C’è la mia faccia su tutti gli schermi. Toglietemi, mi sono stufato di vedermi (Vladimir Putin – dopo la giornata di voto per le elezioni legislative del 2016).
Un nuovo soggetto si sta facendo strada nella vita politica russa: il futuro. Finora passato e presente, calibrati sulle esigenze del governo, hanno, paradossalmente, “predeterminato” il futuro. Putin ha utilizzato il passato, rielaborandolo per raggiungere i propri obiettivi e gestire il presente, attraverso alcuni pilastri fondamentali per l’opinione pubblica: la patria, la gloria dell’impero sovietico, la nostalgia per i grandi, seppur feroci, leader (Stalin, sempre più in auge) e un credo religioso cui appoggiarsi nel momento del bisogno. Il futuro, dunque, era già accaduto perché il sistema di potere che un tempo si chiamava “democrazia guidata” e ora “democratura” (divenuta ormai una dittatura) recava con sé non solo una bussola, ma anche un uomo al comando, un salvatore, in grado di stabilire il percorso, risollevando il Paese dalla crisi economica e da uno smarrimento valoriale e politico portatore di caos e instabilità.
Dopo le proteste di massa del 26 marzo e del 12 giugno, tuttavia, qualcosa è cambiato: migliaia di persone sono scese in piazza in molte città russe, affrontando i pestaggi, la polizia e le minacce, al grido di “Putin ladro”. Circa duemila persone arrestate solo il 12 giugno, tra cui tanti minorenni trascinati con la forza nelle camionette, e trenta giorni (ridotti a venticinque) di carcere per Alexei Navalny, arrestato ancor prima dell’inizio delle manifestazioni del 12 giugno e rilasciato il 7 luglio al mattino da una prigione moscovita e non dalla struttura carceraria in cui si trovava per evitare clamore mediatico. Come abbiamo raccontato proprio su questa rivista, nessuno può sapere se il cambiamento avverrà o quanto ci vorrà per portare a temine “la missione”.

Le proteste e gli arresti del 12 giugno 2017
Di sicuro l’irruzione della polizia nel quartier generale di Navalny a Mosca e in altre città russe, effettuata il 6 luglio, prima del suo rilascio, per confiscare t-shirt, volantini pre-elettorali, giornali e pc, fa intravedere una certa ansia da parte delle autorità. Secondo Radio Free Europe/Radio Liberty (8 luglio), la polizia ha arrestato decine di volontari che distribuivano materiale pre-elettorale. E il numero di arresti prosegue giorno dopo giorno, mentre i componenti del comitato di Navalny vengono presi di mira in maniera sistematica.
Secondo Meduza (7 luglio), le autorità stanno utilizzando qualsiasi mezzo, fake news incluse, per fermare ciò che si sta trasformando in una possibile “New Russian Resistance”. In un distretto di San Pietroburgo a dieci attivisti sarebbe stata negata la possibilità di distribuire materiale pre-elettorale in quanto potenzialmente lesivo dei sentimenti religiosi dei credenti raccolti in preghiera alla Cattedrale di San Vladimiro. Anche la vicinanza degli attivisti a snodi stradali importanti potrebbe distrarre, sempre secondo le autorità, gli automobilisti o i pedoni, aumentando il rischio di incidenti. La volontà di resistere, malgrado tutto, persiste: lo dimostrano i quarantotto comitati elettorali aperti durante la detenzione di Navalny e il continuo incremento dei suoi sostenitori. Navalny ha dichiarato
Sento costantemente che è impossibile cambiare le cose e che vi è un 86 per cento che supporta Putin. Ma non vedo questo 86per cento. In un Paese autoritario, un numero del genere non è rilevante. La campagna elettorale ci sarà, la gente vedrà un’alternativa e questo 86 per cento si sgretolerà.
Più complessa, invece, la possibilità di partecipare alla tornata elettorale del 2018: il comitato elettorale centrale ritiene che Navalny non abbia i requisiti legali per candidarsi, considerata la sentenza – sospesa – a suo carico. Dopo le manifestazioni e gli arresti del 12 giugno su Facebook circolavano alcuni post con immagini di giovani ragazzi reclusi nelle camionette della polizia: “Russia has a future” era lo slogan. E non era uno slogan qualunque: era stato, infatti, utilizzato, come riporta Masha Gessen sul NYR Daily il 12 giugno, da Georgy Satarov, uno degli ex consiglieri di Eltsin, che il 12 giugno del 1991 aveva abbracciato la speranza e il sogno – tramontato in poco tempo – di una Russia democratica. Secondo Oleg Kashin (“Will Russia’s only opposition leader become the next Putin?”, The New York Times, 3 luglio 2017), Navalny non ha bisogno di partiti o coalizioni in quanto la sua forza sta nel supporto di migliaia di attivisti e di “seguaci” online non solo in Russia, ma in tutto il mondo. In questo momento la parola “futuro” potrebbe, dunque, coincidere con il volto di Navalny.

Alexei Navalny viene rilasciato dalla polizia
Ma come si sta muovendo Putin per “riscrivere” il suo futuro e quello di tutta la Russia? Tra le mosse tattiche più semplici, forse la prima: evitare, per quanto possibile, di pronunciare il nome di Navalny o di parlare dei movimenti antigovernativi. Putin ha dichiarato
Credo che potremmo avere un dialogo, a livello presidenziale o governativo, solo con persone che hanno un’agenda politica costruttiva – anche critica. Ma qui si tratta solo del tentativo di attrarre l’attenzione su se stessi e, dunque, non è di interesse ai fini dell’avvio di un dialogo.
“Attenzione su se stessi”. Questo punto è correlato al fenomeno della personalizzazione della politica di cui Putin, come altri leader nel mondo, ha ampiamente beneficiato in questi anni. Come disse tempo fa lo speaker della Duma, “Se c’è Putin, c’è anche la Russia. Se non c’è Putin, non c’è neanche la Russia”.
Secondo una delle ipotesi di Kashin, per la prima volta in diciassette anni Putin si trova a dover fare i conti con una persona che assomiglia molto a Putin stesso. Di entrambi non si può dire siano di destra o sinistra e la loro posizione ideologica sembra vaga e contraddittoria. Insomma, si starebbe verificando un fenomeno di codipendenza, il “cui risultato è la duplicazione del modello di leadership putiniano in un modello antiputiniano completamente agli antipodi”. Un evento che Putin non può permettersi a ridosso delle elezioni presidenziali del 18 marzo.

Vladmir Putin e Alexei Navalny
Il 6 luglio, pur avendo il Cremlino smentito più volte l’ufficializzazione della sua candidatura alle elezioni, prevista per dicembre, è emerso che forse potrebbe candidarsi da indipendente e non con il suo partito, Russia Unita. Un’opzione, ricorda The Moscow Times, già scelta nel 2000 e nel 2004. Questa mossa potrebbe rappresentare una sorta di referendum sulla sua persona, visti gli alti indici di gradimento legati alla sua figura, aiutandolo a prendere le distanze da deputati, oligarchi e altri referenti cui lui stesso ha conferito posizioni di potere e che per molti cittadini sono il volto della corruzione. Tra questi potrebbe forse rientrare persino il primo ministro Medvedev: secondo Meduza (13 luglio), Medvedev non visiterà le regioni russe a causa delle accuse, informazione prontamente smentita dal suo ufficio stampa.
Il piano, in realtà, è già in atto e la creazione del nuovo futuro russo potrebbe anche comportare un ritorno alle origini. Lo dimostra anche la “rottamazione” che ha portato Putin in questi ultimi mesi a sostituire i suoi anziani fedelissimi con nuovi volti, certamente meno esperti. Il palcoscenico perfetto – ma, secondo alcuni analisti, poco convincente – per mettere alla prova il nuovo “futuro” e per consentirci di individuare l’eventuale percorso in vista delle elezioni è stato sicuramente il Q&A annuale del 15 giugno, una maratona tv di circa quattro ore che prevede un’interazione diretta tra il presidente e i cittadini.
Grazie a messaggi, collegamenti audio/video, commenti in tempo reale, telefonate e social media – uno degli strumenti chiave dell’azione di Navalny -, Putin ha avuto la possibilità di declinare il suo nuovo “volto politico” in base al contesto e all’interlocutore. Il binomio “presente e futuro” è stato il primo tema trattato. Come ha sottolineato la giornalista all’inizio della maratona tv, “la maggior parte dei messaggi ricevuti riguarda non il presente, ma il futuro: come sarà il nostro paese nei prossimi anni, come saranno le relazioni con gli altri paesi?”.
Davanti a milioni di persone Putin ha mostrato uno dei suoi tanti volti, volutamente frammentati in mille sfaccettature: lo zar, l’“uomo del popolo”, il commander-in-chief, il “padre”, “il padre della patria”, il politico attento, competente e consapevole, l’uomo di famiglia e il credente devoto. E snocciolando dati e cifre sui temi ordinari o spinosi – il PIL, la povertà, l’inflazione, la produttività del lavoro, la demolizione delle case in alcune aree del Paese, il settore sanitario, i salari etc. – ha risposto a moltissimi quesiti, confermando che l’economia russa ha superato la recessione, seppur consapevole che l’opinione pubblica possa temere eventuali sorprese negative. “Quando si tratta di tirare conclusioni”, ha, tuttavia, specificato, “dovremmo essere guidati dai fatti”.

Vladimir Putin risponde ai cittadini durante l’annuale maratona televisiva
“Tutto ciò che è mio appartiene allo zar”, recita un proverbio russo. E così è stato. Rispondendo ai cittadini, si è presentato come garante della stabilità della Federazione Russa che, ricordiamolo, non è solo un paese, ma un vasto impero, suddiviso in repubbliche, territori, regioni, città federali, una regione autonoma e circondari. Un impero, tuttavia, a “due velocità”, caratterizzato da realtà eterogenee in cui il potere è estremamente centralizzato, per controllare le élites regionali reindirizzando i flussi finanziari verso il bilancio centrale. Ma per poter svolgere il ruolo di garante, ha scelto il ruolo di problem solver, “richiamando all’ordine” o “invitando ad intervenire” i singoli governatori, la cui elezione – diretta o con filtri governativi – è stato oggetto di numerose modifiche legislative negli ultimi anni, promettendo di individuare soluzioni, com’è avvenuto con una paziente di ventiquattr’anni malata di cancro che, a seguito del Q&A, è stata trasportata su sua indicazione a Mosca per le cure, o recandosi personalmente, il 27 giugno, in alcuni luoghi menzionati nel corso del programma. Come a Izhevsk, dove Putin ha verificato di persona le condizioni degli edifici considerati pericolosi, che saranno abbattuti tra molti anni, ma in cui continuano a vivere i cittadini. Secondo Putin,
Ciò che mi interessa è valutare gli umori dell’opinione pubblica, vedere cosa preoccupa di più la gente, l’intera gamma dei problemi. Naturalmente è impossibile rispondere a tutte le domande […] Ma oggi possiamo rispondere a qualcuna di queste e posso farlo solo con il vostro aiuto. E questo ci aiuterà – [parlo di] me e del Governo […] – a individuare quelle principali cui dobbiamo dare priorità.
Come ha sottolineato una dei cittadini intervenuti, “ci siamo appellati a molte agenzie governative, a diversi livelli, ricevendo solo risposte vaghe e formali […] Non sappiamo cosa fare in queste condizioni. Rivolgersi a lei [ndr Putin] è la nostra ultima speranza”.
Ma il garante e padre della patria, quando desidera un referendum, deve dare qualcosa in cambio ai propri elettori: se stesso. Da sempre restio a parlare della propria vita privata, si è concesso ai suoi interlocutori parlando del padre, dei numerosi problemi di salute che ha dovuto affrontare nel corso della vita e dei propri nipotini. Una scelta che sembra andare in una direzione precisa: rappresentarsi come “padre di famiglia”, per entrare in empatia con il proprio elettorato.
Fonti vicine al Cremlino hanno rivelato al quotidiano Vedomosti che uno dei temi centrali della sua campagna sarà proprio la youth agenda, con un focus sull’educazione, sull’economia digitale e sulla sicurezza, solo per citare alcuni punti. Il 24 giugno si è presentato all’Artek International Children’s Centre, in Crimea, ricordando l’importante ruolo che questa struttura svolge dal 1925, accogliendo bambini da tutto il mondo (in passato non solo dalle repubbliche dell’Unione Sovietica), l’importanza dell’amicizia e i valori da tutelare nel corso della propria vita. E in questi giorni, attraverso i social media e la stampa tradizionale, il governo sta diffondendo immagini e video in cui Putin incontra campioni dello sport, gioca a hockey, a calcio, pratica judo, si occupa degli animali, incontra i cittadini visitando le regioni russe e luoghi di particolare rilievo per l’economia russa.
Molto diverso, invece, è il suo ruolo di commander-in-chief. Nel corso della maratona tv sono stati pochi gli accenni alla questione ucraina: per l’analista Brian Whitmore, di recente la Russia ha ammesso “indirettamente” di aver svolto un ruolo non solo da mediatore, ma da combattente nelle repubbliche separatiste. Secondo quanto riportato dall’Agenzia Nova, in questi giorni il leader di Donetsk – Aleksander Zakharchenko – ha proposto l’istituzione, entro tre anni e sul territorio ucraino, di Malorossija, una nuova nazione, con capitale Donetsk, che dovrebbe succedere all’Ucraina stessa, per porre fine al conflitto iniziato nel 2014. Malorossija, avendo il “nome Ucraina”, secondo Zakharchenko, “perso rispettabilità”, dovrebbe affermare la propria sovranità, riallacciando, nel contempo, i legami con Mosca e legandosi all’Unione Russia-Bielorussia.

Malorossija
Sempre nel corso della maratona tv qualche riferimento alla Siria e un richiamo alle sanzioni, il cui impatto è stato volutamente minimizzato. Alcuni accenni alla politica estera in cui, tuttavia, Putin resta forte e risoluto agli occhi dei suoi elettori e, in particolare, al Russiagate, tema sul quale ha persino scherzato offrendosi di garantire asilo politico a James Comey, ex direttore dell’FBI licenziato da Donald Trump. Le costanti accuse rivolte alla Russia di manipolare le elezioni dei paesi europei e l’altalenante gestione dei rapporti con gli Stati Uniti non fanno altro che favorire lo zar, agli occhi del popolo russo determinato e capace, quasi una “femme fatale” della geopolitica internazionale.
Anche l’incontro al G20 tra Donald Trump e Vladimir Putin è stato un ottimo palco per mostrare i rapporti di forza tra i due, decisamente sbilanciati a favore del secondo, considerato vincente dalla stampa nazionale. Come ha scritto il direttore di ytali, Guido Moltedo, quell’incontro ha avuto una valenza prettamente simbolica. Un incontro utile a Trump per la propria immagine e a Putin per rimanere al potere, secondo Garry Kasparov. In gioco non vi erano certo i contenuti, confermati e smentiti in poche ore tramite i canali ufficiali o Twitter, ma un braccio di ferro in cui è solo l’America a rischiare di affondare, considerato l’elevato numero di scandali: dall’ingerenza russa nelle elezioni americane al coinvolgimento del genero di Trump, agli incontri del figlio di Donald Trump con referenti russi per ottenere informazioni compromettenti su Hillary Clinton. Il portavoce del Cremlino ritiene che questi episodi, che non vedono il “coinvolgimento” della Russia, non possano “competere neanche con la serie tv americana di maggior successo.”
“Vicino alla zar, vicino alla morte”, recita un altro proverbio russo. Vi è, infatti, un prezzo da pagare per poter disporre di una bussola utile ad affrontare le incertezze. La società civile, immersa ormai in un’immensa macchina della propaganda, tra sorrisi, calendari di Putin, gadget, “santini” di Stalin, bimbi in festa, sportivi, visite alle regioni russe, conversazioni ufficiali con i leader mondiali, meeting internazionali, parate militari nostalgiche e pellegrinaggi “politici” (ad esempio, la visita al Monastero di Valaam svoltasi proprio in questi giorni), è intrappolata in un ferreo regime di controllo, attualmente intensificato in occasione delle manifestazioni anticorruzione organizzate da Navalny.
L’elenco delle violazioni ai danni dell’opinione pubblica è lungo: dalla minaccia di bloccare Telegram – in quanto utilizzata dai terroristi -, poi ritirata dopo la decisione del fondatore Pavel Durov di registrare l’app in Russia (malgrado l’insistente richiesta di accedere anche ai dati) al blocco momentaneo di google.ru, apparso nella lista di siti censurati dall’organismo “censore di stato” Roskomnadzor, dalla decisione di arrestare l’attivista Ildar Dadin per aver letto ad alta voce la Costituzione sulla Piazza Rossa al sospetto, rivelato da Navalny e riportato da Reuters, che sua moglie e i suoi figli siano costantemente sotto controllo. Last, but not least, la morte sospetta per infarto di Anton Nosik, cinquantun’anni, uno dei fondatori di Newsru.com, Lenta.ru, Gazeta.ru e blogger sul sito dell’Eco di Mosca, che aveva paragonato di recente la gestione russa di internet al modello nordcoreano.
La censura mediatica è ormai un elemento assodato, così come noti sono gli esiti dei processi per l’uccisione di persone e giornalisti scomodi. Si pensi al caso Nemtsov, per cui sono stati condannati gli esecutori, ma non è stato individuato, come sempre, il mandante. Il 12 luglio The Calvert Journal ha confermato, inoltre, l’esistenza di un sito anonimo russo “Je suis Maidan” che, attraverso l’applicativo FindFace, è in grado di individuare l’identità dei partecipanti alle manifestazioni. La piattaforma può diventare uno strumento estremamente pericoloso per i cittadini in quanto potrebbero perdere il lavoro, essere arrestati o espulsi da scuola a causa della partecipazione a manifestazioni considerate illegali. Al 12 luglio l’applicativo è riuscito a individuare già settantacinque persone, di cui viene mostrata sul sito non solo l’immagine, ma anche il nome e il link ai profili presenti sui social media.

Vladimir Putin in visita all’Artek International Children’s Centre, in Crimea
A tutto questo si aggiungono, come riportato dal New York Times (29 dicembre 2016), gli “squadroni della scienza”, un corpo scelto dal governo russo, composto da hacker con precedenti penali, studenti e professionisti. Qualche anno fa il Ministero della difesa acquistò su Vkontakte (l’equivalente russo di Facebook) uno spazio pubblicitario multimediale realizzato per attirare, anche con la promessa di alloggi confortevoli e arredati, potenziali hacker. “Se ti sei diplomato al college, se hai una preparazione tecnico-specialistica, se sei pronto a mettere a frutto le tue conoscenze, noi possiamo offrirti un’opportunità”. Secondo Aska News, Putin stesso ha ammesso, pur negando il coinvolgimento del Cremlino, che nel mese di giugno alcuni hacker russi potrebbero aver condotto attacchi cyber “contro Paesi che hanno rapporti tesi con la Russia” mossi da una volontà “patriottica”. Secondo Putin, gli hacker sono “artisti, liberi nelle loro azioni”.
Questo “sole di violenze gentili” è inserito in un contesto più ampio che vede aumentare di giorno in giorno il potere dei sistemi di intelligence, con riporto diretto al presidente. Del resto è proprio Putin il primo a definire coloro che lavorano per l’intelligence “persone uniche” per il prezioso lavoro svolto. Come disse a metà degli anni novanta Henry Kissinger dopo aver incontrato Putin, “tutte le persone per bene hanno cominciato nei servizi segreti. Anch’io”. Questi decenni hanno visto non solo l’inserimento di molti ex agenti del KGB nell’apparato governativo, ma un ampliamento del raggio d’azione dei servizi segreti, a partire dall’FSB (ex KGB), che, sotto il diretto controllo di Putin, si occupa di controspionaggio, di lotta ai reati finanziari e alla corruzione, di indagini sulle attività economiche e finanziarie, di confisca dei terreni di rilievo strategico o situati lungo i confini territoriali e detiene il controllo dell’equivalente russo dell’FBI (“The Investigative Committee”).
Un ulteriore rafforzamento è avvenuto nel 2016 quando Putin ha creato la Guardia Nazionale che alcuni analisti hanno paragonato all’Opričnina dello zar Ivan Il Terribile (che, proprio in questi giorni, Putin sta cercando di riabilitare, asserendo che non fu lui a uccidere il proprio figlio), un corpo scelto di “pretoriani” che hanno il compito di garantire la sicurezza del paese, in Russia e all’estero, mantenendo nel contempo l’ordine pubblico, proteggendo obiettivi e aree strategiche per il paese e dando ordini diretti all’esercito e ad altre unità militari. In piazza, contro i manifestanti, vi erano anche alcuni dei reparti della Guardia, insieme alla nota Berkut, la polizia antisommossa ucraina (smantellata “ufficialmente” dopo le proteste di Maidan). Come riportato dall’Economist, a settembre del 2016, Kommersant ha annunciato – e poi smentito – una complessa riorganizzazione di tutti i servizi di intelligence che potrebbero essere accorpati in una nuova super agenzia: il Ministero per la sicurezza di stato (MGB), ossia la denominazione della polizia segreta sotto Stalin.
Dunque, quando si potrà assistere a questo “nuovo futuro”?
Per ora possiamo solo intravedere cosa accadrà nel brevissimo periodo. Il 23 luglio agli attivisti del partito Parnas è stata concessa da parte del sindaco di Mosca la possibilità di manifestare in città per difendere la libertà di espressione online e per chiedere le dimissioni del capo di Roskomnadzor e l’assoluzione dei cittadini che hanno postato contenuti online considerati sovversivi.
Nel lungo periodo, invece, la sfida è più complessa. “Quante volte”, si chiede Navalny, “si può avere paura?” Una domanda cui, ad oggi, non è, purtroppo, ancora possibile rispondere.
Finito di redigere in data 19 luglio

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