Kim Jong-Un, il leader della Corea del Nord pare essere riuscito a completare, con turbamento sia delle cancellerie dell’Occidente sia, con diversa modalità, d’Oriente, il progetto dei fondatori (nonno e padre) del regime: fare di Pyongyang la capitale di uno stato nucleare.
L’obiettivo della scelta è duplice: garantire la sopravvivenza del regime (probabilmente, se Saddam avesse avuto l’atomica sarebbe ancora al potere); poi, in prospettiva, rendendo poco allettante per gli USA rischiare Washington per Seul, puntare a una riunificazione sotto Pyongyang – cosa difficile ma non impossibile – della penisola coreana.
Tuttavia, guardare solo alle mosse di Kim Jong-Un è un po’ come guardare al dito invece che alla luna che indica. Ovvero, al contesto di conflitto tra Cina e Stati Uniti per l’egemonia geoeconomica quantomeno dell’area del Pacifico.
Infatti, è sotto questo profilo che Pechino ha tutto l’interesse, pur con i molti mal di pancia determinati dall’essere lo stesso Kim Jong-Un assai poco controllabile, a contribuire a tenere in piedi il regime in Corea del Nord; che, se crollasse, porterebbe l’US Army al confine cinese. In altri termini, è certo che, fuori da questa partita commerciale-militare (il controllo delle rotte marittime del Pacifico), la Città Proibita avrebbe minori interessi alla stabilità di Pyongyang.
Non è amore – nelle relazioni internazionali è valuta fuori corso – ciò che lega Pyongyang stessa al Celeste Impero. Anzi, il fatto che l’esperimento della bomba all’idrogeno sia stato messo in campo da Kim Jong-Un, certo conscio di creare imbarazzo al potente vicino nel mentre Pechino ospita, nel nome di una sua proiezione geoeconomica e geopolitica competitiva con gli States, la riunione dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), la dice lunga pure su di una certa freddezza esistente tra le opposte rive del fiume Yalu. Ed è pure probabile che la Città Proibita vorrebbe al potere a Pyongyang una leadership più consona a sé; e che Kim Jong-Un, proprio per evitare di essere troppo esposto ad accordi tra Washington e Pechino, abbia di recente epurato partito, stato ed esercito da componenti maggiormente controllabili da fuori; ma è tutt’altra cosa individuare un possibile scarso gradimento dello stesso Kim Jong-Un presso il Partito comunista cinese (PCC) con la sua ratio a preservare il regime nordcoreano.
A comprendere ciò potrebbe aiutare, riprendendola e parafrasandola, una frase alla moda ai tempi del presidente Clinton: “è la geoeconomia, stupido”. Peraltro una geoeconomia strategica, essendosi qui spostato progressivamente l’asse industriale del pianeta (anche se, guardando tuttora alle catene del valore, molte “teste” di esse sono in Occidente); cui aggiungere che, avendo l’economia bisogno di sicurezza, anche in questo campo c’è competizione Cina/USA. Di qui l’impegno cinese alla costruzione nel Mar della Cina di isole/piattaforme artificiali con sistemi d’arma capaci di tutelare da blocchi navali le proprie rotte commerciali. Pertanto, la “spina” di Pyongyang, impegnando gli USA, è utile.

Manovre navali sudcoreane
Tutto ciò pone un dilemma a Pechino. Perché, se Kim Jong-Un, che è un giocatore razionale ma forse troppo fiducioso dell’impossibilità di reazione statunitense, azzardasse troppo, c’è il rischio di uno sconquasso in Asia pesante anche per il Celeste Impero. Ma, dall’altra parte, pure favorire il crollo del regime nordcoreano è azione carica di incognite.
In primo luogo, come detto, perché consentirebbe al competitore statunitense di liberare risorse militari da impiegare, a sostegno della propria egemonia economica (ad esempio solidificando la rete di rapporti con Vietnam, Australia, ecc.) in Asia. Infine, una Corea riunificata da Seul avrebbe per la Città Proibita un’ulteriore conseguenza negativa: oltreché truppe USA al confine, avervi pure, al posto di uno stato cuscinetto, uno stato avversario.
Insomma, questo per la Cina è veramente un dilemma di estrema difficoltà da risolvere. Inevitabilmente, tutto ciò dà a Kim Jong-Un più ampi margini di manovra. Nella speranza che, per errore o cattiva interpretazione dello schema di reazione statunitense, l’opzione militare resti l’unica sul campo. Nel caso, dove si spingerà l’incendio è la vera incognita.

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