Nel numero di giugno, la Gazzetta Svizzera, organo dei cittadini della confederazione residenti in Italia, ha rivelato – con impressionanti testimonianze – una orribile vicenda sin qui nota solo oltralpe, e solo in seguito alla decisione del Parlamento di Berna di un riconoscimento tardivo (e comunque insufficiente) delle sofferenze e dell’ingiustizia patite da centinaia, forse da migliaia, di bambini abbandonati dai genitori e “sistemati” presso famiglie o in orfanotrofi.
Si tratta di un capitolo oscuro, di spaventosa inciviltà – nella pur “civilissima” e ricchissima Svizzera – che richiama pratiche e costumi medioevali, ma che invece si è consumato per lunghissimo tempo sino a una trentina di anni fa, alla faccia del progresso e dei diritti umani e sociali più elementari. Internati o adottati per decisione amministrativa, persino sterilizzati a forza, bambine bambini sono stati vittime di violenze mentali e fisiche e anche, più frequentemente, di abusi sessuali.
Un orrore cui si è posto parzialmente riparo solo alla fine dell’anno scorso quando è stata approvata una legge federale “sulle misure di coercizione a scopi di assistenza e di collocamento extrafamiliari precedenti al 1981” che assicura a ciascuno dei sopravvissuti un risarcimento di 25mila franchi (c’è ora praticamente parità con l’euro) più diverse misure di sostegno psicologico e ambientale.
La ricerca delle vittime non è facile, e per questo il termine per la richiesta del risarcimento è stato fissato al marzo dell’anno prossimo: la stessa pubblicità data dall’ampio servizio della Gazzetta Svizzera (numero di giugno di quest’anno, consultabile anche su Internet) e dagli analoghi periodici diffusi nel mondo testimoniano di una ricerca anche all’estero delle persone coinvolte nella vergognosa vicenda. Alcune di esse hanno raccontato il proprio vissuto, non esitando a rivelarne i più atroci particolari. È il caso, ad esempio, di Bernadette Gächter, cittadina del Cantone San Gallo:
Quando nel 1972 mi sono ritrovata incinta senza volerlo, a diciotto anni, mi è stato spiegato che avevo un problema psicologico (…) I medici, tutori e genitori adottivi, mi hanno convinta che avevo una lesione cerebrale e che mio figlio sarebbe nato anch’egli con una lesione cerebrale. Mi hanno pertanto sterilizzata come si sterilizza un gatto. Non potevo dunque più costruire una famiglia, avere dei figli. Quando ero giovane, vedere delle madri con i loro piccoli era per me fonte di sofferenze atroci (…) Da trent’anni mi sto battendo per i miei diritti. Per continuare a vivere una vita dignitosa, nonostante tutto, occorre un’energia incredibile e una volontà molto forte.

Bernadette Gächter
Tragica anche la testimonianza di Alfred Ryter: una lunga malattia della madre provoca la decisione delle autorità cantonali di sequestrarne i tre figli e di affidarli a famiglie senza prole. Lui, otto anni, si ritrova in campagna, “collocato” presso una coppia di contadini, che lo sistemano in un vecchio divano con delle vecchie coperte in un locale pieno di foraggio e di utensili:
Quando ho preso conoscenza del luogo dov’ero e del trattamento che subivo, mi sono ribellato. Ho implorato, ho pianto, ho dato calci alla porta. Ma non è servito a nulla. Loro erano più forti e mi hanno picchiato. Solo al lavoro mi sentivo meno male. Il lavoro era lungo e penoso ma, almeno, non ero rinchiuso all’interno. Fame e sofferenze erano diventate la mia quotidianità. E quando ero troppo affamato mangiavo il cibo dei maiali e dei polli. (…) La mattina – la piccola colazione doveva bastare per tutta la giornata – la contadina mi dava un pezzo di pane e una tazza del latte che io avevo appena munto, ma latte allungato con l’acqua per non farmi scottare, diceva. Una volta ho rubato un’arancia ad alcuni passanti. Mi hanno picchiato a sangue e rinchiuso nella stalla, poi mi hanno spogliato a gettato nell’acqua fredda del pozzo (…) Dopo cinquant’anni, il passato è risorto nella mia vita: uno dei miei fratelli si è suicidato, i ricordi della mia orribile giovinezza… Sono seguito da uno psichiatra e assumo medicine molto forti, anche mia moglie e i miei due figli ne hanno sofferto.
Ciascuna testimonianza è accompagnata da una foto impressionante: l’uomo o la donna oggi, ma tra le mani l’immagine di sé bambino quand’era schiavizzato. Scioccante. Come la doppia immagine e la storia di Clément Wieilly, nato nel 1954 all’ospedale des Bourgeois di Friburgo (cantone franco-tedesco), e abbandonato in culla dai genitori, come avevan fatto due anni prima con il primo figlio. Presi a carico tutti e due prima di un ospedale, poi di un sanatorio, infine dell’orfanotrofio di Friburgo:
Qui abbiamo vissuto dal 1958 al 1968. Il primo direttore era molto rigido: senza pietà, ci picchiava e ci privava dei pasti. Ci venivano di continuo inflitte punizioni molto brutali. Ci premeva un cuscino sul viso finché non eravamo privi di coscienza. Sono stato vittima di abusi sessuali e di voyeurismo (…) Nel ’62 un nuovo direttore si è dimostrato un po’ più simpatico con noi. Poi la separazione tra noi fratelli, io sono stato collocato presso una famiglia di agricoltori: lavoro molto pesante e senza retribuzione, dalle 5,30 alle 20, tranne qualche ora a scuola. Anche mio fratello, affidato a una famiglia di spazzacamini, non era pagato. A sedici anni nuova collocazione: apprendistato di venditore di articoli casalinghi. I più grandi abusavano di noi, mentalmente, fisicamente e sessualmente. Gli educatori chiudevano gli occhi. Anche mio fratello ha subito il medesimo calvario.

Clément Wieilly
Ma la tragedia dei bimbi sfruttati e violentati ha anche un altro tragico risvolto: quando si diventa adulti senza avere alcun riferimento, nell’ignoranza totale di come si vive, come ci si realizza o almeno come ci si prova. Un azzardo, una nuova tragedia. Ancora lui, Clément Wieilly:
Non siamo stati preparati ad affrontare la vita e tutto quanto l’accompagna. Eravamo manipolabili. Nessun ci aveva insegnato a gestire il danaro o a evitare i pericoli. Qualcuno ha approfittato della nostra innocenza e siamo subito caduti nella spirale dell’indebitamento. I miei debiti li rimborso ancora oggi. Vivo sempre di una mia piccola rendita. Attualmente sono riuscito a creare l’associazione “Agir pour la dignité”. Questa associazione ha per vocazione quella di sostenere la vittime delle misure di coercizione, nonché di sensibilizzare gli altri a questa causa.
Che aggiungere? Nient’altro che una frase di William Shakespeare che s’attaglia esattamente alla tragedia vissuta da questi ex bambini, da Bernadette in particolare:
Per tutte le violenze consumate su di lei, per tutte le umiliazioni che ha subìto, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le sue ali che avete tarpato, per tutto questo: in piedi, signori, davanti a una Donna!

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!
1 commento
Le vittime sono stimabili in diverse decine di migliaia. Non solo bambini abbandonati ma anche tolti a madri sole (anche se vedove, abbandonate dai mariti ecc…) o a famiglie povere, sinti, rom, yenish. Molti gli sterilizzati a loro insaputa o contro la loro volontà. Consiglio la visione del documentario a questo link https://www.rsi.ch/la1/programmi/informazione/falo/Cresciuti-nellombra-6334327.html