I sei miliardi di Minniti, un bel regalo a due dittatori

Sono i finanziamenti per gli hotspot nei paesi di transito dei migranti e cioè in Ciad e in Niger. Saranno dei veri campi di transito e identificazione, oppure dei luoghi dove internare persone che fuggono dalla guerra e dalla fame? Di certo non serviranno a preservare la "tenuta democratica" del nostro paese ma a rafforzare il potere di notori despoti alla guida di due paesi tra i più poveri dell'Africa.
ANGELO FERRARI
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Sul tema migranti si sta giocando l’intera campagna elettorale italiana. E non poteva essere diversamente, viste le derive razziste, da una parte, e il non sappiamo bene cosa fare, dall’altra, e allora inseguiamo il nemico. Ma ciò che sconcerta ancora di più sono le parole del ministro dell’interno, Marco Minniti, che ha

temuto per la tenuta democratica di fronte a barricate per l’arrivo di migliaia di stranieri, e a sindaci che mi dicevano no… Ho capito che andava governato subito il flusso migratorio e l’abbiamo fatto.

E poi ha aggiunto che per “governare” il flusso “africano” occorre rifarsi alla formula applicata per la rotta dei Balcani: tre più tre miliardi di euro, e il problema è risolto, ma a quale prezzo?

La “tenuta democratica” di un paese è un bene da preservare. Ma, temo, che le parole di Minniti siano un po’ sproporzionate rispetto alla reale portata del fenomeno che, certamente deve essere governato, ma che non può essere messo sul piatto di una campagna elettorale che se lo spolperà senza alcun riguardo dei cittadini italiani e, tanto meno, di quelli stranieri, che finiranno ancora di più sulla graticola. Ma supponiamo che, come dice il ministro dell’interno, sia in ballo la tenuta democratica del paese e quindi, la campagna elettorale rimanga sullo sfondo, occorre fare subito qualcosa. I sei miliardi ipotizzati da Minniti scendono in campo prepotentemente. Ma non solo. Quei soldi servirebbero per finanziare hotspot nei paesi di transito dei migranti e cioè in Ciad e in Niger.

Non a caso il vertice, “riparatore”, di Parigi ha sugellato questa che, da ipotesi, potrebbe diventare a breve realtà. Al tavolo di Parigi sedevano, infatti, il presidente del Ciad, Idriss Deby, e quello del Niger, Mohammadou Issoufou, già protagonista del G7 di Taormina.

Mohammadou Issoufou, il primo a sinistra, e, al suo fianco, Idriss Deby al vertice di Parigi del 28 agosto

Questi due signori sono dei veri e propri dittatori. Deby è al quinto mandato consecutivo e governa il paese dal 1990. L’altro, il nigerino, governa il paese più povero al mondo e teatro di ogni tipo di traffico illegale, dalla droga alle armi, che hanno fatto la fortuna di questo Stato, meglio del suo presidente, quel Issoufou che abbiamo visto sorridente nella foto di gruppo del G7 di Taormina, e che sedeva compreso nel suo ruolo al tavolo di Parigi.

Per farla breve, quei soldi, quei sei miliardi di euro, andranno nelle mani di due dittatori.

La domanda è semplice: quegli hotspot saranno dei veri campi di transito e identificazione, oppure dei luoghi dove internare persone che fuggono dalla guerra e dalla fame? La Turchia insegna. Ma per la “pax democratica”, e un successo elettorale, si può fare questo e altro.

Vale la pena, a tale proposito, riprendere, brevemente, un articolo della prestigiosa rivista Limes, dal titolo “Il miracolo della pax mafiosa del Niger”, a firma di Luca Raineri, per rendersi conto che quel signore che governa il Niger dovrebbe indurre qualsiasi governo democratico a isolarlo. Invece no. Arrivano soldi e ancora soldi, come di recente ha fatto l’Italia con l’accordo firmato dal presidente del consiglio, Paolo Gentiloni, e dal presidente nigerino, stiamo parlando di cinquanta milioni di euro, per rafforzare la frontiera sud della Libia, proprio quella nigerina, nord Niger.

Sono molti, infatti, gli ex leader, noti e meno noti del Movimento dei nigerini per la giustizia, la più significativa fazione della rivolta tuareg, che si trovano alla guida di comuni e regioni del nord del paese, per non parlare di quelli che sono diventati consiglieri speciali del presidente. Non solo. Issoufou, esponente di spicco del Partito nigerino per la democrazia e il socialismo, appena eletto ha immediatamente sconfessato la sua piattaforma programmatica d’impronta progressista, dirottando investimenti e risorse nel comparto della difesa. Attraverso acquisti poco trasparenti e generosi il paese più povero al mondo si è dotato di cacciabombardieri ed elicotteri d’assalto russi e francesi.

Negli anni la spesa per la difesa si è decuplicata. Tutte queste cose sono note alle diplomazie europee. E, nonostante ciò, a Niamey, capitale del Niger, sono stati posizionati i droni americani e francesi per il controllo del Sahara e l’Unione europea ha scelto questo paese come interlocutore privilegiato per la lotta al traffico di migranti. L’Italia ha aperto una sede diplomatica.

E allora non ci s’indigna che sei miliardi di euro finiscano nelle casse di due paesi africani tra i più corrotti al mondo. Ma indigna, ancora di più, che le opinioni pubbliche più illuminate girino la testa dall’altra parte pur di non vedere. La paura dei migranti ha ormai corroso anche il tessuto sano delle nostre società. E non è una questione di buonismo. Si capisce perché la diplomazia europea ha spiegato che la minaccia principale alla sicurezza è rappresentata dai migranti che dal Niger passano per arrivare sulle coste del Mediterraneo. E passa, invece, in secondo piano il fatto che il Niger sia il centro, con in testa il suo presidente, di traffici ben più pericolosi: droga, armi, petrolio, capitali, merci contraffatte, uomini e donne.

Queste cose contano poco, conta di più la “tenuta democratica” di un paese e se a farne le spese sono i poveracci che fuggono dalla guerra e della fame, pazienza. Nelle urne ci sarà qualche voto in più. Con buona pace dei ben pensanti di sinistra. E basta, dunque, con la retorica stucchevole dell’aiutiamoli a casa loro.

I sei miliardi di Minniti, un bel regalo a due dittatori ultima modifica: 2017-08-30T16:54:57+02:00 da ANGELO FERRARI
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