Primarie PD. Renzi ha vinto una battaglia non la guerra

Il paradosso di essere più forte che mai (dentro il suo partito), ma per fare cosa?
ALDO GARZIA
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L’esito era scontato. Non i numeri finali delle primarie del Pd. 1.848.658 i partecipanti alla consultazione. 1.283.389 i voti per Matteo Renzi, pari al 70.01 per cento, 357.526 ad Andrea Orlando (19,50 per cento), 192.219 a Michele Emiliano (10,49 per cento).

Sono cifre di tutto rispetto. Soprattutto se si tiene conto di una campagna elettorale noiosa (come il confronto tra i tre candidai su Sky) e ripetitiva. Venuta dopo la sconfitta del renzismo nel referendum del 4 dicembre, seguita alla scissione di D’Alema e Bersani più company, nel mezzo dell’azione non particolarmente brillante del governo Gentiloni. Poteva essere un’altra débacle per il Pd e il suo leader, così non è stato.

Il problema, non di facile soluzione, è ora capire che uso farà Renzi di questo rinnovato capitale umano e politico. Il rischio paradossale è che non riesca a usarlo.

Dalle prime dichiarazioni non si capisce infatti quale sarà la direzione di marcia del segretario piddino al suo secondo mandato, se non lo scontro frontale con i 5 Stelle. Felice la battuta secondo cui lui la “grande coalizione” la vuole fare solo con il popolo delle primarie da allargare ancora di più, per il resto Renzi è rimasto nel vago. Il primo scoglio dei prossimi giorni è la legge elettorale. Premio al solo partito vincente e non alla coalizione? Collegi uninominali o proporzionale? No ai candidati bloccati?

Dalle risposte a queste domande derivano alleanze possibili e ipotesi di governo. Renzi non può nicchiare ancora a lungo. Per ora, sembra non rinunciare all’idea di escludere alleanze preventive. Così facendo, cadono nel vuoto gli appelli di Orlando ed Emiliano alla ricostruzione di un nuovo centrosinistra. Ma pure quelli di Pisapia che vorrebbe che la sinistra tornasse a parlarsi pur divisa e a combattere elettoralmente unita.

Avremo nel futuro un Renzi e un Pd più centristi? La tentazione è quella di insistere sulla “vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria, sperando nelle virtù taumaturgiche di una nuova legge elettorale che fissi il premio di governabilità al 35 per cento. Se questa ipotesi non andasse in porto, resterebbe la tentazione obbligata dell’unità nazionale – numeri permettendo – con Forza Italia sul modello della Germania, della Spagna e forse della Francia di Macron (speriamo).

È qui che sorge il delicato problema del destino di Renzi. Nella seconda ipotesi è difficile pensare a un suo ritorno a Palazzo Chigi. Il “rottamatore” avrebbe una seconda vita come “mediatore”? Gentiloni, per carattere e temperamento, sarebbe la persona adatta a quel ruolo più di Renzi. C’è quindi il rischio concreto che Renzi possa non riuscire a capitalizzare il suo secondo successo nelle primarie.

Rifiutando l’idea di un nuovo centrosinistra, Renzi rischia inoltre di regalare Pisapia e il suo Campo progressista a D’Alema e Fratoianni che potrebbero tentare di fare un listone di sinistra occupando lo spazio rimasto sguarnito in attesa di tempi migliori.

Il neosegretario del Pd non sembra però preoccuparsi di questa eventualità e potrebbe giocarsi il tutto per tutto in nuove elezioni da tenersi quanto prima, non per forza nel 2018. In questa prospettiva, bisognerà analizzare le prossime mosse di Orlando ed Emiliano che fanno dell’eventuale nuovo centrosinistra il baricentro della loro politica e forse della permanenza del Pd. Si devono tra l’altro mettere in conto altre rotture e altri abbandoni in un partito uscito ancora di più renziano dalle primarie. La sinistra fuori dal Pd apprezza non a caso questo risultato perché dimostra la marginalità di Orlando ed Emiliano.

Conclusione provvisoria. Renzi ha stravinto le primarie, cioè una battaglia ma non la guerra. La partita del futuro per lui si fa maledettamente complicata.

Primarie PD. Renzi ha vinto una battaglia non la guerra ultima modifica: 2017-05-01T15:15:00+02:00 da ALDO GARZIA
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