Se continuasse la tendenza che le porta a sparire, Venezia, Murano e Burano, solo per parlare delle isole maggiori, sarebbero preda delle onde e delle correnti, e l’intero ecosistema lagunare ne verrebbe sconvolto. Le barene della laguna, quelle che passando in barca in certi periodi dell’anno ci regalano sorprendenti esplosioni floreali.
La laguna rappresenta un’area della superficie di oltre novanta chilometri quadrati in cui il minacciato dedalo di barene, bassi profili di limo e argilla a pelo d’acqua attraversato dai ghebi, ormai sopravvive nelle parti a nord est e sud ovest. Si è a un passo dal mondo civile, e invece scivoli lento come in un eden coi remi o con la vela al terzo, tra barena e barena, con il cielo sopra la testa. In mezzo alle fioriture dei cespugli (i bari da cui il nome), e con il campanile di Torcello come unico punto di riferimento, manco fosse la stella polare.
Unico, relativo, assillo non finire in secca. Poco male se poi ci si finisce, in laguna la marea sei ore cresce e sei cala, come ebbe a notare già Galilei, che fa finire in secca l’imbarcazione di Simplicio. D’altronde, non è nemmeno spiacevole ingannare il tempo che ti separa dal ritorno a casa calpestando il “suolo salso”, quel terreno pesante che attutisce e conserva traccia dei tuoi passi, tra la vegetazione alofila di salicornia e “suaeda maritima”, che con umile tenacia presta il suo contributo alla generale sopravvivenza.
Importantissime dal punto di vista ecologico, le barene danno una mano al ricambio idrico, frenano la spinta delle maree sul livello dell’acqua e costituiscono una sorta di vaso di espansione. E rallentano, rimanendone lentamente quanto inesorabilmente corrose, l’azione del moto ondoso portato dall’avvento dei motori, offrendo riparo e habitat al novellame del pesce che popola la laguna, e nido ad aironi, alzavole, anatre e fenicotteri. E ad altre specie, tra cui l’ormai insaziabile e infestante cormorano.
Lo scavo del Canale dei Petroli, in laguna sud, ha trasformato in un braccio di mare il tratto che va da Sacca Sessola all’ottagono degli Alberoni, con una proliferazione di poseidonia oceanica e la scoperta, solo pochi anni fa, di colonie di “pinna nobilis”, le nacchere, che un tempo s’incontravano solo in Dalmazia. In un panorama in cui il medio mare, solo rispetto alle foto di fine ‘800, ormai copre perennemente le motte, la laguna non offre un’unica linea batimetrica, e ha fatto scomparire le barene, rimangono ancora zone in cui quell’utile sistema antico in continua trasformazione per fortuna resiste.
E anzi è oggetto di un’attenta opera di recupero che le sta riportando alla luce, anche grazie all’impiego di fanghi bonificati e depurati provenienti dallo scavo dei rii. Più recentemente, e veniamo all’oggi, Life Vimine, il progetto finanziato al sessantanove per cento dall’Unione Europea che è stato avviato nel 2013 e si è concluso nell’anno in corso, è stato oggetto di una giornata di studio a Palazzo Cavalli Franchetti a Venezia, in cui si è fatto il punto della situazione e, nella consapevolezza che questo è solo un primo passo, si è tracciato il percorso del prossimo, obbligato, futuro.
La diminuzione delle barene nella laguna veneta è stata del 72 per cento in un secolo, passando da 170 a 47 km2. Le cause, principalmente umane, sono imputabili alla diversione fiumi, allo scavo dei canali, alle modifiche alle bocche di porto, alle barche a motore, alla pesca, alla subsidenza, e all’innalzamento del mare.
Una situazione di oggettivo pericolo, cui si è risposto con Life Vimine che ha testato un approccio integrato per proteggere dall’erosione le barene e paludi più interne della laguna, impiegando numerose piccole protezioni biodegradabili e usando le fascine.
Utilizzando tecniche d’ingegneria naturalistica a basso impatto ambientale, per contrastare i fattori che provocano l’erosione delle barene più interne della laguna nord, gli interventi hanno coinvolto sia personale tecnico con esperienza nell’ambito di attività analoghe, sia le comunità locali e in particolare i pescatori di una cooperativa di Burano.
Si è in pratica ricorsi a interventi di fascinazione per proteggere il margine delle barene da onde e correnti, a riporti di sedimento, a refluimenti dello stesso, a trapianti di zolle vegetate, e alla posa in opera di barriere frangionda, frangivento e pennelli. Nei tratti in cui la distanza tra il margine della barena e la struttura protettiva era molto ridotto, è stato effettuato un riporto di sedimento utilizzando la pala o una pompa sperimentale con cui sono stati riempiti gli interstizi e parzialmente coperte le fascine.
Il trapianto di alofite, eseguito tra l’autunno 2015 e la primavera estate 2016, ha interessato la posa di oltre mille zolle prevalentemente di specie perenni tra cui Puccinellia palustris, Sarcocornia fruticosa, Limonium narbonense e Halimione portulacoides.
Oltre che soggetta all’erosione per i motivi sopra elencati, il progetto anche ha messo in evidenza l’altro tipo di erosione alla quale l’area è interessata, che riguarda stavolta lo spopolamento umano, con un meno trentacinque per cento di residenti in nove anni, e l’innalzamento dell’età media di chi in quelle zone vive, passata dai quarantaquattro anni nel 2007 ai cinquantadue dell’anno scorso.
In un’ottica più ampia, si è quindi ricercato il coinvolgimento di chi conosce la laguna, in primo luogo i pescatori, come manodopera nel monitoraggio e manutenzione delle barene. Ciò ha consentito di programmare interventi più efficienti e meno costosi, e un monitoraggio continuo che ha anche favorito la nascita di posti di lavoro in loco. In una città turistica come Venezia, non poteva mancare l’attenzione verso questo problema, ed è stata creata una rete di operatori economici che praticano il turismo sostenibile, partendo dal fatto che le barene sono un patrimonio collettivo e vanno difese.
Come necessaria è stata con l’opera di sensibilizzazione nei confronti dei diportisti, che spesso sono i primi a creare il moto ondoso, e verso il mondo giovanile attraverso una comunicazione e un’opera di educazione che ha coinvolto trentamila studenti ai quali è stato veicolato il messaggio che sviluppo locale e ambiente non sono incompatibili.
ytali. ringrazia Renato Greco, autore del servizio fotografico
Pubblicato il: 23 Giu, 2017 @ 12:40

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