Jihad, se deflagra il fronte balcanico

Il pericolo jihadista sembra oggi arrivare dai Balcani. Rientrano centinaia di combattenti dal conflitto in Siria e Iraq. E tra risentimenti verso la Serbia e crisi economica, cresce l’organizzazione dei gruppi affiliati all’Isis.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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La rotta balcanica della jihad globale. Le progressive sconfitte e perdite di territori in Siria e in Iraq, oltre a causare il rientro in patria di centinaia di combattenti, stanno costringendo i jihadisti a spostare le proprie zone operative in aree diverse. Il timore è che i Balcani possano diventare un’area particolarmente propizia per le cellule dell’Isis. Nel corso del 2016 e all’inizio del 2017, è stata segnalata la presenza di nuclei jihadisti fedeli allo Stato Islamico sia in Bosnia sia in Albania.

Un passo indietro nel tempo. L’agenzia europea contro la lotta al crimine EUROPOL, il diciotto gennaio 2016, ha pubblicato un report in cui si legge che “esistono piccoli campi di addestramento nell’Unione Europea stessa e nei Balcani”, dove aspiranti combattenti vengono allenati attraverso attività sportive e simulazioni di guerra. Il cinque aprile 2016, il quotidiano tedesco Der Spiegel ha riportato che in alcuni villaggi a nord della Bosnia, dove viene applicata la sharia, la legge sacra islamica, sono state esposte bandiere dell’Isis fuori dalle abitazioni. Il cinque maggio 2015, la casa di produzione dei jihadisti Al Hayat Media ha rilasciato un video, dalla durata di venti minuti, intitolato “Honor is in Jihad – A message to the people of the Balkans” in cui otto miliziani di origini balcaniche esortano a combattere contro “i miscredenti” locali, ordinando di piazzare esplosivi nelle case e sotto le loro auto, o di avvelenare il loro cibo e le bevande per ucciderli ovunque si trovino. Il dieci luglio 2016, lo Stato Islamico ha diffuso un nuovo filmato dal titolo “Way of Caliphate”, esortando all’edificazione di un califfato nei Balcani, soprattutto in Serbia. La voce narrante del video chiama i jihadisti della Bosnia, Croazia, Albania, Kosovo, Montenegro, Macedonia e Serbia a compiere attacchi per distruggere la democrazia e stabilire la sharia al suo posto. A novembre 2016, Balkan Insight ha riportato che, due mesi prima, Al Hayat ha lanciato un nuovo giornale intitolato Rumiyah, pubblicato anche in lingua bosniaca, in cui i seguaci dell’Isis vengono spinti a compiere attacchi contro gli apostati in tutta Europa.

La Bosnia-Erzegovina è stato il primo paese balcanico ad assistere ad una forte penetrazione, a causa della guerra e della necessità dei musulmani bosniaci di finanziamenti e armi. Il coinvolgimento nella guerra bosniaca (1992-1995) di combattenti integralisti islamici ha permesso loro un forte radicamento nella società. Infatti alla fine delle ostilità, dopo gli accordi di Dayton, molti di questi mujaheddin sono rientrati nei rispettivi paesi d’origine e molti altri, invece, sono rimasti in Bosnia dopo aver sposato donne bosniache o per vari (e discutibili) meriti militari. In Bosnia hanno operato principalmente due gruppi di cellule terroristiche, gli iraniani e i cosiddetti “afghani”. Questi ultimi sono così chiamati non per la loro origine, ma per essere parte di quei combattenti islamici (algerini, egiziani, tunisini, iracheni, yemeniti, libici, giordani) che componevano un gruppo di circa diecimila uomini fedeli ad Osama Bin Laden, addestrati dallo Special Air Service britannico (SAS) e finanziati dagli Stati Uniti per combattere contro i russi in Afghanistan. Harakat-ul-Ansar (HUA) è un terzo gruppo di militanti integralisti islamici, strettamente legato alla cellula terroristica di Al Qaeda. L’HUA, fondato in Pakistan nel 1993, ha combattuto in Bosnia ed ora si ritiene che sia coinvolto in numerosi attentati in alcune zone del Caucaso e del Medio Oriente. Bosnia Erzegovina, Kosovo, Albania, Macedonia e Bulgaria si sono rivelati un vero e proprio serbatoio dal quale attingere nuovi volontari, desiderosi di immolarsi in nome del jihad.

Sul web spopola la figura di Lavdrim Muhaxheri, indicato come comandante di una sedicente “brigata balcanica” dei tagliagole dell’Isis, e che avrebbe ai suoi ordini jihadisti da Serbia, Albania, Macedonia, Kosovo, Montenegro e Bosnia. Ciò non è un caso. La crescita dell’islamismo militante nei Balcani occidentali è il risultato di sforzi a lungo termine di persone legate col filo del terrorismo e che hanno radicalizzato frange della popolazione locale. Nel corso degli ultimi decenni, alcuni movimenti islamisti nei paesi dei Balcani occidentali hanno realizzato una infrastruttura capillare, sofisticata, composta da rifugi sicuri in villaggi isolati e nelle moschee controllate da imam radicali. Ma anche una vasta gamma di mezzi elettronici e di stampa online, che si propagano notizie da vari fronti del jihad e propaganda politica.

Lavderim Muhaxheri

Allo stato attuale, sarebbero almeno trentacinque le cellule terroristiche attive nel reclutamento e addestramento fra Serbia, Albania, Macedonia, Kosovo, Montenegro e Bosnia fornirebbero rifugio temporaneo a jihadisti provenienti dai paesi limitrofi che fanno scalo in Albania per poi imbarcarsi su voli per Istanbul con destinazione finale Siria. Quanto al Kosovo, oltre quattrocento kosovari, perlopiù membri della maggioranza albanese, sono sati reclutati dallo Stato Islamico o da fazione qaediste impegnate in particolare in Iraq e Siria. Secondo dati raccolti dall’OCSE e dalla CIA, si contano più di quattrocento kosovari impegnati nella jihad in Siria e Iraq, ma la cifra potrebbe essere ancora più elevata.

Il leader degli albanesi dell’Isis (non solo di provenienza kosovara) è Ridvan Haqifi, imam della Kosovo Islamic Community (KIC), una delle cinque comunità religiose riconosciute dalla legge per la libertà religiosa nel Paese della ex Jugoslavia. Tutte le maggiori città del Kosovo e i relativi centri islamici coinvolti: Prizren, Pristine, Ferizaj, Gjilan, Peje e Mitrovica. Individuate circa sessanta sedi dedite al reclutamento e confiscato esplosivi, armi e munizioni. Furono arrestati allora anche due imam. Fu allora che la polizia locale rese noti i dati secondo cui ben sedici tra tutti i kosovari che operavano nel territorio della Siria e Iraq, erano rimasti uccisi. Due mesi dopo, in ottobre, erano comparse delle scritte all’interno del monastero medievale di Visoki Dečani, tra cui il messaggio “il califfato è in arrivo,” e acronimi dello Stato Islamico . L’Isis offre soldi, non soltanto il martirio, e questo colpisce nel profondo un tessuto sociale dove la soglia di povertà è superata da poche famiglie rispetto alla maggioranza della popolazione. Proprio per questo motivo, la propaganda del califfato ha deciso di interessarsi ai Balcani usando non soltanto motivazioni culturali e storiche, ma anche cercando di offrire risposta al risentimento di molti strati della popolazione che si sentono vittime della politica della Serbia.

Ridvan Haqifi

Secondo l’Agenzia di stampa Srna (Republika Srpska di Bosnia) i volontari bosniaci ricevono un contributo economico di circa tremila marchi convertibili bosniaci (circa millecinquecento euro) da parte di Nusret Imamović leader estremista salafita già accusato di aver organizzato l’attacco terroristico all’Ambasciata degli Stati Uniti di Sarajevo nel 2010. Al termine di questi corsi accelerati, i combattenti si uniscono ad una delle varie organizzazioni jihadiste presenti sul territorio, fra le quali la più gettonata è il Fronte Al-Nusra, gruppo che l’amministrazione Usa ha classificato come terrorista e legato ad Al Qaeda. Ai giovani disoccupati kosovari vengono offerti fra ventimila e trentamila euro per andare a combattere con i jihadisti dell’Isis in Siria e Iraq, ha denunciato il segretario della comunità islamica in Kosovo, Resul Rexhepi. Per quanto concerne il Montenegro, da un rapporto stilato la scorsa estate dai servizi di sicurezza di Podgorica, si evince che sul territorio della giovane repubblica sarebbero presenti diverse centinaia tra agenti e guerriglieri salafiti pronti anch’essi ad entrare in azione al momento più opportuno. E così per l’Italia il pericolo non verrebbe più solo dal Mediterraneo ma anche dalla frontiera di Nord-Est e dall’Adriatico.

Jihad, se deflagra il fronte balcanico ultima modifica: 2017-08-24T09:12:40+02:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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