Renzi ha le sue colpe, ma gli altri non scherzano. Capitano a sinistra eventi che neppure il più fantasioso dei cronisti avrebbe potuto immaginare fino a qualche anno fa. Può capitare infatti che Cuperlo e altri esponenti anti-renziani restati nel Pd invitino (legittimamente) i tanti che hanno abbandonato il partito e gli scissionisti di Articolo 1 (meno legittimamente) ad andare a votare nelle primarie del 30 aprile scegliendo l’outsider Orlando. Un nuovo partito può e deve intervenire a gamba tesa nelle vicende del partito di provenienza?
A nessuno viene invece in mente di dire che primarie così fatte sono un obbrobrio (lo erano pure ai tempi della prima elezione di Renzi) perché possono determinare due risultati inconciliabili tra iscritti e non iscritti. Per altro, il metodo scelto vale solo in Italia, dove non esiste l’anagrafe degli elettori. Negli Stati Uniti o in Francia sono molto più rigorosi. Nessuno in passato se l’è sentita però di riformare un meccanismo perverso: né i nemici di Renzi, né lo stesso ex premier che è stato beneficiato da quel meccanismo nel 2013.
La cosa ulteriormente curiosa è l’annuncio che in caso di vittoria di Renzi in molti, dopo aver votato Orlando ed Emiliano, potrebbero fare la scelta di Bersani-D’Alema-Speranza: una sorta di scissione numero 2. Quindi primarie come esercizio sportivo. E c’è l’ulteriore variante fantasiosa che prevede, in caso di elezione di Orlando a segretario, il ritorno a casa di Articolo 1. Secondo molti esponenti ex piddini infatti, fatto fuori Renzi la stella del Pd ritornerebbe a splendere in modo abbagliante e riprenderebbe il suo cammino radioso.
Eppure c’è una recente dichiarazione tranchant di Speranza che dice: “Oggi il Pd non è più il Pd, ma il Pdr, il partito di Renzi, un partito di centro” (Sette, inserto del Corriere). Qualcuno avverta però il giovane Speranza che la definizione del Pd ex Ds come “partito di centro” è stata coniata per la prima volta da Pietro Ingrao già quando alla leadership c’erano D’Alema-Fassino-Veltroni.
Niente di originale quindi, se non il ritardo con cui se ne sono resi conto Speranza & company che non aggiungono una parola sul fallimento del “progetto Pd” e addossano tutte le responsabilità a Renzi che è invece il prodotto della crisi di quello stesso progetto. Gli anti-renziani sono persuasi che basti ammazzare (metaforicamente) Renzi per far risorgere la sinistra più bella e più forte di prima. Magari fosse così. E se i colpevoli fossero Prodi, Rutelli, D’Alema, Veltroni e Franceschini?
Altro caso bizzarro, a cui non si era ancora assistito: la scissione di un partito ancora prima della sua fondazione. È quanto hanno fatto Scotto, D’Attorre, altri abbandonando Sinistra italiana e unificandosi con Articolo 1 senza smettere di guardare pure al Campo progressista di Pisapia. Preoccupati dal pericolo di un risorgente bertinottismo a vocazione minoritaria e isolazionista, hanno rotto gli indugi e abbandonato la barca di Fratoianni al suo destino. Ecco così che abbiamo la primogenitura di rotture e riunificazioni incrociate. Meglio scindersi prima e non dopo, direbbe comunque qualcuno dotato di buon senso. E ha di sicuro ragione.
Il climax delle stravaganze a sinistra si è raggiunto tuttavia la sera del 4 dicembre, quando un gruppo di autorevoli dirigenti del Pd – da D’Alema a Speranza passando per Bersani – ha brindato alla vittoria dei No nel referendum costituzionale. Un brindisi contro la maggioranza del proprio partito, contro il proprio governo, contro il proprio premier. La misura, a quel punto, era colma e la scissione inevitabile. La minoranza piddina – salvo qualche sparuta eccezione – non aveva votato in Parlamento tutte le “nefandezze” del governo Renzi (job acts, riforma della scuola, riforma costituzionale, eccetera eccetera)?
Il risultato di tutte queste stravaganze è che oggi il centro (il Pd) viaggia intorno al 25 per cento e la sinistra (tutta, da Pisapia a Fratoianni se mai si unificherà elettoralmente) intorno all’otto-dieci per cento: un vero capolavoro politico compiuto da tutti i protagonisti, renziani e non renziani.

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