Vincere la battaglia dell’occupazione è vitale dal punto di vista umano e politico. Ma, a questo proposito, nessuno dei candidati alla presidenza della Repubblica ha preso in considerazione tre fatti di massimo rilievo:
Prima evidenza. La deindustrializzazione della Francia, distruttiva di milioni di posti di posti di lavoro, presentata come una fatalità, è il risultato in realtà della scelta di élite che considerano l’industria superata nell’era dei servizi.
Seconda evidenza. Si smetta di ostacolare chi crea posti di lavoro, e basta col sostegno a chi mina l’occupazione. La crescita delle piccole e medie imprese (PMI) genera il lavoro, i grandi gruppi lo distruggono. L’Europa non crea quasi più leader mondiali, le PMI innovative non riescono – salvo in Germania – a superare i 500 dipendenti senza farsi assorbire o essere affondate.
Scrive Antoine de Saint-Exupéry che quando la società impedisce a un giovane di realizzare il suo potenziale, “è come assassinare Mozart”. Oggi, si assassinano tanti Zuckerberg francesi ed europei. Mai tante PMI sono state comprate dai concorrenti americani e asiatici. Sono altrettanti regali pagati dai nostri contribuenti. Malgrado questi fatti conosciuti ma incompresi, i governi francesi che si sono succeduti hanno riservato quasi il 75 per cento degli aiuti pubblici in ricerca, sviluppo e innovazione a “un piccolo numero di grandi gruppi non rappresentativi del potenziale francese”, come si poteva leggere in un rapporto ministeriale già nel luglio…1987.
I politici non possono più chiudere gli occhi.
Terza evidenza. Per un’economia competitiva, occorre risanare le nostre grandi organizzazioni pubbliche e private. La loro struttura a silos occulta a chi dirige la realtà complessa dei problemi, impedisce la cooperazione, degrada l’intelligenza collettiva. Un management di stampo taylorista stressa chi lavora, dissuade i talenti, spreca l’esperienza acquisita sul terreno. Spremendo i subappaltatori, se ne riduce resilienza e creatività.
Tutto questo impedisce di sfruttare al meglio il digitale. S’invoca l’aiuto pubblico per ridurre il deficit dell’industria francese investendo nella robotica. Come trent’anni fa, per giustificare la nostra minore produttività s’affermava che la Toyota ricorreva assai di più ai robot dei suoi concorrenti occidentali. L’esperto in management, Hervé Sérieyx, rivelava che, al contrario, la Toyota non soltanto aveva meno robot ma non riduceva i suoi dipendenti introducendo al loro posto robot. La Toyota è diventata la numero uno mondiale perché ha inventato il toyotismo, che mette in valore il talento di ciascuno.
Per avidità di guadagno immediato, si è preferito in Occidente combinare taylorismo e digitale. Una pletora di studi dimostra che la competitività in Occidente è ridotta dalla finanziarizzazione e dalla formazione di élite che tirano su manager all’insegna della diffidenza e del disprezzo. I nostri politici non possono più tenere gli occhi chiusi.
Cinque misure urgenti
Ecco dunque cinque proposte per un programma presidenziale che dovrebbe tener conto di queste tre evidenze.
La prima misura non costerebbe nulla ai contribuenti e avrebbe un effetto rapido sulla crescita: sul modello dello Small Business Act (SBA) americano creato in 1953, lo Stato e le Regioni riserverebbero un quinto degli appalti pubblici alle PMI e alle imprese indipendenti con meno di 5000 addetti. L’idea è stata proposta da François Bayrou, candidato alla presidenza nel 2007, ripresa da un altro candidato, Nicolas Sarkozy, ma presto abbandonata: è stata bloccata a Bruxelles dai burocrati, dai neoliberisti e dalle lobby. Una misura tipo SBA rimane possibile e necessaria in Francia. Il corollario è che lo Stato diventi un committente esemplare semplificando decisamente l’accesso alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.
La seconda misura sposterebbe verso le PMI gli aiuti per la ricerca e l’innovazione, in particolare il Credito d’Imposta per la Ricerca (CIR), che inizialmente aveva incoraggiato un maggiore impegno da parte delle PMI. La sua modifica nel 2008, da parte del governo di François Fillon, si è risolta in un dono di 1,4 miliardi di euro alle grandi imprese. François Hollande, da candidato, l’ha definito un regalo fiscale e ha promesso di rimediare a questo abuso. Diventato presidente, ci ha rinunciato. Se resistesse ai ricatti e ricollocasse il CIR nel suo perimetro originale, lo Stato recupererebbe introiti fiscali tali da poter aiutare le piccole e medie imprese.
Una terza serie di misure dovrebbe sostenere lo sviluppo delle società di lungo termine, come le cooperative, le imprese di famiglia o con un forte radicamento nel territorio; queste misure sosterrebbero le imprese praticando una cooperazione equa e sostenibile con gli stakeholder – dipendenti, subappaltatori, territori, concorrenti. Questo tipo d’imprese ha una maggiore resilienza e crea più valore per tutti gli stakeholder. Il corollario sarebbe di escludere qualsiasi aiuto alle grandi aziende che abusano della loro posizione per agire contro i loro fornitori e i loro dipendenti, strategia controproducente per loro stessi nel lungo termine.
Non si riformano le organizzazioni per decreto
La quarta misura riguarda il settore pubblico. Visto che la competitività dipende dalla qualità delle relazioni tra stakeholder interni ed esterni, tocca allo Stato, primo datore di lavoro del paese, dare l’esempio! Un management del buon senso darebbe nuova carica dinamica ai dipendenti.
Il problema non è quello di ridurre il numero di funzionari, ma di permetter loro di produrre insieme più valore per il bene comune. Il corollario è che lo Stato affidi i posti alla guida delle istituzioni pubbliche soltanto a persone di provata capacità di ascolto e di mobilitazione, e non per sistemare ex membri di gabinetti ministeriali.
La quinta misura riguarda il metodo della riforma. Le organizzazioni, come la società, non si riformano per decreto! Dobbiamo agire al livello delle pratiche quotidiane. Generalizziamo l’uso di un metodo di creatività provata, l’analisi del valore. Questo metodo costringe alla trasparenza degli obiettivi che devono essere specificati; le soluzioni per raggiungere questi obiettivi devono essere sottoposti a una libera critica delle funzioni interessate, da monte a valle. Così si riducono gli obiettivi inconfessabili, e s’ottiene più creatività e notevoli risparmi, con un incremento della qualità del servizio. Sarebbe una vera e propria semplificazione amministrativa. È quello che aveva chiesto, invano, un manifesto firmato da ottocento esperti e imprenditori, nel 2014.
L’anno prima, il presidente Obama aveva imposto l’uso dell’analisi del valore alla sua amministrazione. Ma alla Casa Bianca, il presidente, lui innanzitutto, sapeva cosa è il “Value Management“. Non è ancora il caso in Francia e nella maggior parte dei paesi europei!
Traduzione di Arlette e André-Yves Portnoff
Intervento pubblicato da Le Monde, 8 aprile 2017

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