Tra i numerosi impegni che hanno caratterizzato la prima, storica visita di un capo di governo indiano in Israele (dal 4 al 6 luglio), il primo ministro Narendra Modi ha incontrato un ragazzino di nove anni di nome Moshe Holtzberg. Quando era un neonato, i genitori di Moshe, che in seguito tornò in Israele con la sua tata, con la quale vive tuttora, furono uccisi da estremisti musulmani nel centro ebraico Chabad-Lubavitch di Mumbai, nel corso di un attacco contro la metropoli indiana condotto nel novembre 2008 da dieci terroristi del Lashkar-e-Toiba, venuti dal Pakistan, che durò quattro giorni e causò la morte di 164 persone.
Una scelta significativa per i rapporti tra India e Israele, che la visita di Modi ha portato a un nuovo livello. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo ha accolto parlando in hindi: “Aapka swagat hai mere dost” (benvenuto, amico mio), una frase che ha dato il via a 72 ore di dichiarazioni di reciproca ammirazione, di abbracci e pacche sulle spalle.
Intervistato dal New York Times P. R. Kumaraswamy, professore alla Jawaharlal Nehru University di New Delhi, ha paragonato la visita alla decisione di due amanti clandestini che rendono pubblica la loro relazione: “(prima era come quando) hai una relazione, ma non lo vuoi ammettere in pubblico”, ha detto il professore.
Ora la clandestinità è finita: India e Israele sono legate da un rapporto profondo, da alcuni decenni, che ha al suo centro la difesa contro il nemico comune – i musulmani arabi e palestinesi per Israele, e quelli pakistani e kashmiri per l’India.
Nel corso della straordinaria visita, Modi, Netanyahu e i loro collaboratori hanno firmato sette accordi in settori “strategici” come la tecnologia, la conservazione dell’acqua e l’agricoltura.
Poco prima della visita – che ha segnato anche i 25 anni di relazioni diplomatiche tra i due Paesi – era stato raggiunto un accordo sulla fornitura all’India di un avanzato sistema missilistico israeliano chiamato medium-range surface-to-air missile (MRSAM), un contratto da due miliardi di dollari.
La collaborazione nel settore della difesa è stata più volte criticata dal Pakistan e dai nazionalisti kashmiri, impegnati da decenni in una sanguinosa lotta per la secessione sostenuta da Islamabad. La presenza di consiglieri militari israeliani nel territorio è stata confermata in passato da osservatori indipendenti.
L’ultima denuncia è stata fatta dai nazionalisti kashmiri nello scorso aprile, quando è stato diffuso sui social media il filmato di un giovane legato sul muso di un veicolo militare, uno “scudo umano” per difendere i soldati indiani – una tecnica che sarebbe stata mutuata da quelle usate da Israele nei territori palestinesi (l’India ha smentito, sostenendo che lo “scudo” era in realtà un soldato e che si trattava di un’esercitazione; in Israele l’uso di scudi umani è stato vietato dall’Alta corte nel 2005 ma le organizzazioni umanitarie come la B’Tselem sostengono che l’esercito continua ad utilizzarli).

Le corone deposte da Benjamin Netanyahu e da Narendra Modi al monumento ai soldati indiani caduti nella battaglia di Haifa nel 1918.
Si ritiene che l’esercito israeliano abbia discretamente aiutato quello indiano nelle guerre combattute col Pakistan nel 1965, 1971 e 1999 (il cosiddetto “conflitto di Kargil”, di fatto una vera e propria guerra, combattuta nel Kashmir). L’India è da tempo il miglior cliente dell’industria militare e della sicurezza israeliane. Nel 2010, il deputato Mani Shankar Ayar dell’Indian National Congress, ha dichiarato al quotidiano Indian Express:
Siamo diventati così dipendenti dalle forniture di Israele per la difesa che quando ho chiesto al governo di dire se mette sullo stesso piano il gran numero di civili uccisi dalle forze israeliane nella striscia di Gaza con le uccisioni condotte da Hamas, il ministero degli esteri ha respinto la domanda, sostenendo che si tratta di un segreto di Stato. Da quando il problema delle relazioni indo-palestinesi è diventato un segreto di Stato, dato il fatto che noi, l’India, siamo in prima linea per la causa palestinese?
Javita Sarkar, in un articolo pubblicato dalla rivista The National Interest, ha ricordato che la politica di amicizia con Israele è una costante della politica estera indiana da decenni, che si è rafforzata dopo la fine della Guerra Fredda e il crollo dell’URSS, protettrice e amica dell’India ma nemica di Israele.

La festa della comunità indiana in onore del primo ministro Modi. Sono centomila gli israeliani di origine indiana. Presenti da secoli, in India gli ebrei sono circa 5000
A questa politica veniva messo il silenziatore quando al governo c’era il Congress di Jawaharlal Nehru e di sua figlia Indira Gandhi, sostenitori del Non-Allineamento e amici degli amici di Mosca come Fidel Castro – famoso il suo robusto abbraccio a una imbarazzata Indira durante il vertice dei Non-Allineati svoltosi nel 1982 a New Delhi. Con i governi di centro-destra invece, come quello della Jan Sangh che fu al potere dal 1977 al 1979, le strette relazioni di collaborazione con lo Stato ebraico venivano rivendicate apertamente.
Scrive Sarkar:
Durante la prima fase della Guerra Fredda, il primo ministro indiano Jawaharlal Nehru prese in considerazione l’idea di invitare Israele alla Conferenza di Bandung del 1955 (dove nacque il Movimento dei Non-Allineati, tenuto a battesimo dallo stesso Nehru, con l’indonesiano Sukarno, l’egiziano Abdul Gamal Nasser e il ghanese Kwame Nkruma, ndr) ma poi decise di non farlo per accontentare i Paesi arabi e del Medio Oriente.
Così, Nehru dette il via al “doppio binario” seguito fino alla clamorosa visita di Modi. In precedenza, la consegna del silenzio fu rotta da Rajiv Gandhi (figlio di Indira e leader del Congress) che nel 1985 incontrò il suo omologo israeliano ai margini dell’Assemblea generale dell’ONU, e più apertamente, nel 2000, da Lal Krishna Advani, allora ministro dell’interno e leader del Bharatiya Janata Party (BJP), lo stesso al quale appartiene Modi, che si recò in visita in Israele.
Sul piano della politica interna indiana, oggi Modi e il BJP – un partito nato da una costola della Rashtriya Swayamsevak Sangh, un’organizzazione di fanatici hindu – appaiono destinati a rimanere a lungo al governo, e a portare allo scoperto l’ideologia integralista dal punto di vista religioso e nazionalista dal punto di vista politico, condivisa più o meno esplicitamente da gran parte della popolazione, tanto che persecuzioni religiose contro i musulmani “mangiatori di carne” (decine dei quali sono stati linciati dalle folle hindu nel nord dell’India) e contro tutti i non-hindu si stanno moltiplicando. Sul piano della politica internazionale, l’incertezza sulla leadership americana, personificata dal presidente Donald Trump, spinge nella stessa direzione.

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