Aldilà delle capriole semantiche della diplomazia, è chiaro che i cinesi sono infuriati per la sorpresa riservata al loro leader, Xi Jinping, dal presidente americano Donald Trump.
Nulla lo dimostra meglio della copertura dei media cinesi, che hanno tenuto le cronache e i commenti sul vertice tra i due capi di stato di Mar-a-Lago rigorosamente separati da quelli sul bombardamento lanciato dagli Usa in una rappresaglia per l’uso di armi chimiche contro la popolazione civile da parte dall’aviazione del presidente siriano di Bashar Al Assad.
Peccato che i due eventi – il summit e il bomdardamento – si siano svolti contemporaneamente. Trump aveva dato l’ordine di procedere all’ attacco pochi minuti prima di sedersi a tavola con Xi per una cena a base di bistecche che al numero uno cinese deve essere andata di traverso. La decisione è stata comunicata al leader cinese dallo stesso Trump solo a cena finita.
Nessuno può dire cosa sarebbe successo se Assad non avesse lanciato il suo feroce attacco contro la popolazione di Khan Sheikun, cioè se il presidente americano avesse o no in serbo una sorpresa di diverso tipo; in altre parole se si sia trattato di una trappola accuratamente preparata o semplicemente dell’astuto sfruttamento di un’opportunità presentatasi all’improvviso.
Certo è che la sequenza temporale dei fatti è stata devastante per Xi Jinping. La diplomazia cinese aveva preparato il vertice con grande cura, sperando di poter dimostrare, come ha scritto qualcuno, che nella sala del vertice ci fosse “un solo uomo adulto”, cioè il saggio e pacioso Xi, in contrasto con l’ imprevedibile, adolescenziale e narcisista Donald.
L’incontro avrebbe dovuto rendere chiaro che al mondo ci sono due – e solo due – superpotenze e che solo una di questa, la Cina, può essere considerata adatta a guidare il resto del mondo sulla strada del libero commercio e dell’attenzione a problemi planetari come il surriscaldamento del pianeta, insomma a essere la nazione leader.
Dando il via libera all’ attacco, Trump ha invece cambiato radicalmente le carte in tavola rendendo chiari una serie di importanti punti.
Primo, solo gli Usa hanno la capacità militare e la forza politica di lanciare in qualsiasi momento un pesante attacco militare in qualsiasi parte del mondo.
Secondo, che non hanno nessun bisogno, dell’approvazione di Pechino – o di chiunque altro – per intraprendere azioni di quel tipo.
Terzo, il bombardamento ha reso chiaro che in futuro un trattamento analogo potrebbe toccare alla Corea del Nord, dato che la Cina ha dimostrato di non essere in grado – o di non avere l’ intenzione, il che, a fini pratici, è la stessa cosa – di contenere l’ aggressività del dittatore nordcoreano Kim Jong-un.
Ma la cosa più grave, dal punto di vista di Xi, è che il bombardamento è avvenuto mentre lui era ospite di Trump e che è stato avvisato solo a cose fatte. Non solo: ha anche oscurato il vertice dal punto di vista mediatico, spingendolo in una posizione marginale.
Una perdita di faccia grave per un leader cinese, e gravissima per un leader come Xi Jinping, che ha fatto del “sogno cinese” – il sogno di una Cina ricca e potente sulla scena mondiale, in grado contendere agli Usa la leadership globale – uno degli slogan chiave della sua presidenza.
Il China Daily ha scritto che il vertice “è andato bene per quanto poteva”, dopo i “confusi segnali” inviati dall’Amministrazione Trump sulla sua politica verso la Cina e verso l’Asia. Il quotidiano cinese ha aggiunto che le due parti sono apparse “egualmente entusiastiche delle relazioni costruttive che hanno promesso di coltivare” e hanno mostrato che “un confronto (politico e militare) non è inevitabile”.
Un po’ pochino ma sempre qualcosa di più quanto affermato dall’altro quotidiano cinese Global Times, espressione della corrente più ferocemente nazionalista del Partito Comunista Cinese, secondo il quale il summit è servito a indicare che “… la relazione Cina-USA è ancora decisamente in piedi da quando l’amministrazione Trump si è insediata, in gennaio”.
Laconico – e molto significativo – il commento dell’edizione internazionale del People’s Daily, nel quale si sostiene che l’incontro ha “dato il tono” per lo sviluppo futuro delle relazioni tra i due Paesi.
Pochi giorni dopo, quando Xi era rientrato in patria, sono partite le cannonate mediatiche contro il bombardamento da parte di buona parte dei media cinesi. L’intepretazione dell’ attacco è che Trump lo ha voluto per prendere le distanze dal presidente russo Vladimir Putin e respingere le accuse di essere un amico della Russia.
I commentatori cinesi si sono arrampicati sugli specchi per dimostrare che la mossa americana non ha alcun effetto su Xi Jinping e sulla Cina e che, anzi, è destinata a avere un effetto boomerang: “se gli Usa restano intrappolati in Siria – ha dichiarato uno di loro al New York Times – come farà Trump a riportare l’America a essere grande? Il risultato è che la Cina potrà completare la sua ascesa pacifica (quello della “peaceful rise” è un altro degli slogan preferiti da Xi Jinping)… anche se diciamo che siamo contrari al bombardamento, in fondo al nostro cuore siamo contenti”, conclude l’ esperto, il professor Shen Dingli dell’Università Fudan di Shanghai.
Nei commenti ufficiali si sprecano le parole “successo” e gli aggettivi come “costruttivo” ma in realtà non è stato fatto alcun passo avanti sui temi cari ai due capi di stato: niente sul commercio – che dovrebbe essere un cavallo di battaglia di Trump e dei suoi uomini -, niente sulle monete, niente sulla partecipazione americana all’iniziativa cinese chiamata “One Belt, One Road”, niente sulla sicurezza cibernetica, niente sul Pacifico Meridionale. Niente su Taiwan, niente sul Tibet, silenzio assoluto sui diritti umani.
Xi Jinping, come i suoi predecessori, non ama parlare con la stampa. Trump si è limitato a dire di aver stabilito un rapporto di amicizia con Xi, cosa sulla quale mi sembra lecito nutrire dei dubbi. Del summit di Mar-a-Lago rimane davvero poco oltre a una figuraccia che il leader cinese non ha certo gradito.
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