[PARIGI]
“Quando diventate francesi, i vostri antenati diventano i Galli”. Chi parla non è Marine Le Pen. Si tratta infatti di un estratto del discorso che l’ex presidente delle Repubblica Nicolas Sarkozy ha tenuto in occasione del lancio della sua campagna elettorale per le primarie della destra.
Certo ormai le presidenziali francesi sono alle nostre spalle. Pericolo scampato. Tuttavia, per quanto l’espressione possa suonare un po’ strana alle orecchie di un italiano, riesce a condensare in poche parole il tema centrale del dibattito politico francese recente: l’identità nazionale.
Non è un tema nuovo. Ma è del tutto inedito ciò a cui si accompagna: l’utilizzo bipartisan della memoria storica nella polemica politica. Circa l’85 per cento dei francesi si interessa di storia, secondo le ultime indagini: c’è una curiosità per gli eventi e per le personalità che hanno segnato la storia del paese. In tale contesto il discorso pubblico che utilizza la memoria è sempre più diffuso. E la politica moltiplica le prese di posizione rispetto alla storia. Per rimpiangere il passato allo scopo di denigrare il presente. O ancora per distruggere alcuni attori politici dell’epoca e quelli che ne sono considerati gli eredi. Oppure per unire o dividere la comunità, intaccando già fragili equilibri.
Rimpiangere il passato per denigrare il presente. Nicolas Sarkozy è maestro in queste operazioni. Ne fornisce una dimostrazione già nel 2007, durante la campagna elettorale. A Tolosa il futuro presidente si presenta come l’erede di Jaurès, il fondatore del socialismo francese. Come Jaurès vuole rimettere al centro della vita politica francese i valori che la sinistra ha tradito:
la sinistra francese non è più riformatrice, è conservatrice, immobile, pietrificata […] per Jaurès il lavoro era un valore ma la sinistra di oggi non ama il lavoro. La prova è che vogliono impedire di lavorare a quelli che intendono guadagnare di più.
E aggiungeva:
Mi sento più vicino alla sinistra di Jaurès che alla sinistra del ’68, per quale tutto va bene e pratica il livellamento verso il basso: questa sinistra non ha nulla in comune con Jaurès e Blum (Primo Ministro del Fronte Popolare 1936-1938).
Lo fa ancora quando decide di far leggere obbligatoriamente nelle scuole superiori la commovente lettera del diciassettenne Guy Môquet, comunista e simbolo della Resistenza, fucilato dai tedeschi. Ma questa appropriazione dei simboli della sinistra, la fa anche il Front National. Alle elezioni europee, Louis Aliot, il compagno di Marine Le Pen, fa affiggere dei manifesti in tutto il sudovest. Sui manifesti c’è il volto di Jean Jaurès e una sua citazione “Per quello che non ha più nulla, la Patria è il suo unico bene”, seguito da una scritta: “Jaurès avrebbe votato Front National”.
Il Front National è sicuramente il movimento politico che più ha utilizzato la storia per contrapporre la comunità nazionale a minoranze. L’immagine dei frontisti che sfilano sotto la statua di Giovanna d’Arco è celebre. La “pulzella d’Orleans” è diventata suo malgrado il simbolo della Francia resistente alle occupazioni, ieri degli inglesi oggi dei migranti. Il recupero della storia medievale è una peculiarità del Front National, che organizza manifestazioni in tutto il territorio. Che si festeggino i novecento anni dalla nascita di San Bernardo o i mille anni dei Capetingi, l’importante è contrapporre la comunità nazionale e la sua storia a qualcuno. Un esempio? Clodoveo, re dei Franchi.
Un simbolo per il FN che nel 1992 lo utilizza per sostenere la sua campagna elettorale durante il referendum sul Trattato di Maastricht: Jean-Marie Le Pen si reca alla cattedrale di Reims, dove Clodoveo viene battezzato, e là arringa i suoi sostenitori e ricorda non solo Clodoveo ma Vercingetorige “il primo martire dell’indipendenza nazionale”. La storia viene utilizzata dal Front National per alimentare la propria concezione della Francia xenofoba. Con gli stessi metodi rispondono i sostenitori della Francia laica “éternelle”. Nel 1996 si festeggiano i 1500 anni dal battesimo di Clodoveo e numerose personalità dell’estrema sinistra francese si scatenano contro questa celebrazione ed alimentano la polemica politica:
Questo Clodoveo che piace tanto a Le Pen in fondo era un immigrato. Diverso dagli immigrati di oggi che vengono qui per farsi sfruttare. Clodoveo ha saccheggiato la Gallia prima di stabilirvisi con suo piccolo esercito(Lutte Ouvrière). [O ancora:] Fortunatamente discendiamo da Vercingetorige e dai Galli, non da questo barbaro [Clodoveo] e dalla sua tribù di invasori germanici.
L’uso della storia per alimentare divisioni ed unire il proprio campo: da un lato l’idea della nazione dei cittadini che trascende tutte le minoranze, etniche o religiose, dall’altro la nazione etnica, razziale e religiosa. Anche la sinistra democratica recupera e manipola la storia. Ad esempio, nel 1981 François Mitterrand s’insedia all’Eliseo e lega la vittoria delle sinistre, la sua vittoria, alla Rivoluzione Francese, come se ci fosse un continuum storico. Peraltro un continuum tra il 1981 e il … 1792, la nascita della Prima Repubblica francese.
L’uso della storia per affrontare il tema dell’identità nazionale ha segnato anche la recente campagna elettorale per le primarie e le presidenziali. La storia viene usata per rilanciare l’assimilazione di fronte ad un’integrazione che non funziona più o per de-colpevolizzare la Francia da responsabilità storiche. E ormai non riguarda più solo il Front National.
A Franconville, Val d’Oise, durante le primarie della destra Sarkozy afferma che nel momento in cui si diventa francese, si vive come un francese: “non ci accontenteremo più di un’integrazione che non funziona, vogliamo l’assimilazione”. Appunto “quando si diventa francesi i tuoi antenati sono i Galli”.
Mio padre è ungherese, non mi hanno insegnato la storia dell’Ungheria. Mio nonno era greco, non mi hanno insegnato la storia della Grecia [perché] nel momento in cui io sono francese, amo la Francia e imparo la storia francese. [Per rafforzare lo spirito patriottico] i giovani devono amare i Galli e le foreste dei druidi, Carlo Martello a Poitiers, Orlando a Roncisvalle, Goffredo di Buglione a Gerusalemme, Giovanna d’Arco, Baiardo.
E qualche mese prima a Lille, l’ex presidente recupera Clodoveo:
Per decenni l’integrazione era il dovere di ogni nuovo arrivato di fondersi con la nostra comunità nazionale, di adottarne la lingua, la cultura, le abitudini [perché la minoranza s’integrasse con la maggioranza e diventasse depositaria della memoria collettiva che] ci fa riconoscere Clodoveo come antenato comune.
Ma è l’uso della storia per liberare la Francia da responsabilità precise che caratterizza questi mesi di campagna elettorale. De-colpevolizzare per affermare la bontà e l’eternità della cultura francese, dei suoi principi, dei suoi valori. De-colpevolizzare per ottenere i voti di alcuni gruppi sociali. De-colpevolizzare per criticare le politiche attuali in termini di immigrazione.
Sentimento che Marine Le Pen porta all’estremo durante la campagna elettorale quando afferma che la Francia non “è responsabile della rastrellamento del Velodromo d’Inverno”. Affermazione che fa le prime pagine dei giornali, la “rafle du Vel d’Hiv” fu la più grande retata di ebrei sul suolo francese durante la seconda guerra mondiale. Settemila poliziotti francesi aiutati dalle milizie fasciste arrestarono circa 13000 persone, tra cui quattromila bambini, e le spedirono ai campi di concentramento: ne ritornarono circa cento.
Ma non è appunto prerogativa del Front National.
Nel dibattito alle primarie della destra, François Fillon aveva attaccato i libri di storia e i programmi “scritti da ideologi che vogliono imporre la loro visione alla società, togliendo dai libri Clodoveo, Giovanna d’Arco, Voltaire e Rousseau”. Un sentimento di colpevolizzazione che alimenta il “razzismo anti-francese”, secondo Fillon. Qualche mese prima, in un discorso a Sablé-sur-Sarthe, Fillon aveva già criticato il sistema scolastico francese, dove gli studenti
imparano ad avere vergogna del loro paese […] la Francia non è colpevole di aver voluto condividere la propria cultura con popoli dell’Africa, dell’Asia o dell’America del Nord […] Non è la Francia che ha inventato lo schiavismo, la Francia sono quindici secoli di storia dal battesimo di Clodoveo a Reims.
La condivisione della cultura con altri popoli: uno strano modo di definire la colonizzazione.
La colonizzazione, e la guerra d’Algeria, sono oggetto di polemica politica aspra. Sempre in campagna elettorale Emmanuel Macron aveva definito la colonizzazione una parte importante della storia francese. Soprattutto l’aveva definita come un crimine contro l’umanità, una barbarie, parte di quel passato che la Francia deve guardare in faccia, presentando le proprie scuse a coloro ai quali si è fatto del male. E quando l’attuale presidente si è avventato sul terreno minato dell’identità nazionale la polemica politica è esplosa. Come a Lione, quando Emmanuel Macron aveva detto che
non esiste una cultura francese [ma] c’è una cultura in Francia [che] è diversa ed è multipla. [E poi aveva precisato] Che cosa sono la letteratura francese, la pittura francese, la danza francese? La capacità di fare emergere dei geni nel nostro paese ma allo stesso tempo di aggregare i talenti provenienti dall’estero.
La politica è sempre la differenziazione della propria identità. E i politici difendono chi sono e definiscono i loro avversari. C’è sempre stata la pretesa di cercare di rappresentare alcuni gruppi sociali rispetto ad altri. Esistono tuttavia degli aspetti patologici che danneggiano le democrazie e che alimentano non tanto il dibattito politico quanto l’insicurezza generale. La centralità delle questioni storiche nelle campagne elettorali è soltanto uno degli aspetti più curiosi.
In Francia, il bisogno politico di alimentare l’idea di una comunità immaginaria, una comunità nazionale che non cambia e che non si arricchisce di elementi supplementari, è cresciuta con la successione di attentati. La sicurezza e la tutela dell’identità nazionale vanno assieme, secondo molti sondaggi. La paura del declassamento, il timore della globalizzazione, lo spettro della disoccupazione creano un fossato tra i cittadini francesi e gli altri, che siano i migranti o le istituzione europee. I cittadini si sentono minoranza, l’oggetto di imposizioni o di dominazioni. Che sia vero o falso, poco importa: di fatto la società francese si sta strutturando in questo modo. E se parte della politica alimenta queste insicurezze, a tal punto di utilizzare la storia del paese per dividere i cittadini, la risposta che spesso si intende fornire a quest’insicurezza generale pone altrettanti problemi.
Continuare a pensare la Francia come una “notte in cui tutte le vacche sono nere” non aiuta. Non aiuta l’idea che non si debba parlare di identità e di cultura. Non aiuta la stigmatizzazione di qualsiasi riflessione sulle minoranze etniche o religiose presenti nel paese. Un riflesso che c’è soprattutto a sinistra, che si sente la depositaria della laicità della République: il rischio di essere bollati come razzisti, xenofobi o sessisti non stimola la riflessione.
Qualche voce si alza. Emmanuel Macron, certamente, come abbiamo visto. Ma anche a destra. Alain Juppé, ex primo ministro e candidato alle primarie della destra, aveva replicato a Sarkozy che “assimilare significa cancellare le origini, tagliare le radici, negare qualsiasi differenza”, un’azione moralmente e umanamente inutile. L’identità della Francia è “un’identità felice”, il frutto di “una tensione creatrice tra le diversità delle radici e l’unità della nazione”. Ai problemi, che esistono e che non si devono negare, si risponde con delle politiche efficaci.

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