Alessandra Sardoni è un volto noto di LaSette e familiare per chi segue la politica. Conduttrice di Omnibus e inviato della redazione politica del Tg La7, è una giornalista molto attenta ai dettagli e una testimone diretta della politica italiana. Sarà ospite al Festival della Politica, dove con Marco Damilano e Claudio Cerasa parlerà del “rebus” elettorale (sabato 9 settembre, ore 17:30 in Piazzetta Pellicani). Al Festival presenterà poi il suo nuovo libro, pubblicato con Rizzoli, “Irresponsabili. Il potere italiano e la pretesa dell’innocenza”(sabato 9 settembre, ore 20:45 in Piazzetta Pellicani). Per l’occasione ytali ha avuto la possibilità di intervistarla.

Alessandra Sardoni
La tragica notte della Diaz, gli esodati, il rapporto tra magistratura e politica, gli eventi che portarono alla caduta di Berlusconi nel 2011. Lei affronta diverse vicende per descrivere le difficoltà italiane con la responsabilità individuale. Può spiegare come si legano le differenti storie che racconta?
Il libro tratta dell’allergia italiana alla responsabilità politica individuale. Ho semplicemente constatato che alla totale affermazione della leadership personale non è corrisposta una maggiore assunzione di responsabilità da parte della classe dirigente. Anzi, si assiste ad un vero e proprio fenomeno di de-responsabilizzazione. Certamente diffuso e non solo italiano. Tuttavia in Italia si verifica in misura maggiore, più frequente e più ampia.
A partire quindi da quest’osservazione ho cercato di raccontare le ragioni di tale fenomeno, attraverso il racconto del “mezzo”. Mi sono quindi soffermata sulle vie di fuga del potere dalla responsabilità, delle vere strategie di elusione messe in atto dalla politica.
Quali sono le vie di fuga che la politica ha messo in atto nelle vicende di cui parla?
Posso farne un rapido elenco. Il consociativismo, ad esempio. La vicenda della Diaz e il consolidamento del potere di De Gennaro negli anni successivi raccontano del patto tra avversari politici, tra destra e sinistra, per tenere al loro posto contemporaneamente il capo della polizia e il ministro dell’interno dell’epoca, Claudio Scajola.
Ancora: la delega alla magistratura. Ne parlo nel caso dei ministri Lupi e Cancellieri, dove racconto del complesso rapporto tra politica e giustizia.
Il governo tecnico è una via di fuga praticata frequentemente in Italia. La ricostruzione delle vicende che hanno portato alla riforma Fornero spiega molto bene che le riforme impopolari, come la riforma delle pensioni, la politica le affida ai governi tecnici.
Infine i vincoli esterni. Il racconto delle dimissioni di Berlusconi nel 2011 come il frutto di un complotto internazionale è un’altra forma di de-responsabilizzazione da parte del potere.

Gianni De Gennaro
Lei dice che i processi di de-responsabilizzazione sono seguiti dalla delega ad altri soggetti differenti dalla politica. A cui seguono i tentativi più o meno forti della politica di riprendere in mano le redini. Non c’è anche una questione di responsabilità del cittadino?
Certo. Se guardiamo alle diverse vie di fuga, alla fine riconosciamo dei meccanismi che fanno parte anche delle nostre vite quotidiane. Anche sul posto di lavoro talvolta fuggiamo la dimensione della responsabilità, cercando di ripartirla con altri. Ovviamente più si ha potere e maggiori sono le responsabilità. E pertanto in questo caso i tentativi di eluderle sono più gravi.
La responsabilità va di pari passo con la capacità di fornire delle risposte ai problemi dei cittadini. Da questo punto di vista che cosa possiamo dire della qualità della democrazia in questo paese?
L’Italia dovrebbe abbandonare il terreno scivoloso della rassegnazione. Un terreno comodo che ognuno di noi, con diversi gradi di responsabilità, ha calcato. “In qualunque altro paese, si sarebbe dimesso”. L’espressione condensa perfettamente la rassegnazione a cui ci siamo abituati. Accompagnata poi da una sorta di fatalismo. E’ una forma di vittimismo, che ci porta a ridurre tutto ad una dimensione antropologica e quasi immutabile.
In effetti è vero che in alcuni casi in altri paesi ci si sarebbe comportati in maniera differente. Però quello che colpisce della frase è l’atteggiamento rinunciatario che essa maschera. Possiamo constatare la maggiore o minore debolezza dei poteri nella società attuale. Tuttavia c’è uno ampio spazio di azione per le leadership nazionali, politiche e non solo, all’insegna della responsabilità. Un buon punto d’inizio potrebbe essere rinunciare ai meccanismi protettivi delle “corporazioni” presenti in questo paese.
Nel rapporto tra politica e magistratura, la stampa ha esercitato spesso un ruolo “incendiario”. Esiste un problema di come la stampa italiana racconta la politica?
Si la stampa in effetti è un punto critico. Anche noi ripercorriamo quel tipo di tecniche di elusione dalle responsabilità. Come ho detto, finché esistono degli elementi corporativi che non sanzionano i propri membri, è difficile combattere il fenomeno della de-responsabilizzazione.
Poi ovviamente questo è un libro sul potere e la politica ovviamente ne ha più di altri. Però non è un libro contro la politica. Per certi versi ho cercato di responsabilizzare il lettore attraverso il racconto di quelle vicende. Ad esempio, il caso degli esodati. Sarebbe stato molto più facile compiacere una lettura negativa della riforma Fornero piuttosto che proporre i numeri e i dati che hanno portato alla decisione che poi è stata presa.

Giulio Tremonti
Quando ricostruisce le vicende che hanno portato alla caduta di Silvio Berlusconi nel 2011, il ritratto che ne esce di Giulio Tremonti è estremamente interessante: molte delle sue idee le troviamo nei discorsi anti-globalizzazione dei movimenti populisti. Questo meccanismo di allontanamento dalle responsabilità ha influito nella crescita del populismo in Italia?
Si assolutamente. Nel caso di Giulio Tremonti è vero che c’è stata in quel periodo una fase di potere ridotto. Chi è tuttavia chiamato a governare dovrebbe evitare letture ex-post degli eventi e l’attribuzione di responsabilità a fattori esterni: è un classico esempio di de-responsabilizzazione. Vede c’è un tema importante che è quello della credibilità dei governi. La credibilità si costruisce nel tempo. L’attribuzione di colpe ad altri mina in realtà quella credibilità e quindi anche la capacità di governare. E peraltro sono elementi tipici dei movimenti populisti.
Poi, amaramente, si constata che queste tesi del complotto vanno oltre il recinto del centrodestra, che allora governava. Si diffonde anche a sinistra, perché il problema del debito rende necessario attribuire le colpe agli altri.
Matteo Renzi in qualche modo è nato in seguito alle “irresponsabilità” della classe dirigente precedente. Oggi Renzi si è “normalizzato”? Che cosa pensa accadrà alle prossime elezioni?
Semplicemente Matteo Renzi si è adattato ad un mutato schema di gioco. Il maggioritario è parte della sua identità, quasi il suo connotato principale. Sconfitto al referendum costituzionale, Renzi accetta lo scivolamento verso un sistema proporzionale. Come se potesse giocare alla stesso modo con il maggioritario e con il proporzionale. Non è così.
Per quanto riguarda le prossime elezioni, sono molto pessimista sul sistema elettorale. Vedo difficile che il Parlamento possa difendere uno schema maggioritario. E la sentenza della Corte Costituzionale d’altra parte non aiuta in quel senso.
Personalmente ritengo che il maggioritario sia lo strumento più adatto all’Italia poiché più responsabilizzante. E penso sia un errore abbandonare l’alternanza anche imperfetta che si è realizzata. Tutti noi sappiamo che cosa hanno fatto al governo Romano Prodi e Silvio Berlusconi e siamo in grado di attribuire loro le responsabilità dei provvedimenti. Nei fatti col proporzionale questa attribuzione di responsabilità non ci sarà.
Piazzetta Pellicani
sabato 9 settembre settembre ore 17:30
Claudio CERASA, Marco DAMILANO, Alessandra SARDONI
Il rebus delle elezioni
Piazzetta Pellicani
sabato 9 settembre settembre ore 20:45
Alessandra SARDONI
Irresponsabili

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