Sono cinquantasettemila gli italiani “scomparsi” nei primi tre mesi dell’anno, frutto di una demografia che riduce la natalità, gonfia la mortalità e rende modesti i flussi migratori. Una perdita di popolazione che si aggiunge al calo di oltre duecentomila residenti nell’ultimo biennio 2015-2016. È vero che stiamo parlando dei dati finora prodotti dall’Istat relativi al solo primo trimestre dell’anno, ma è anche vero che presentano una tendenza preoccupante vista l’accelerazione di almeno due fenomeni.
Il primo è (ancora) quello della denatalità: nel primo trimestre del 2017 sono nati 112 mila bambini, pari ad un calo del 2,6 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Se gli altri tre trimestri confermassero la tendenza denatalistica, avremmo un 2017 con circa 460mila nati, inferiori anche ai 474mila dell’anno scorso quando – si disse – l’Italia marcò un record negativo assoluto dai tempi dell’Unità. Record (forse) oggi superato da un numero che confermerebbe anche un calo della popolazione italiana di circa tre milioni nei prossimi vent’anni e soprattutto una perversa e squilibrante combinazione di decremento dei giovani e crescita di anziani e grandi anziani.
Il secondo fenomeno che ci segnalano i dati è quello dell’aumento dei decessi. Una crescita dei morti in una società che invecchia – pur longeva – è del tutto ovvia e fisiologica, anche perché stanno entrando nella terza età le numerose generazioni dei baby boomer. Tuttavia i 192mila morti registrati appaiono comunque “troppi”, dato che l’invecchiamento strutturale dovrebbe trascinare – in un anno – un incremento dei decessi del tre per cento ma non del quasi quindici com’è avvenuto.
È bene avvertire subito però che oggi di più non si può dire: occorreranno ulteriori dati ed informazioni epidemiologiche per comprendere le ragioni di questo imprevisto picco della mortalità. Che, se confermato nel tempo, porterebbe il numero dei morti del 2017 a sfondare le 700mila unità, un numero che ci farebbe perfino superare quelli dello spaventoso anno 1944 (furono 680 mila, ma le nascite furono ben 838mila, pur in piena guerra) avvicinandoci alla mortalità dei primi del Novecento.
Ovviamente il saldo naturale – nati meno morti – è ancora una volta pesantemente negativo per ottantamila unità, debolmente contrastato da un fiacco saldo migratorio positivo pari a ventitremila unità: il risultato algebrico complessivo è quindi pari a quella perdita di popolazione indicata all’inizio.
Ovviamente bisognerà vedere come andrà la demografia nei mesi successivi, anche se appare difficile prevedere chissà quali svolte radicali e “salvifiche”. L’inizio del 2017 è evidentemente assai critico sia sul fronte della natalità che su quello dei decessi. Mentre per quest’ultimo mancano a tutt’oggi elementi interpretativi, circa la denatalità non ci si deve stupire – scrive Chiara Saraceno in “L’equivoco della famiglia” – dato che
investire su una responsabilità a lungo termine senza ragionevoli certezze, né sul piano dell’occupazione né su quello dei trasferimenti, fa sì che molti (specie le donne) percepiscano il mettere al mondo dei figli non tanto come un azzardo quanto come un atto di irresponsabilità, verso se stessi ma soprattutto verso i potenziali figli.

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