È morto a Roma, all’età di 91 anni, Alfredo Reichlin. Nato a Barletta il 26 maggio 1925, Reichlin è stato un politico e partigiano italiano. Nella Capitale partecipò alla Resistenza con le Brigate Garibaldi, facendo parte dei Gap. Storico dirigente del Partito comunista, e più volte deputato, è stato anche direttore dell’Unità.
Quando iniziai a lavorare all’Unità, a dirigerla c’era Luca Pavolini, direttore colto e dai modi gentili, tifosissimo della Lazio. Fui insediato come capocronista della redazione di Napoli, proprio mentre il Festival nazionale del giornale si teneva alla Mostra d’Oltremare.

Enrico Berlinguer nel comizio di chiusura della Festa dell’Unità alla Mostra d’oltremare a Napoli, settembre 1976
Pochi mesi dopo, il 14 maggio del 1977, arrivò a dirigere il quotidiano del Pci, per la seconda volta in vita sua – la prima era stata quando aveva trent’anni – Alfredo Reichlin.
Da quel momento il rapporto del vertice con tutti i “pezzi” del giornale cambiò dalla sera alla mattina.
Reichlin, secondo me, è stato il più bravo dei direttori che ho avuto nei miei sedici anni all’Unità e, comunque, quello che mi ha insegnato di più.
Un pomeriggio nella Napoli deserta
Anche se il suo modo di “insegnare” era alquanto particolare. Ricordo un pomeriggio semifestivo, con una Napoli deserta perché allo stadio San Paolo c’era una partita della nazionale italiana di calcio.
Squilla il telefono in redazione.
“Ti passo il direttore”. La sua voce caratteristica irrompe nella stanza. “Ma perché ti paghiamo? Mi devi dire perché ti paghiamo!”. Credo che raramente un capo cronista si senta chiedere dal suo direttore perché riceve ancora lo stipendio dal giornale.
E subito dopo la spiegazione: “La devo leggere su Repubblica la storia dei disoccupati di Napoli?” A quel punto presi il coraggio a due mani e replicai
Se vuoi la storia dei disoccupati di Napoli devi prendere la vera storia, perché nelle proteste di questi giorni c’entra anche il Pci, che ha avuto la sua parte nel lottizzare le assunzioni al Comune, tra le varie liste.
“E tu scrivila, scrivi la verità”.
Passai un paio d’ore a sudare sulla macchina da scrivere, poi consegnai le ottanta righe a Renato, il telescriventista della nostra redazione, perché le battesse per Roma (i fax erano di là da venire, internet inimmaginabile).
Soffrii per un’altra mezzora in attesa di una risposta, poi, non resistendo più, chiamai Carlo Ricchini, caporedattore degli interni, che – conoscendo bene Alfredo – mi aveva subito consigliato di non agitarmi e di mettere semplicemente nero su bianco quel che pensavo.
”E allora Carlo?”. “Tutto bene. Il pezzo gli è piaciuto. Ha detto che ci apre il giornale”.
E così fu. A due colonne, come un editoriale.

Reichlin, direttore dell’Unità, con il segretario del PCI Berlinguer, nel 1977, alla festa nazionale del giornale a Modena
Habermas e il dubbio
Passato all’Unità di Roma, la presenza di Alfredo si fece ovviamente quotidiana e più forte.
La riunione del lunedì mattina diventò una specie di “messa cantata”, in cui si sciorinavano i temi che avrebbero occupato la settimana.
E iniziava spesso con un “teatrino” del direttore, come quando si presentò dicendo: “Avete letto, naturalmente, l’ultimo saggio di Habermas”.
Delizioso quel “naturalmente”, che precedette un silenzio totale.
Ma, anche in questo caso, alla lunga si capiva che non voleva umiliarti per le tue carenze, ma stimolarti a raggiungere il suo livello. Ti riteneva un suo “pari”, benché questo fosse un modo piuttosto ruvido per fartelo capire e si conquistasse in questo modo la fama di aristocratico.
Ma Alfredo ci ha soprattutto insegnato a coltivare il dubbio.
Oggi – in un momento in cui in tanti alzano la voce anche per dire “buongiorno” – non si riesce a comprendere questo valore in un quotidiano di partito, perché sembra che non si possa dubitare più, ognuno schierato con la sua “verità” o con il suo editore, che è un po’ la stessa cosa.
Ma che, in pieni anni Settanta, nell’organo del Pci, si coltivassero dei dubbi e non si propagandassero verità ideologiche fu una rivoluzione assoluta.
Alfredo ci ha insegnato, infatti, a non aver paura della realtà, a non nascondere i fatti.
E ognuno di noi, nella sua carriera di giornalista, ha sentito il bisogno di non deluderlo, anche quando abbiamo preso strade diverse o Reichlin ha preso le sue.
Prima di lasciare per la seconda volta l’Unità ha dato l’inprinting a un’intera generazione di giornalisti, che poi si sono sparsi in tutti i giornali, cercando di seguirne – per quanto possibile – le orme.
Diciamolo: Reichlin, a modo suo, ha creato una scuola, prima che arrivasse quella di Eugenio Scalfari e di Repubblica. E molti, tra cui chi scrive, gliene sono grati ancora dopo decenni.
L’intervista video di Michele Mezza con Alfredo Reichlin, che proponiamo ai lettori di ytali, fu registrata nel settembre 2012 per il libro multimediale Avevamo la luna. L’Italia del miracolo sfiorato, vista cinquant’anni dopo, Donzelli editore, 2013

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