La tragedia dell’esodo dalmata. Un romanzo

"La zaratina" di Silvio Testa, la storia di un dramma italiano che rischia di essere dimenticato. Da far leggere soprattutto alle nuove generazioni
MARIA LUISA SEMI
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Non è, questa, una recensione, ma piuttosto una partecipazione.
Con molta intelligenza Silvio Testa ha voluto costruire un romanzo su un dramma; dramma durato più anni, per la sua Zara, dapprima occupata dai tedeschi/nazisti, poi pesantemente bombardata dagli Alleati e infine invasa non tanto dai croati – coi quali il rapporto era, se non amichevole, certo civile – dai titini.

Protagonista è “la zaratina”, Daria, della quale s’intuiscono, anzi si notano, le debolezze, i sentimenti, ma anche la forza.
Protagonista tuttavia è tutta una famiglia, con Bepi, il “pater”, mai rassegnato, sempre attivo e deciso a non abbandonare la sua terra e i suoi affetti.
Con la madre, Maria, messa quasi in disparte, ma sempre presente.
Con la sorella Licia, forse più fragile, meno decisa, ma unita a tutti.

Interessanti le figure dei due uomini, mariti di Bianca e Licia, l’uno italiano, l’altro croato, per i quali tutti nutrivano affetto, amore e stima.

E infine Ivaniza, semplice, ma intelligente ragazza della campagna, legata fortemente alla famiglia.

Forse proprio Ivaniza, con la sua famiglia di un piccolo borgo, fa capire come la coesistenza fra italiani e croati era non solo possibile, ma costituiva un’unica entità, legata da una quotidianità che rasentava l’amicizia, e che, al bisogno, dava aiuto, non curando il pericolo.

La prima parte della tragedia di Zara rievoca la presenza tedesca e l’inevitabile – forse – distruzione di parte della città da parte dei bombardamenti anglo-americani. E quindi fuga nelle campagne, sfollamento, ma dove? Nelle campagne, in un borgo croato, in cui la famiglia locale ospita i “signori” di città e con loro condivide quanto ha.

L’arrivo poi delle truppe alleate; delizioso il piccolo particolare della gomma da masticare data al piccolo Sergio, nipotino di Bianca, che considera la gomma stessa – come in fondo è successo a molti di noi, non giovani – un oggetto misterioso.

E infine i titini. Se prima era una guerra, con tutti i – purtroppo normali – bombardamenti, le distruzioni, le vittime, l’invasione titina fu un dramma peggiore. Figlia di istriani – non esuli – anch’io, dopo l’8 settembre vissi in Capodistria, per pochi giorni, tale invasione. Ma per Zara fu una catastrofe. Già i cosiddetti processi e l’eliminazione di zaratini, non perché fascisti, ma soltanto perché italiani. Già la demolizione di quanto era non solo italiano, ma soprattutto veneziano. Struggente, commovente la reazione di un componente della famiglia al vedere la distruzione di un leone – il primo – di San Marco, marmo che da sempre costituiva uno dei simboli di Zara veneziana. “Tutto ormai è finito”.

Già, gli italiani; ovvio, non tutti erano fascisti, anzi, ma il solo fatto di essere stati sudditi di una dittatura fascista, li definiva. Pulizia etnica, quindi. E i partigiani, per lo più serbi, non erano graditi alla popolazione croata, abituata a una civile convivenza con gli italiani; vera, intelligente considerazione di Silvio Testa. Ancora oggi sloveni, croati e serbi hanno reciproci rancori. E ancora oggi gli sloveni a Zagabria non sono graditi, ancora oggi si discute sul confine fra Slovenia e Croazia.

La famiglia, quindi: sempre unita non nel sangue, ma nelle piccole abitudini quotidiane, con la giovane Ivaniza rispettosa prima, affettuosa poi con quelli che – signorilmente peraltro – erano, in fondo, “i padroni”.

Esemplare la ricostruzione dell’accoglienza, in case di campagna di contadini croati, dei signori di città e la civiltà, la gratitudine dei signori nei confronti di questi. Più che esemplare l’aiuto dato a Ivo per facilitargli il ritorno a casa, a rischio della vita propria e di altri.

Non posso non citare una frase che in due occasioni venne data come motivazione dell’aiuto a Giuseppe, il capofamiglia: “Perché semo omeni”; e quindi l’implicito rifiuto a guerre e violenze.

Infine la guerra si concluse, ma come? Con la cessione, autentica cessione di Istria e Dalmazia, a fronte del “mantenimento” di Trentino e Alto Adige. Non mi permetto di dare giudizi sull’operato del governo italiano, di De Gasperi, ma… forse qualcosa di diverso si sarebbe potuto fare.

Molti anni ormai sono passati, indietro non si può tornare. Ma per chi è rimasto, per chi è partito dalla loro città, questa rimarrà sempre Zara e non Zadar.

Molti ormai non ci sono più, molti sono ormai non anziani, ma vecchi; i giovani poco sanno – e forse poco interessa – della tragedia di Zara, ma questo libro, scritto talvolta in forma leggera, proprio dai giovani dovrebbe essere letto.

E, ultima considerazione, Venezia. In fondo considerata anche dagli istriani, nonché dai dalmati, la vera capitale. Forse più che Trieste, la bellissima città che tuttavia – anche se del tutto italiana – portava e porta ancora ricordi dell’Impero austro ungarico.

La tragedia dell’esodo dalmata. Un romanzo ultima modifica: 2017-07-03T19:09:07+02:00 da MARIA LUISA SEMI
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