Mentre Luca Zaia e Bobo Maroni preparano i loro referendum fai da te per marcare il territorio in vista degli appuntamenti elettorali dell’anno venturo, si è spenta la discussione sull’iniziativa revisionista del Consiglio regionale pugliese, che ha istituito una “Giornata della memoria” per ricordare le “vittime meridionali dell’unità d’Italia”. Prima – specialmente nelle pagine culturali dei giornali – aveva dato la stura a rigurgiti neoborbonici e a rimasticature neorisorgimentali per verificarne la fondatezza sul piano storico. Ma un Consiglio regionale non è un dipartimento universitario né un’accademia di storia patria: e quindi non è inutile aggiungere qualche considerazione sul piano politico, se non altro per spiegare i motivi di una così ampia convergenza su tesi tanto discutibili.
Nel caso del governatore Emiliano è presto detto: chi affida le proprie ambizioni di leadership soprattutto ad una legittimazione territoriale non poteva farsi scappare l’occasione. Ed anche se da Masaniello a Franceschiello il passo non è breve, per chi è abituato a ben altre acrobazie non è neanche proibitivo. Senza dire che per un magistrato, abituato a giudicare della legalità più che della legittimità, la fedeltà ad una dimensione astratta della Stato fa premio su quella dovuta alle mutevoli forme politiche che esso di volta in volta assume, dalla Repubblica una e indivisibile al Regno delle Due Sicilie.
Data la loro afasia, anche per spiegare la posizione di centrodestra e centrosinistra è inevitabile ricorrere a congetture. Si può pensare ad un maldestro fallo di reazione rispetto alle iniziative referendarie promosse nel Lombardo-Veneto, oppure alla consueta sindrome di Stoccolma che coglie i partiti grandi e piccoli ogni volta che cinque stelle compaiono in cielo. Ma non si può neanche escludere una perversa surrenchère per marcare il territorio fra le diverse fazioni che in Puglia compongono centrodestra e centrosinistra: con Raffaele Fitto travestito da Berlusconi dei poveri e quanti sull’altro versante si apprestano ad organizzare le masse per riportare in parlamento un deputato di Gallipoli.
Del tutto comprensibile, invece, è la posizione dei Cinque stelle: anche se paradossalmente si potrebbe obiettare che l’annessione sabauda venne legittimata con un istituto di democrazia diretta come il plebiscito. Ma evidentemente i grillini se ne intendono più di noi dell’attendibilità di certe consultazioni autogestite. E comunque il dettaglio procedurale non può fare premio sulla sostanza: che anche in questo caso consiste nella critica delle élite, ed in particolare di quella attività peculiarmente elitaria che è la politica.
Ad essa infatti si deve l’unificazione nazionale: il moto di popolo che voleva sollevare Pisacane emozionò solo la spigolatrice di Sapri, e sorte migliore non ebbero le tante insurrezioni promosse da Mazzini. Mentre la stessa spedizione dei Mille non sarebbe arrivata a Marsala se prima non si fosse fermata a Talamone per imbarcare le armi messe cortesemente a disposizione dal conte di Cavour: il quale, coi suoi intrighi e la sua spregiudicatezza, fu sicuramente il principale artefice dell’unità d’Italia.

Giuseppe Schiavone Di Gennaro, soprannominato Sparviero
È questo aspetto, probabilmente, quello che del Risorgimento indispettisce di più i grillini. Tanto più che nel caso si trattò di un’élite di non specchiata virtù: tanto che, in occasione della “Giornata della memoria” che riabiliterà il brigante Schiavone e Carmine Crocco, potrebbe anche essere sottoposta a processo postumo per sanzionarne le condotte penalmente rilevanti. A Vittorio Emanuele, per esempio, almeno una condanna per bigamia non gliela toglierebbe nessuno, così come difficilmente Cavour potrebbe essere assolto dal reato di prossenetismo ai danni della contessa di Castiglione: per non parlare di Mazzini e di Garibaldi, per i cui capi d’imputazione (più “politici”) c’è solo l’imbarazzo della scelta, dall’insurrezione armata contro i poteri dello Stato al terrorismo internazionale.

Carmine Crocco
Comunque il Consiglio regionale pugliese ha stabilito che la Giornata venga celebrata il 13 febbraio, anniversario della resa della fortezza di Gaeta all’esercito piemontese nel 1861. Visto però che siamo in Puglia, sarebbe stato meglio fissare la data al 10 maggio: il giorno in cui, nel 1799, le truppe legittimiste conquistarono la città di Altamura, che aveva aderito alla Repubblica partenopea. E pazienza se, dieci anni dopo la Rivoluzione francese, allora i “cittadini” erano gli assediati, mentre gli assedianti erano lazzari. Si trattava comunque di regnicoli arruolati attraverso un social network dell’epoca – quello della Santa Fede – efficace almeno quanto la “piattaforma Rousseau”: senza dire che il cardinale Ruffo era padrone dell’algoritmo molto più di quanto lo sia ora Casaleggio.

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