Caso Agrokor: ma la Croazia è nella UE?

Pur di salvare il suo più grande gruppo agroalimentare Zagabria vara aiuti di stato per impedire che la proprietà passi alle banche russe. Bruxelles per ora tace
GIUSEPPE ZACCARIA
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Facciamo finta che in Italia un grande gruppo industriale (meglio non far nomi per non portare iella) cada in crisi, o che in Germania precipitino le azioni di una grande acciaieria, oppure che in Francia crollino i titoli di una grande azienda privata: cosa succederebbe? Da noi in parte la cosa si sta verificando con Alitalia, altrove non sappiamo, però si può scommettere sul fatto che dalla commissione europea subito partirebbe l’intimazione: “Niente aiuti di Stato”.

In questi giorni succede però che la medesima situazione si stia riproponendo in termini drammatici nel più giovane dei Paesi dell’Unione, ossia la Croazia, e che Zagabria per fronteggiare la crisi abbia appena varato una legge ad hoc col proposito di proteggere le “imprese sistemiche”, mentre l’Unione europea ancora tace.

Qui si parla del caso Agrokor, ovvero di una delle più grandi imprese del settore alimentare del centro ed Est Europa, un colosso che dà lavoro a 60.000 persone fra Croazia, Slovenia, Serbia, Bosnia-Erzegovina e Ungheria e sostiene molti altri posti di lavoro presso i fornitori.

Ivica Todorić, l’uomo più ricco della Croazia, sulla copertina di Forbes edizione croata

Fino a qualche anno fa il gruppo guidato (si fa per dire) dal tycoon Ivica Todorić sembrava avviato a conquistare una gigantesca posizione di monopolio, aveva acquisito la catena slovena di Mercator e vagheggiava di espandersi anche in Serbia, adesso è schiacciato da un debito mostruoso: 3.5 miliardi di euro verso banche creditrici e 2,2 miliardi nei riguardi di fornitori, per un totale che supera di sei volte il suo patrimonio netto.

A questo punto, verrebbe da chiedersi come mai un’azienda così importante abbia potuto accumulare passivi tanto disastrosi e cosa facevano nel frattempo gli organi finanziari di controllo di Zagabria, ma il dubbio passa in secondo piano dinanzi a fatti ben più pressanti.

Primo: i più forti creditori di Agrokor sono due istituti di credito russi, la Sberbank e la VTB. Secondo: anche se sono esposte anche altre banche, particolarmente gli austriaci del gruppo Erste Group, Raiffeisen Bank e gli italiani di UniCredit e Intesa Sanpaolo, in un paese filoamericano, ipereuropeista, governato dal centro destra e con rigurgiti neonazisti il fatto di dipendere dagli umori (e dai capitali) di Mosca non poteva passare.

Dunque, ecco la soluzione di emergenza: il governo a guida Hdz, il partito nazionalista che fu fondato da Franjo Tuđman, stabilisce un obbligo di intervento pubblico nel caso di crisi di “società sistemiche”, ovvero quelle compagnie che hanno “più di ottomila dipendenti”. E pazienza se la sola azienda che superi questa soglia in Croazia è proprio la Agrokor.

Questa norma “ad aziendam” non provoca alcuna reazione nel Paese, anzi perfino le sparute opposizioni rimangono silenziose per timore di inimicarsi tutti coloro che altrimenti finirebbero sul lastrico. I ricavi annui di Agrokor, quando c’erano, ammontavano a 6.5 miliardi di euro ed equivalevano al 15 per cento del prodotto interno lordo nazionale. il ministro delle finanze ha avvertito che un fallimento del gruppo potrebbe ridurre la crescita economica di quest’anno e colpirebbe anche debito sovrano, in altre parole “l’impatto sull’economia sarebbe disastroso”.

Dal punto di vista croato, dunque, anche se ci si dovrebbe domandare com’era stata permessa una crescita così abnorme, l’intervento era più che obbligato. Adesso bisogna impedire che il buco economico impedisca alla catena di distribuzione della Agrokor, che si chiama Konzum, di approvvigionarsi in vista della stagione turistica, ma anche su questo piano il gruppo versa in gravi difficoltà: da più di un anno ormai non paga i fornitori, per un po’ aveva cercato di rabbonirli con “buoni” che costoro si facevano scontare dalle banche, poi il giochino non ha funzionato più e adesso aziende agricole e produttori vari si rifiutano di mandare le merci. E un supermercato a cui mancano i rifornimenti è come morto.

A questo punto, l’“intervento di gestione straordinaria” deciso dallo Stato punta anzitutto a scongiurare la chiusura dei punti vendita, ma per questo bisogna prima tacitare i fornitori versando subito almeno un miliardo, poi si cercherà di vedere se Agrokor sia risanabile o no. E qui si preannuncia un altro bivio: o Zagabria aiuta Todorić con una massiccia iniezione di liquidità (qualcosa che equivarrebbe ai proventi dell’intera stagione turistica, se basta) con questo rendendosi rea di quell’“intervento pubblico” che nei parametri UE è considerato manifestazione satanica, o rileva l’intero gruppo, e qui si sarebbe ancora più al di fuori dalle regole comunitarie.

Konzum distribuisce anche benzina

Per evitare uno scontro sanguinoso con Bruxelles, gli economisti suggeriscono sommessamente una terza soluzione: lasciare che Agrokor fallisca e che le banche russe ne prendano la gestione per rientrare dei loro crediti, ma per il governo lo schiaffo sarebbe insopportabile: può mai la cattolicissima Croazia, fervente alleato degli USA e membro della Nato, accettare che l’alimentazione dei suoi cittadini dipenda dalle scelte di Vladimir Putin? Ed ecco che anche il problema di mettere assieme il pranzo con la cena si trasforma in fattore geopolitico.

Tutto questo aiuta anche a capire come mai sulla vicenda Agrokor i cosiddetti poteri forti continuino a tacere. Anche le banche russe rimangono in attesa, finora si sono limitate a far sapere che per loro l’intera faccenda “è soltanto una questione di business”, ma certo non resteranno a lungo senza pretendere la restituzione dei miliardi prestati. In questo modo il problema di una catena di supermercati alimentari ha finito col trasformarsi in questione europea, con inevitabili ricadute su qualsiasi mossa la Commissione deciderà di fare.

Una procedura d’infrazione, oltre a mettere in crisi i già traballanti bilanci della più giovane repubblica dell’Unione aprirebbe la strada ai banchieri di Mosca. D’altra parte, far finta di niente scatenerebbe un vero e proprio turbine di contenziosi, poiché tutti gli altri Paesi dell’Unione – a partire da quelli dei “gruppo di Visegrad”- insorgerebbero in nome della parità di trattamento. Forse mai nella sua ancor breve storia all’Unione era capitata una così grossa gatta da pelare. Chi ha una soluzione è pregato di alzare urgentemente la mano.

Caso Agrokor: ma la Croazia è nella UE? ultima modifica: 2017-05-25T10:37:05+02:00 da GIUSEPPE ZACCARIA
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