Il Kurdistan iracheno alla prova del referendum

MILENA NEBBIA
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[di ritorno dall’IRAQ]

Il Medio Oriente è l’area strategicamente più importante al mondo.

Amava dire il presidente americano Dwight Eisenhower. E sicuramente il Kurdistan iracheno ne rappresenta una delle zone più problematiche, poiché il popolo curdo si è trovato sparso nei vari paesi limitrofi (attualmente tra Siria, Iran, Turchia, oltre che in Iraq) a seguito della divisione del Medio Oriente operata da Francia e Gran Bretagna, al termine della prima guerra mondiale.

L’accordo Sykes-Picot del 1916 (fonte: Wikimedia Commons)

La “questione curda” –  ovvero l’esigenza di creare un proprio stato e il riconoscimento della propria cultura e dei propri diritti – ha dunque un forte carattere internazionale e ha sempre rappresentato un problema vivo per l’Iraq.

Dagli anni Sessanta in poi, si possono contare numerose rivolte a cui Saddam Hussein aveva risposto con una dura e feroce repressione, anche con l’impiego di armi chimiche.

Al termine della guerra del 1991, da parte della più grande coalizione armata dalla fine della seconda guerra mondiale (per “liberare” il Kuwait invaso dall’esercito iracheno), nella zona a nord del 36° parallelo venne creata una no fly zone per impedire al regime di Baghdad di intervenire nell’area.

Così si poté creare una regione autonoma curda, con un proprio governo, una capitale (Erbil) e una milizia irregolare, i peshmerga.

Il Kurdistan iracheno (autore: Maximilian Dörrbecker, fonte: Wikimedia Commons)

A seguito delle due guerre del Golfo (1990-1991 e 2003) e dell’invasione statunitense in Iraq, la questione dei curdi si inserisce nel quadro delle strategie da perseguire per ottenere il controllo del territorio e delle sue preziose risorse.

Perché, al di là della definizione geografica, si nasconde in quest’area uno dei luoghi più ricchi di petrolio al mondo, il che genera intorno a esso forti interessi economici.

Il presidente della regione del Kurdistan iracheno, Masoud Barzani.

Questo fa capire perché il referendum chiesto dal presidente curdo, Masoud Barzani, per settembre, sull’indipendenza del Kurdistan iracheno e, ancora più, sollecitato dopo la  cosiddetta “liberazione” di Mosul dall’Isis, acquista un valore globale.

Dal punto di vista internazionale, infatti, la forte richiesta di indipendenza del Kurdistan iracheno costituisce un fattore di tensione.

I curdi siriani hanno sfruttato la guerra civile per liberare alcune aree e governarle in modo autonomo.

La Turchia è da decenni impegnata in una campagna di repressione contro i movimenti indipendentisti curdi presenti sul suo territorio e ha anche condotto operazioni militari in Iraq per colpirne le basi, ma, allo stesso tempo, il governo locale curdo ha stipulato contratti di esportazione con il governo turco (è stato avviato il progetto di un oleodotto da 300.000 barili al giorno, non riconosciuto da Baghdad).

Recep Tayyip Tayyip Erdoğan, Vladimir Putin (http://www.kremlin.ru)

Il presidente turco,  Recep Tayyip Erdoğan, teme che, deposte le armi in Siria, si ritroverà con due entità autonome curde ai confini orientali.

Un Kurdistan iracheno realmente autonomo a livello internazionale rischierebbe di scatenare pressioni nei paesi limitrofi, aprendo le porte a scenari di spartizione territoriale e conflitti di potere dai risultati difficilmente prevedibili.

Il Kurdistan iracheno alla prova del referendum ultima modifica: 2017-08-09T10:30:49+02:00 da MILENA NEBBIA
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