Forse il governo italiano, al fine di evitare un ancor peggiore patatrac creditizio a Nord-Est (e non solo) e chiudere la vicenda di Veneto Banca (VB) e Popolare di Vicenza (BPV), ha affondato l’Unione bancaria europea. Esagerato? Forse; ma il pericolo c’è.
D’altronde, questo potrebbe essere l’effetto dell’operazione Intesa-San Paolo/governo in quanto in sostanziale deroga – come appare dal decreto legge ora in via d’approvazione in Parlamento – sia rispetto alla BRRD (la cosiddetta “Direttiva europea sul bail in”) che alla normativa nazionale sulla LCA (liquidazione coatta amministrativa) delle banche in dissesto.
Allora, quale potrebbe essere il motivo del possibile infanticidio italico della neonata Unione bancaria? Il nostro giocare con le regole ed esporre eccessivamente il contribuente nell’operazione (quasi facendo del bail in un parziale bail out): ecco ciò che potrebbe dare un ottimo pretesto ad altri, ad esempio ai tedeschi, per rifiutarsi di condividere il presupposto base necessario all’esistenza dell’Unione bancaria medesima: la condivisione del rischio.
Che poi pure potrebbe voler dire il profilarsi di una sorta di bad bank pubblica che, qualora divenisse una costante dei salvataggi bancari Italian Style, scaricherebbe pure i futuri salvataggi bancari sul debito pubblico. Insomma, così la prospettiva è di passare dal bail in bancario al bail in del debito pubblico.
Naturalmente, decidere dal ministero dell’economia e finanza (MEF), ovvero vincolati dalle esigenze di consenso della maggioranza, dai paletti delle autorità europee, dalle varie corporazioni in gioco, è difficile e ciò ha reso l’operazione Intesa-San Paolo/governo la più facile da percorrere.
Fatte però due scelte politiche poste in premessa e, quindi, da valutare come tali, anche nei costi, da parte dell’opinione pubblica: la prima è di evitare di toccare le obbligazioni senior (meno rischiose delle subordinate in caso di dissesto aziendale); la seconda, di trovare il “pronto soccorso” di un istituzione creditizia – al secolo Intesa-San Paolo che, non a caso, è un po’ il dominus e un po’ la fatina bianca della vicenda – onde così evitare gli aspetti più puntuti, dunque politicamente più dolenti, di una LCA canonica (rientro degli affidamenti, per dire il più hard).
Così, invece, trovato il soccorritore che si prende al prezzo simbolico di un euro (forse anche a risarcimento del miliardo e mezzo perso da Intesa-San Paolo col Fondo Atlante) la “parte sana” di VB e BPV, si può poi optare per una sorta di LCA soft. Vuol dire, se si esclude il contribuente, limitare le perdite, salvo ristoro dal realizzo per liquidazione delle parti “malate” delle medesime VB BPV, agli azionisti e agli obbligazionisti subordinati di queste ultime.
Cionondimeno, con la LCA secondo ordinamento, ma politicamente e socialmente difficilmente proponibile, forse l’esborso di denaro pubblico sarebbe risultato minore in quanto lo Stato avrebbe potuto guadagnare dalla gestione liquidatoria delle parti sane delle due banche. Però, a ciò manca la prova controfattuale; e, comunque, così Intesa-San Paolo toglie parecchie castagne dal fuoco alla politica, sia essa di maggioranza che di opposizione.
Il finanziamento pubblico di circa quattro miliardi di euro per l’acquisizione degli asset sani delle due banche venete da parte di Intesa-San Paolo, onde evitarne ricadute sulla capitalizzazione, è un problema in termini di normativa europea. Una difficile partita tra Bruxelles e Roma.
La cosa influenzerà pure il dibattito parlamentare? Quanto alla questione del ristoro dei creditori di VB BPV, il punto è che, a complicare la cosa, il diritto bancario già dal 1936, scostandosi in ciò dal diritto fallimentare, antepone ai loro interessi la continuità operativa della banca o, almeno, dei suoi rami sopravvissuti. In altri termini, guardando al caso di VB e BPV, manca ai creditori la possibilità di agire sugli asset buoni, dovendosi fermare agli attivi in liquidazione della bad bank, che è il meno.
Attenzione, ciò non è un caso; difatti, se da decenni ciò fa parte del nostro ordinamento è per un fine di ordine pubblico economico: la tutela prioritaria della stabilità e funzionalità del sistema creditizio. Ora il decreto legge sull’operazione Intesa-San Paolo/governo è in Parlamento; comunque vada il voto, c’è ancora molto da discutere sulla vicenda.
il mattino di Padova

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