Aspettando la tempesta

Agosto è, nella storia russa, il mese delle rivolte, delle invasioni "last minute" e dei colpi di stato. Non è ancora finito, dunque massima prudenza. La Storia insegna che, quando si tratta di Russia, per quanto stagnante possa sembrare il quadro politico, vi è sempre un fattore di alta imprevedibilità.
ANNALISA BOTTANI
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I politici sono sempre gli stessi, ovunque.
Promettono di costruire ponti anche quando non vi sono fiumi.
Nikita Krusciov

Agosto è il capo dell’inverno, recita un proverbio popolare. E per la Russia lo è ancora di più: è il mese delle rivolte, delle invasioni last minute e dei colpi di stato. Dall’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 per soffocare la “Primavera di Praga” a quella della Georgia, dalla tragedia del sottomarino Kursk del 2000 ad uno dei momenti più significativi della storia russa: il colpo di stato del 1991. Questo evento ha contribuito non solo alla destituzione di Gorbaciov, ma anche allo sgretolamento dell’Unione Sovietica, come annunciato da Gorbaciov stesso durante il discorso televisivo del 25 dicembre 1991:

Certamente avremmo potuto evitare alcuni errori, e far spesso meglio. Ma sono convinto che prima o poi i nostri sforzi comuni daranno frutto e i nostri popoli vivranno in una società prospera e democratica.

Quella speranza fu, come noto, soffocata. Nel mese di agosto del 1999 Putin fu, infatti, nominato primo ministro e, a seguito dell’appoggio dell’allora presidente Boris Eltsin, confermò la propria volontà di candidarsi alle elezioni presidenziali.

Quello fu l’inizio dell’era di Vladimir Putin.

Secondo l’analista politico Brian Whitmore, per la Russia agosto, che per molti reca con sé una sorta di “maledizione”, è anche il mese dei grandi cambiamenti in grado di porre fine a interi periodi storici e alla nascita di nuovi. Nel 2011 Julia Ioffe, un tempo giornalista al New Yorker, scrisse che ad agosto “i russi attendono la Storia e raramente rimangono delusi.”

Per Whitmore questo mese potrebbe essere il periodo di “quiete prima della tempesta”, anche se il termine “quiete” non è forse il più adatto per descrivere quanto è accaduto solo nel mese di agosto in Russia e nei Paesi limitrofi.

Considerate le tensioni politiche che caratterizzano questa fase in vista delle elezioni del 2018, da mesi è in corso un vero e proprio scontro tra due diverse visioni politiche, quella della democratura di Putin e quella “rivoluzionaria” e anticorruzione di Alexei Navalny. Come abbiamo già ricordato su questa rivista prima dell’estate, si tratta di un braccio di ferro che ha coinvolto moltissimi cittadini scesi in piazza in numerose città della Russia per protestare proprio contro il governo, imponendo al Cremlino una ridefinizione delle proprie strategie politiche finalizzate alla gestione del malcontento e al consolidamento della figura del presidente.

Tutto questo per “vendere” un nuovo futuro agli elettori, alle prese con la crisi economico-finanziaria che, a dispetto delle rassicurazioni di Putin, continua a perdurare. E le nuove sanzioni imposte a fine luglio dall’amministrazione Trump di sicuro non aiutano il Paese, anche se in termini politico-ideologici avvalorano quanto Putin ricorda da sempre al “popolo”: sotto sanzioni la Santa Madre Russia si è sempre rafforzata, riuscendo a superare le avversità e a mostrare il proprio valore.

Per fortuna quella di Navalny non è l’unica voce del dissenso: sempre secondo Whitmore, vi è “un altro mondo russo”, uno composto da cittadini e intellettuali russi che vivono all’estero (il sociologo Igor Eidman, ad esempio, residente in Germania) e altre figure dei media, come Anton Lysenkov, un ex giornalista di Lenta.ru che ha fondato la rivista online Spektr. Senza dimenticare Galina Timchenko, fondatrice di Meduza che ha la propria sede a Riga.

Il mese non è ancora finito, dunque massima prudenza. La Storia insegna che, quando si tratta di Russia, per quanto stagnante possa sembrare il quadro politico, vi è sempre un fattore di alta imprevedibilità. A oggi, tuttavia, sembra che più che di “maledizione” si possa parlare di “pianificazione” di cui non sono, tuttavia, noti i possibili esiti. Ed è qui che potrebbe arrivare la “tempesta”, in termini di politica interna ed estera.

Per giorni sui principali tabloid locali e internazionali e sul sito del governo russo sono state diffuse le immagini di Putin in vacanza, dal primo al 3 agosto, nella Regione di Tyva nel sud della Siberia, accompagnato dal ministro della difesa Sergei K. Shoigu, Viktor Zimin, capo della Repubblica di Khakassia, e Sholban Kara-ool, capo della Repubblica di Tyva.

Un presidente impegnato, tra un’escursione e l’altra, a pescare, cacciare, fare immersioni, snorkeling e raccogliere funghi. Solo il ramoscello infilato da Putin in tasca ha destato la curiosità di molti cittadini, desiderosi di sapere il significato di quel rametto, e della stampa.

Il tutto con il piglio virile che contraddistingue da sempre il suo mandato. Lo dimostrano le foto a torso nudo e gli outfit, sempre diversi, sfoggiati per la stampa. Questo è uno dei tanti volti, come abbiamo scritto su questa rivista a luglio, che Putin ha voluto mostrare ai cittadini: l’uomo forte al comando, il commander-in-chief e l’uomo abile in grado di prendersi cura del suo immenso Impero e delle sue eccellenze.

Tutto questo, però, è strettamente legato ad un altro tipo di volto che Putin vuole “vendere” all’elettorato: quello del Padre della Patria deciso ad essere, nel contempo, “uno di noi”, un uomo del popolo. Un “presidente-specchio” in cui i cittadini possano immedesimarsi e con cui entrare in empatia. In un Paese con una forte diseguaglianza sociale e un tasso elevato di povertà essere “normali”, come ha cercato di dimostrare durante il Q&A (Direct Line) del 15 giugno parlando della propria famiglia, costituisce un valore: un valore necessario, ora più che mai, considerati lo sfarzo e la corruzione denunciati da Navalny nei mesi scorsi.

Superando la ben nota retorica del maschio “alpha”, si ravvede, però, un fil rouge che collega quanto dichiarato e “promesso” durante la trasmissione del 15 giugno e le numerose iniziative che si sono susseguite per tutto il mese. Pur non avendo ancora confermato ufficialmente la propria candidatura, Putin ha voluto far sentire la propria presenza in tutta la Federazione, dalla Russia europea a quella asiatica, incontrando interlocutori istituzionali e figure di punta legate a settori chiave per l’economia, recandosi anche nelle aree i cui cittadini avevano interagito direttamente con il presidente durante il Q&A, portando i suoi saluti ad eventi strategici per consolidare il senso di unità nazionale (ad esempio, il Congresso mondiale dei Tartari svoltosi a Kazan) o incontrando leader funzionali agli scopi del governo (ad esempio, il presidente dell’Armenia Serzh Sargsyan, il segretario di stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu).

Il risultato: “Putin il Risolutore”, capace di trasformarsi da Zar a fixer, per utilizzare un’espressione diffusa negli Stati Uniti.

Lo dimostra la sua agenda di incontri volti a discutere l’avvio e il potenziamento di infrastrutture, di progetti di investimento e di valorizzazione delle eccellenze russe: dall’ambito energetico alla riqualificazione delle abitazioni inagibili, dal settore sanitario alla tutela delle riserve naturali, dal risanamento di aree colpite da incendi o in stato di crisi al settore bancario. Queste sono solo alcune delle tematiche affrontate e delle visite organizzate da Putin durante e dopo le note vacanze in Siberia. Una vera e propria “pre-campagna” elettorale in cui Putin ha cercato di affrontare e risolvere molte delle richieste pervenute durante il Direct Line, come indicato nei comunicati stampa del Cremlino.

L’omaggio al memoriale dei militari che lottarono contro il nazismo

Senza dimenticare la visita forse più strategica in termini geopolitici: il 18 agosto con il primo ministro Dmitry Medvedev si è recato in Crimea: secondo quanto riportato dall’Ansa, dopo aver incontrato genitori e studenti di una scuola di Sebastopoli, ha deposto dei fiori davanti al memoriale dedicato ai militari sovietici della trentacinquesima batteria di difesa costiera che lottarono contro le truppe naziste e ha visitato, tra le altre attività, anche una mostra su Cherson, luogo in cui nel 988 d.C. il Principe Vladimir venne battezzato per poter sposare la sorella dell’imperatore bizantino, Anna Porfirogenita. Tornato a Kiev, Vladimir, cui il Cremlino ha dedicato una statua posta proprio sulla piazza Rossa, ordinò agli abitanti di recarsi sul fiume Dnipro per ricevere il battesimo, introducendo così la religione cristiana tra i suoi sudditi.

Questa “campagna” ovviamente ha visto una copertura massiccia non solo sul sito del Governo e su quelli filogovernativi (vi è anche il video relativo alla sua permanenza in Siberia), ma anche sui social media (punto forte di Navalny), da Twitter a Instagram.

Quindi, dov’è la “possibile” tempesta?

Kirill Serebrennikov, direttore artistico del Gogol Centre

Mentre Putin abbraccia e stringe la mano ai cittadini in piazza, pianifica accordi con i leader, interpreta tutti i ruoli del suo repertorio politico e persegue la sua “youth agenda”, la morsa del regime continua a rafforzarsi. Alcuni degli attivisti coinvolti nelle manifestazioni del 26 marzo, riconosciuti dall’associazione Memorial come prigionieri politici, sono ancora in carcere (ossia, colonie penali, veri e propri campi di detenzione e di lavoro). E il controllo sociale del regime, anche alla luce di quanto sta avvenendo, è in costante aumento. Proprio il 22 agosto è stato incriminato per frode (appropriazione indebita di fondi governativi) e arrestato il regista Kirill Serebrennikov, direttore artistico del Gogol Centre, noto per le sue produzioni satiriche.

Lo stesso Serebrennikov era già stato al centro dell’attenzione dei media lo scorso luglio per il balletto del Bolshoi – diretto da lui e poi cancellato – dedicato a Rudolf Nureyev, per aver violato la legge anti-gay. Immediata la reazione del mondo dell’arte e dello spettacolo che, a seguito dell’arresto, si è unito alle proteste dei cittadini scesi in piazza al grido di “vergogna”, “libertà” e “Kirill”. Il ministro della cultura russo, tuttavia, è convinto, grazie ad una “fonte” fidata, che il regista non sia stato “incastrato”. Per Brian Whitmore questo arresto ricorda molto, con le dovute differenze storiche, quello di Vsevolod Meyerhold, il regista che fu giustiziato nel 1940 da Stalin.

È del 25 agosto, invece, la notizia della morte, avvenuta il 23 dopo il pestaggio subito il 15 agosto, di Ivan Skripnichenko, un attivista che “custodiva” il memoriale – smantellato periodicamente dai servizi municipali e dai sostenitori del Cremlino – dedicato a Boris Nemtsov ucciso nel 2015 sul ponte Bolshoy Moskvoretsky.
Il 26 agosto, invece, migliaia di Russi – in diverse città – sono scesi in piazza per protestare contro la censura su internet e, come previsto, molti attivisti sono già stati arrestati.

In tutto questo, tuttavia, la percentuale di gradimento di Putin resta alta. Permane, però, l’incertezza legata alle nuove “forze” che Navalny ha risvegliato nell’opinione pubblica. Secondo Nataliya Vasilyeva (Associated Press), il consenso per Navalny sta aumentando in aree inaspettate (ad esempio, alcune città di provincia come Vyksa, a trecento chilometri da Mosca). Il target di riferimento di Navalny è costituito prevalentemente da giovani e intellettuali di Mosca e San Pietroburgo, mentre Putin è sostenuto dalla provincia e dalle aree industriali. Anche per questo Navalny ha aperto molti uffici in queste piccole città.

Questo elemento, che Putin vuole minimizzare, non può essere ignorato.
Basti pensare all’impegno profuso dalla macchina della propaganda per “screditare” la sua figura. Secondo quanto riportato da Meduza il 18 agosto, il tabloid filogovernativo Life ha pubblicato le foto delle vacanze di fine luglio di Navalny in Europa, affermando di aver ricevuto il video, attraverso l’app LifeCorr, da un citizen journalist, ossia un “giornalista partecipativo” (una forma di giornalismo che prevede la “partecipazione attiva” dei lettori, grazie ai nuovi media) e promettendo una ricompensa di cinquantamila rubli (circa 840 dollari) per altre foto di Navalny.

Dopo aver ricevuto il video, Life ha pubblicato un pezzo dal titolo “Michelin Escapades: how Navalny vacationed in Rouen”. A filmare Navalny, tuttavia, era stata proprio la moglie dello stesso che nel video chiedeva al marito dove fosse. La risposta di Navalny – “Sto cercando di guadagnare cinquantamila rubli grazie a quei ‘matti’ di Life” – ha generato grande ilarità tra i suoi sostenitori e ha portato nuovi fondi – solo diecimila rubli, non i cinquantamila previsti – alla campagna per le presidenziali di Navalny stesso. Attraverso i social, la propaganda del Cremlino lo ha anche attaccato calcolando il costo del suo viaggio in Francia (e relative spese per vitto e alloggio) e quello dei suoi figli negli Stati Uniti.

Una mossa, quella di Life, volta a sottolineare non solo il tenore di vita di Navalny, ma anche una certa familiarità con l’Occidente e, in particolare, con gli Stati Uniti, con cui i rapporti non sono al momento idilliaci.

Pur sapendo di non poter partecipare alle elezioni del 2018, Navalny va dritto per la sua strada, cercando di “svegliare” il popolo russo da un torpore divenuto ormai letale. Ed è proprio la sua resilienza a dargli la forza per portare avanti la battaglia. Il 17 agosto, in un video postato sul suo blog, ha preso di mira un altro esponente del potere russo: Dmitri Peskov, portavoce del presidente.

Dmitri Peskov con suo figlio Nikolai

Sottolineando il costo della sua Tesla, non menzionata nella sua dichiarazione dei redditi, Navalny ha precisato che la Russia di oggi non è per i russi, malgrado gli studi e l’impegno arduo in ufficio. Perché? “Il successo”, ha proseguito Navalny, “non è per voi, ma per chi è come il proprietario della Tesla.” E per dimostrare il nepotismo ormai imperante nella Russia di oggi Navalny ha mostrato il tenore di vita di uno dei figli di Peskov – Nikolai Choles. Ovviamente altri rampolli conducono una vita così, ma per Navalny è importante evidenziare che essere il figlio di un uomo corrotto (e, in questo caso, un uomo che lavora per lo Stato) in Russia è un lavoro vero e proprio.

Materiale elettorale di Navalny

Choles, residente in Gran Bretagna dal 1999 con la madre, prima moglie di Peskov, e rientrato in Russia tra il 2011 e il 2012, da anni conduce una vita di divertimenti, tra jet privati e auto costose, lusso, mondanità e appartamenti in pieno centro a Mosca. La domanda di Navalny è legittima: da dove prende i soldi per condurre una vita così visto che non ha un lavoro?

“Se siete stanchi di tutto ciò, allora agite e firmate” – ha concluso Navalny – per supportare un candidato deciso a lottare contro questo fenomeno.

Il 22 agosto Leonid Volkov, campaign manager di Navalny, ha rivelato di avere le prove del tentativo della polizia di sequestrare a luglio i materiali elettorali di Navalny. “In qualsiasi altro Paese”, ha dichiarato, “questo sarebbe un evento simile al Watergate”. La prova, pubblicata su Twitter, consiste in un documento firmato dal capo di un ufficio del ministero dell’interno del 4 luglio in cui si chiede espressamente di fermare, con qualsiasi pretesto, i pacchi contenenti il materiale e di informare l’ufficio stesso del ministero.

Ma non è tutto. Il 23 agosto, a Kazan, sarebbe stata arrestata dalla polizia (e poi rilasciata il 25 agosto) Elvira Dmitriyeva, la coordinatrice locale della campagna elettorale di Navalny con l’accusa di aver violato le regole sui raduni in piazza. Il tutto perché avrebbe postato materiale elettorale di Navalny su Internet.

La tempesta più pericolosa, invece, in termini politici è quella che vede Putin impegnato su diversi fronti all’estero.

Certamente i rapporti con gli Stati Uniti non aiutano. Le nuove sanzioni imposte alla Federazione Russa, l’espulsione dei diplomatici americani da parte della Federazione stessa e la sospensione a tempo indeterminato dei servizi di rilascio dei visti (di breve durata) per gli Stati Uniti in tre consolati sul territorio russo a partire dal 23 agosto, esclusa la sede di Mosca i cui servizi saranno attivi dal 1° settembre, determinando tempi molto lunghi per l’ottenimento dei visti, da una parte, potrebbero portare ad un isolamento internazionale della Russia; dall’altra, tuttavia, forniscono a Putin un elemento essenziale in termini elettorali: un nemico da proporre al popolo russo, una distrazione dalla crisi economica che minaccia il Paese.

Code finte all’ambasciata statunitense

I quotidiani filogovernativi proprio in questi giorni hanno postato alcune foto di lunghe code all’ambasciata americana, rivelatesi poi false, diffuse su richiesta del Cremlino per amplificare le tensioni con gli Stati Uniti. Non aiuta neanche la nomina ad ambasciatore negli Stati Uniti di Anatoly Antonov, già nella lista nera dell’Unione europea per la crisi ucraina e del Canada.

E, purtroppo, sono proprio la fallimentare gestione Trump, le profonde divisioni che caratterizzano l’Unione europea, la Brexit e un’instabilità politico-economica che sta interessando il Sistema nel suo complesso a dare a Putin, malgrado tutto, un margine d’azione leggermente più ampio del previsto. Seppur con le dovute (e notevoli) differenze (ideologiche, di scopo etc.), sembra essere in atto una “rivisitazione putiniana” della Dottrina Brežnev che porta il Cremlino a interferire negli affari politici di altri Stati, di aree al centro di controversie internazionali o di Paesi confinanti con la Federazione.

Il caso più eclatante è sicuramente la Crimea, cui si accennava in precedenza. Secondo quanto riportato dall’Ansa il 18 agosto, il ministero degli esteri ucraino considera la visita “come altri cosiddetti viaggi delle autorità russe nelle temporaneamente occupate Repubblica Autonoma di Crimea e città di Sebastopoli una grossolana violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina da parte della Russia”, nonché una dimostrazione di “cinico e aperto disprezzo delle norme generalmente accettate del diritto internazionale”.

A questo si aggiungono le ripetute violazioni degli accordi di Minsk che determinano escalation continue in una guerra che, secondo la versione del Cremlino, non ha mai visto un intervento militare ufficiale da parte della Russia. Proprio il 25 agosto, poco dopo la mezzanotte e alla vigilia dell’inizio dell’anno scolastico (1° settembre), è stata denunciata dall’Ucraina e dai separatisti una nuova violazione del cessate il fuoco, su cui Russia, Francia, Ucraina e Germania avevano trovato, tramite una conference call, un accordo il 22 agosto (cosiddetto “Normandy Four”).

Secondo un reportage di Christopher Miller (Radio Free Europe Radio Liberty), molti volontari, decisi a contribuire alla “causa russa” in Ucraina, al rientro in patria non hanno ricevuto il riconoscimento dovuto agli eroi, ma hanno incontrato solo difficoltà o ricevuto sostegni finanziari elargiti per disabilità, non per meriti militari. “Meno chiederemo per noi stessi, maggior rispetto avrà lo Stato per noi”, continuano a ripetere i veterani.

Proprio il 21 agosto a Minsk, in Bielorussia si è tenuto un incontro a porte chiuse tra Kurt Volker, rappresentante speciale degli USA per l’Ucraina, e l’inviato del presidente russo, Vladislav Surkov, per discutere le relazioni tra Russia e Ucraina. Secondo Surkov, il meeting è stato “utile e costruttivo”.

Il 24 agosto il segretario alla difesa Jim Mattis, il primo capo americano del Pentagono ad aver visitato l’Ucraina in dieci anni, ha ribadito, tuttavia, il proprio sostegno all’Ucraina, accusando la Russia di voler “ridisegnare i confini internazionali con la forza” e ribadendo che l’annessione della Crimea è e resta illegale. Sempre Mattis ha dichiarato che gli Stati Uniti intendono garantire un supporto militare all’Ucraina per aiutarla a difendersi dai Russi.

A provare l’estrema delicatezza della situazione è stata l’esplosione di una bomba, che ha causato tre feriti, proprio il 24 agosto, giorno dedicato alle celebrazioni dell’indipendenza del Paese (1991). Tra l’altro, come sottolineato da Anne Applebaum il 25 agosto sul Washington Post, l’Ucraina ha deciso di rimuovere 1.320 statue di Lenin.

Ma è proprio il concetto di integrità territoriale a non far parte della mentalità di Putin. “Quando perde l’Ucraina, la Russia perde la testa.”, diceva Lenin. Ma, come evidenzia Whitmore, l’indipendenza ucraina distrugge un mito molto caro ai russi, ossia che l’Ucraina è un’appendice della Russia ed è destinata ad essere governata da Mosca.

Lo storico Timothy Snyder, docente a Yale, ritiene che “la storia europea non abbia molto senso senza l’Ucraina”. Tutto questo ricorda che il Paese condivide il proprio percorso storico più con la Polonia, la Lituania, l’Austria, l’Ungheria e la Slovacchia che con la Russia.

“Senza l’Ucraina, la Russia è un Paese; e con l’Ucraina la Russia è un impero”. Sembra un “cliché”, ma è la verità, perché senza l’Ucraina il territorio dell’ex URSS non può realmente essere post-sovietico, in quanto “ogni progetto imperiale russo inizia – e deve includere – l’Ucraina”.

Una verità che Mosca non vuole accettare.

Nelle prime settimane del mese è stata annunciata la chiusura per un giorno al traffico marittimo dello Stretto di Kerch (valido per tutti, escluse le imbarcazioni russe), impedendo, dunque, il collegamento tra il Sud Est dell’Ucraina e l’accesso al Mar Nero. Una decisione presa, secondo il Cremlino, per agevolare la costruzione, avviata nel 2015, del ponte sullo Stretto che consentirebbe di collegare la Crimea alla Russia. Secondo i media russi, tuttavia, la chiusura potrebbe protrarsi anche per più di 3 settimane nei prossimi mesi.

Come ha ricordato Whitmore il 14 agosto, se ciò dovesse accadere, le città ucraine strategiche Mariupol e Berdyansk sarebbero “tagliate fuori dal commercio internazionale, danneggiando pesantemente l’economia ucraina.” La chiusura dello Stretto è essenzialmente “una duplice violazione del diritto internazionale.” Questo gesto è una violazione di un accordo del 2003 tra Mosca e Kiev che consente alle imbarcazioni dei due Paesi di avere libero accesso allo Stretto. L’unico motivo per cui la Russia ha la possibilità di chiudere in maniera unilaterale lo Stretto stesso e di controllare entrambi i lati del passaggio è a causa dell’occupazione della Crimea.

Per Whitmore, si tratta di un chiaro messaggio da parte di Mosca all’Ucraina: “Ciò che è mio è mio e ciò che è tuo è mio.”

Le tensioni con l’Occidente permangono anche in vista delle esercitazioni russo-bielorusse, previste in settembre, “Zapad-2017”, uno dei war games più significativi dalla fine della Guerra Fredda. In apparenza questo evento sembra suggerire una stretta alleanza tra i due Paesi. In realtà l’apparenza inganna.

Proprio in questo periodo, infatti, la Russia ha fatto pressioni sul Governo bielorusso per imporre l’esportazione dei prodotti petroliferi raffinati attraverso i porti russi e non attraverso i Paesi baltici, ossia l’opzione migliore per la Bielorussia, che non ha gradito la “richiesta”, criticando la decisione del Cremlino. In risposta Mosca ha vietato l’importazione di alcuni latticini bielorussi. Secondo quanto riportato dall’agenzia russa Tass, proprio in questi giorni Mosca intende concedere alla Bielorussia un prestito di settecento milioni di dollari per sanare il debito con la Russia stessa, prestito che la Bielorussia dovrà restituire il 15 aprile e il 15 ottobre di ogni anno per dieci anni.

Queste esercitazioni sono, secondo Whitmore, manovre psicologiche. In questi anni la Russia ha cercato di applicare la medesima interazione adottata con la Bielorussia anche a Ucraina e Georgia. Ma la Bielorussia non è un semplice alleato, ma un cliente che cerca di fare leva su alcuni punti strategici per ottenere ciò che vuole, dimostrando, nel contempo, agli Stati confinanti che questa alleanza “disfunzionale” non rappresenta una minaccia e che la Bielorussia non diventerà un avamposto militare russo. All’evento sono stati, infatti, invitati i referenti non solo dell’Ucraina, della Polonia, della Lituania, della Lettonia, dell’Estonia, della Svezia e della Norvegia, ma anche dell’ONU, dell’OCSE, della NATO, della Croce Rossa e altri enti internazionali.

Oggi un altro Paese, definito spesso dai media “il cortile di Putin”, ha accolto il Cremlino: l’Ungheria. Putin è stato ricevuto dal primo ministro Orbán, in occasione dei Campionati mondiali di judo.

Se questo è l’andamento del mese “maledetto”, forse l’inverno russo è più vicino del previsto.

Aspettando la tempesta ultima modifica: 2017-08-28T16:08:13+02:00 da ANNALISA BOTTANI
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