La “via della seta” passa per Belgrado

Cina e Serbia sono partite dal lutto per il bombardamento NATO dell'ambasciata di Pechino, nella notte fra il 7 e l'8 maggio 1999, per costruire una straordinaria unione economica
GIUSEPPE ZACCARIA
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Cos’hanno in comune uno sterminato Paese con un miliardo e 400mila abitanti, riserve superiori ai tre trilioni di dollari, un’industria rampante e una piccola nazione abitata da appena sette milioni di persone a basso reddito e con fabbriche, ponti e strade ancora devastati dai famosi “bombardamenti umanitari” della Nato? Intanto, l’ovvio interesse di quest’ultima, che poi è la Serbia, a trovare aiuti economici, poi la voglia della Cina di trovare sempre più sbocchi in Europa e poi anche una terza cosa, a cui pochi pensano ancora ma pure è stata decisiva nello spingere Pechino ad abbracciare Belgrado come figlioccia prediletta in questa parte del mondo. E qui parliamo delle vittime che vent’anni fa hanno unito nel lutto due Paesi di emisferi opposti.

Nella notte fra il 7 e l’8 maggio 1999 la sconsiderata campagna di distruzione messa in atto dalla NATO contro la Serbia incappò in un ennesimo “incidente”: cinque missili colpirono l’ambasciata della Repubblica di Cina a Belgrado uccidendo tre persone e ferendone venti fra diplomatici e giornalisti. Più tardi si sarebbe venuti a sapere che nei sotterranei dell’edificio forse era ospitata anche una sezione dei servizi di sicurezza serbi, ma anche se fosse stato vero questo non avrebbe giustificato l’attacco a una sede diplomatica, tanto che gli Stati Uniti d’America si scusarono parlando di “tragico errore” dovuto all’uso di vecchie mappe.

Il pretesto non reggeva affatto e infatti quelle scuse non vennero mai formalmente accettate, ma questa è un’altra storia, mentre oggi è più interessante constatare come il senso di un’ingiustizia subita assieme abbia poi spinto due Paesi a stringere legami che solo fino a qualche anno fa sarebbero sembrati impensabili.

Xi Jinping e Aleksandar Vučić nel loro incontro a Pechino il 16 maggio 2017 (foto del Ministero degli Affari Esteri della RPC)

Per dirla ancora più chiaramente, grazie alla sua forza economica Pechino avrebbe potuto trovare un partner in quasi tutta l’Europa centrale e Sud-Orientale, però ha scelto la Serbia in memoria della soperchieria subita in comune. Prima la collaborazione era partita in sordina, con la costruzione di un ponte sul Danubio da parte della cinese Hebei, che in cambio di 260 milioni di dollari (finanziati quasi interamente da Pechino) in meno di due anni ha portato a termine un’opera egregia.

Non ci voleva tantissimo a capire che quel ponte, battezzato “Della solidarietà e dell’amicizia”, avrebbe segnato l’inizio di una nuova era, almeno nel mondo degli affari: ed ecco che l’anno scorso un’altra compagnia cinese rileva per 46 milioni di dollari le grandi acciaierie di Smederevo (cinquemila dipendenti, agonizzanti da oltre un decennio) mentre poco dopo una terza compagnia firma un accordo col governo per la costruzione di una ferrovia ad alta velocità fra Belgrado e Budapest.

Quest’ultimo progetto ha fatto drizzare finalmente le orecchie all’Unione Europea che sta cercando di contrastarlo, ma ormai è come tentar di fermare l’esondazione di una diga tappando le fessure con le mani: agli inizi di quest’anno la Bank of China ha aperto una filiale a Belgrado, e da quel momento gli uomini d’affari giunti dall’Oriente sciamano negli uffici governativi proponendo ogni sorta di progetto con la forza dell’organizzazione.

Se in giro ci fosse ancora qualcuno che pensa ai cinesi come ristoratori o venditori di cianfrusaglie, è meglio che si svegli: i loro ingegneri arrivano forti di ogni genere di studio sui progetti infrastrutturali di Serbia e Balcani, con piani di ammortamenti dettagliati e soprattutto con i soldi in mano, offrendo finanziamenti a lunghissimo termine a tassi d’interesse bassissimi, dal due al due e mezzo per cento. Di fronte a simili proposte non c’è governo che possa rifiutare.

In questo momento, soltanto in Serbia, i cinesi stanno già lavorando a due nuove centrali elettriche, ad un piano di sfruttamento dell’energia geotermica, ad una tratta delle ferrovia Belgrado-Bar, al rifacimento della rete stradale. Nel vicino Montenegro, si sono assicurati l’appalto dell’autostrada Podgorica-Kolašin, mentre in Macedonia le autostrade saranno addirittura due, fra la capitale Skopje e Stip nella parte orientale del Paese e poi da Kičevo al lago di Ohrid. L’investimento complessivo supera i dieci miliardi.

Nei grandi progetti cinesi la Macedonia rappresenta uno snodo fondamentale, poiché è di là che dovranno passare le linee di comunicazione fra il centro Europa e il Pireo: altre aziende cinesi hanno già trasformato il porto di Atene nel più grande terminale per container del Mediterraneo, adesso non resta che mettere mano alle ferrovie per dare spazio ad una straordinaria corrente di commerci.

In questi anni si è sentito parlare spesso di “nuova via della seta”, anche se pochi comprendono davvero la portata di questa iniziativa che nei documenti ufficiali viene battezzata Belt and Road Iniziative (BRI), oppure One Belt One Road (OBOR). Qualsiasi acronimo si voglia usare, la nuova direttrice mira a cambiare gli equilibri economici del mondo. Come si svilupperà non è ancora chiaro, ma lampante è l’obiettivo di ridurre i costi di trasporto per le commodities cinesi e dare sfogo alle sovraccapacità produttive di Pechino nel campo dell’acciaio e del cemento. Inoltre, le aziende orientali di costruzione hanno ormai acquisito grandi capacità, e si lanciano sui mercati balcanici forti del poderoso sostegno economico del governo.

Xi Jinping e Aleksandar Vučić con le rispettive delegazioni, Pechino, 16 maggio 2017 (foto del Ministero degli Affari Esteri della RPC)

Da qui in poi, la parola dovrebbe passare ai futurologi – non agli economisti. per carità, così bravi nel predire il passato – ma per il momento l’aspetto più interessante della storia sta nel fatto che lo snodo europeo della silk road, o comunque la si voglia chiamare, passa per Belgrado. Il premier e prossimo presidente Aleksandar Vučić è appena stato a Pechino per il settimo incontro in pochi anni, ed è tornato con un sorriso a trentadue denti. Guardate, a volte, cosa può combinare un bombardamento sbagliato.

 

La “via della seta” passa per Belgrado ultima modifica: 2017-05-21T17:39:45+02:00 da GIUSEPPE ZACCARIA
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