Splendori e miserie del “Canalazzo”

Di quella che in tanti chiamano “la più bella strada del mondo” ci racconta con garbo, senso dell’umorismo, dovizia di informazioni “Venezia, il Canal Grande” di Pier Alvise Zorzi, autore dei testi, e Pierfranco Fabris che raffronta 106 illustrazioni dell’800 di Antonio Quadri con le sue che ritraggono la realtà d’oggi.
CLAUDIO MADRICARDO
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Chissà che ne direbbe oggi Napoleone che lo percorse nel 1807 da buon rappresentante di quella borghesia di cui s’era fatto imperatore, e che laconicamente commentò con un “Je vois la puissance du commerce”.

Se lo ripercorresse ora quel canale serpeggiante e dalle acque ormai rabbiose, intruppato in una carovana di taxi acquei in gita turistica stipati di cinesi o coreani, tutti muniti dell’appendice che va di moda, alla cui estremità è fissata l’immancabile proiezione dell’ego: “Selfie, ergo sum”.
Quell’arteria cui si affacciavano, e ancor si specchiano schiaffeggiati di continuo dalle onde, i più bei palazzi di Venezia, come testimonianza del rapporto armonioso tra ricchezza e sfarzo personale con l’abbondanza delle merci, ricoverate nei capienti magazzini a piano terra, in attesa di prendere la via del mercato a Rialto o quella di terre lontane.

Sfarzo e ricchezza, e etica del commercio, che rivelavano all’occhio attento dell’ex ufficiale d’artiglieria il segreto del successo della città che gli aveva capitolato, ridestandogli pensosa ammirazione.

Città senza una periferia, che si era sviluppata urbanisticamente in modo eccentrico rispetto alle consorelle europee e italiane, Venezia aveva saputo fondere e avvicinare nobile e popolano, disseminando la città, anche nei luoghi più impensati, di palazzi gentilizi per quanto forse non sempre sfarzosi come quelli eretti sul Canal Grande.

La dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, dell’origine umilmente mercantile della sua “gens”, alla quale non poteva rinunciare e su cui aveva basato le proprie fortune. Ma anche il suggello di una concreta armonia tra nobiltà e popolani. Del mito, non sempre infondato e ben diffuso in Europa, di un governo degli ottimati in cui le istanze popolari non trovavano quasi mai, questa volta sì, orecchie da … mercanti.

Se Venezia, come si diceva, è in buona parte un riuscito esperimento di non ghettizzazione urbanistica secondo quanto impongono le leggi ferree dell’economia, essa non per questo non ha sviluppato nei secoli una sua facciata nobile che, a occhi frettolosi, può apparire oggi come il solo centro.
E l’ha fatto nello scorrere del tempo, modificando quelle povere dimore e magazzini che all’inizio sorgevano lungo la sua massima arteria d’acqua. Percorrendo una teoria di secolari trasformazioni in cerca dell’utile prima, o dell’estro architettonico poi, attraverso cambi di proprietà, demolizioni, crolli e incendi, dimostrando la natura di corpo vivo del Canal Grande, che solo da poco tempo una cultura conservativa tenta di cristallizzare nella sua forma attuale per tramandare.

Di quella che in tanti chiamano “la più bella strada del mondo” ci racconta con garbo, senso dell’umorismo, dovizia di informazioni storiche e aneddoti un bel volume da poco in libreria per Edizioni Biblioteca dell’Immagine con il titolo di “Venezia, il Canal Grande”, opera di Pier Alvise Zorzi, autore dei testi, e Pierfranco Fabris che raffronta 106 illustrazioni dell’800 di Antonio Quadri con le sue, bellissime, che ritraggono la realtà del giorno d’oggi.

Le 106 illustrazioni di palazzi del Canal Grande danno lo spunto a Zorzi, non per caso patrizio veneziano, per ricostruire la storia di ogni singolo edificio e delle famiglie che vi ha ospitato, spingendosi a tratteggiarne anche un profilo più agile e meno impegnato, che può soddisfare la curiosità di un appassionato della materia e soprattutto del viaggiatore che voglia conoscere un po’ più a fondo la città.

Lettori ideali ai quali Zorzi si rivolge con una doppia edizione. In italiano, e con un testo in lingua inglese da lui stesso scritto in cui ci racconta come sul Canalazzo da secoli

si sono affacciati generali e primedonne, presidenti e politicanti, regnanti e pretendenti al trono, intellettuali e starlette, artisti e musicisti di fama internazionale e le loro amanti e consorti, principi asiatici e mediorientali e le loro tante mogli.

Insomma il solito bel mondo che ha sempre frequentato Venezia, e che continua a farlo anche ai giorni nostri, per quanto non più come accadeva fino a qualche decennio fa, respinto dalla confusione del turismo low cost.

E qui, con il panorama odierno non sempre edificante sotto gli occhi, qualche sfumatura di nostalgia si percepisce nella pur brillante scrittura di Zorzi, uomo propenso al calembour e alla battuta di spirito, curioso delle cose della sua città, come lo fu già suo padre, alla cui memoria l’autore dedica il libro.

Ricorda Zorzi che già nel Seicento alberghi in Canal Grande ce n’erano e con clienti di altissimo livello. E che quindi quella vocazione che ora pare destinata a monopolizzare le attività lungo il corso d’acqua maggiore della città ha dalla sua la forza di una tradizione continuata.

Ricorda pure che già nel Cinquecento si dovette ricorrere a un piano per evitare l’intasamento dei natanti e la tripla fila a Rialto. E che il Canal Grande era tutt’altro che il luogo esclusivo del patriziato, ma un formicolio di vita di vari mestieri e occupazioni, a cominciare dai più umili. Ieri.
Oggi, rispetto al passato, la sensibilità contemporanea ci impone di restaurare, conservare e tramandare.

Ci sarebbe da chiedersi per che cosa, se non siamo capaci di immaginare una funzione che si differenzi dall’offerta ricettiva e museale, e se non siamo in grado di pensare una mobilità che non metta seriamente a repentaglio quei palazzi di cui vogliamo portarci in capo al mondo l’immagine.

Splendori e miserie del “Canalazzo” ultima modifica: 2017-07-10T15:51:00+02:00 da CLAUDIO MADRICARDO
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