Parlamento bisognerebbe ottenere il cinque/sei per cento al Senato e il tre/quattro per cento alla Camera.
Fin qui il canovaccio di un possibile accordo di partenza. Una legge elettorale più o meno così concepita, stante il sistema politico tripolare (in teoria centrosinistra e centrodestra, se troveranno ognuno una forma unitaria, più i grillini), potrebbe produrre allo stato attuale solo un esito: la grande coalizione fondata sull’accordo tra Pd, Forza Italia e frattaglie centriste. Le altre due possibilità sono o la vittoria di un centrodestra unito e in ascesa di consensi o la formazione di un governo 5 Stelle, se sarà primo partito, con l’appoggio esterno della Lega. Una vittoria del centrosinistra (quale? con che forma e perimetro di alleanze? con quali contenuti programmatici?) è oggi come oggi la più improbabile. Ecco perché urge non perdere tempo.

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