Immigrazione. L’indecente manipolazione delle parole del Papa

Il complesso discorso di Francesco è stato ridotto a una sorta di benedizione rivolta al governo italiano dopo la "svolta" libica. In realtà le riflessioni del pontefice sui migranti sono molto più articolate di quanto si è inteso sintetizzare.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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C’era da scommetterci. Un discorso complesso ridotto a una sorta di endorsement o meglio, vista la provenienza, una benedizione rivolta alla politica sull’immigrazione portata avanti dal governo italiano. In realtà le riflessioni di papa Francesco sui migranti sono molto più articolate di quanto si è inteso sintetizzare. Perché se così non fosse, allora la vera notizia sarebbe che Bergoglio “corregge” se stesso, su quanto aveva affermato nella sua dolente visita ai campi profughi a Lesbo e, per quel che concerne le reiterate critiche all’Europa egoista, quella che erige muri e blinda le frontiere per respingere una umanità sofferente in fuga da guerre e povertà assoluta. Il Papa va letto, ascoltato attentamente, e non interpretato, tanto meno piegato a miserevoli risvolti e tornaconti di politica interna.

Un governo deve gestire questo problema (quello dei migranti, ndr) – afferma Bergoglio – con la virtù propria del governante, cioè la prudenza. Cosa significa? Primo: quanti posti ho. Secondo: non solo ricevere, ma integrare.

Prudenza, esorta il Papa. Il che esercitarla anche nel non dare corpo e anima alla falsa minaccia di una inesistente “invasione” dell’Italia da parte di migranti e rifugiati. Prudenza per Bergoglio significa anche avere il coraggio, e l’onestà intellettuale, di dire la verità. Sui numeri, ad esempio. “Quanti posti ho?”, dovrebbe spiegare l’Italia. Partendo da un dato che, come tale è incontestabile: il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa quanto al rapporto popolazione-rifugiati assorbiti. I numeri non si prestano ad interpretazioni, come i fatti sono a prova di fake news anche nell’epoca della post verità.

Accogliere, annota poi il Pontefice, non è sinonimo di integrazione. È una grande verità. Etica, culturale, politica e non solo semantica. Perché l’accoglienza è afferente a una dimensione “emergenziale”, mentre la sfida dell’integrazione è la grande questione epocale in società, come quelle europee, sempre più multietniche. Ma per non fare una operazione “à la carte” (prendere ciò che più piace del Bergoglio-pensiero) correttezza vuole che si rifletta ci si esprima anche su quanto affermato dal Papa, nel volo che dalla Colombia lo riportava a Roma, sulle condizioni dei migranti che restano in Libia.

Ho l’impressione . testuale di papa Francesco – che il governo italiano stia facendo di tutto, per lavori umanitari, di risolvere anche problemi che non può assumere.

Ora: lungi dal voler fare l’esegesi di ogni parola di Bergoglio, va però rilevato, per verità di vocabolario, che “impressione” non è sinonimo di “certezza”. Perché, ma questo al Papa non è stato chiesto, sarebbe interessante sapere, se non da lui magari dal segretario di Stato vaticano cardinale Parolin, su quali informazioni, e da chi ricevute, il Pontefice si è formata questa “impressione”. Resta il fatto che Bergoglio dice anche altro . Dice, ad esempio, che l’Italia si sta facendo carico di problemi che “non può assumere”. E qui il riferimento, indiretto ma chiarissimo, è all’Europa. Una Europa poco incline alla solidarietà, impermeabile alla condivisione di una seria ed equilibrata politica di ridistribuzione di migranti e rifugiati che sbarcano sulle coste italiane (o greche). Una Europa che invece di integrare, respinge, o ghettizza, preferendo riempire di miliardi (Turchia docet) i “Gendarmi” delle sue frontiere esterne.

Complimenti a Papa Francesco che pratica la vera religione: amare il prossimo

Fin qui si spinge Bergoglio. Il resto è forzatura. Come lo è dividere con l’accetta la società, prim’ancora che la politica, italiana tra “sicuristi” e “buonisti”. “la sicurezza è parola di sinistra”, sostiene il ministro degli Interni, Marco Minniti, la cui biografia politica è tutta interna alla sinistra, a partire dalla militanza nel Pci. Sì, è di sinistra, se la si qualifica, però. Se la si coniuga con la parola “legalità” e la si rafforza affiancandola a “diritti e “doveri” per tutti, accolti, integrati, includenti, con la consapevolezza, tutta da costruire a sinistra, che la cultura, oltre che la pratica, dell’integrazione e ben altra cosa dalla cultura, e dalla pratica, della tolleranza. Si tollera chi si reputa diverso, inferiore, mentre l’integrazione comporta un dialogo tra pari, nel quale le diversità non sono vissute come minaccia ma come ricchezza per la comunità nazionale.

Al tempo stesso, le diversità non vanno intese in modo statico, immodificabile. Vi sono principi universali che vanno oltre le identità religiose professate: il principio di uguaglianza di genere, ad esempio, porta con sé diritti e doveri che in Italia sono sanciti dalla Carta costituzionale, un riferimento ideale e normativo che rappresenta un riferimento che unifica una comunità nazionale. Senza memoria non c’è futuro, ammoniva il premio Nobel. Recentemente scomparso, Elie Wiesel, sopravvissuto ai lager nazisti. Lager. Parola pesante che evoca orrori indicibili. E lager sono quelli nei quali sono costretti a vivere le persone, persone non numeri o “migranti”, che vengono rispedite in Libia. E allora vale la pena ritornare a Bergoglio e a una risposta data al giornalista che gli domandava di Libia:

c’è un problema umanitario, quello che Lei diceva. L’umanità prende coscienza di questi lager, lì? Delle condizioni di cui Lei parlava, nel deserto? Ho visto delle fotografie… Ci sono gli sfruttatori.

Anche il Papa usa quella parola terribile: lager. E allora è doveroso chiedersi chi paga i gestori di quei lager, da chi è formato il personale che li gestisce, e cosa si fa, realmente, perché quei lager siano smantellati e trasformati, realmente, in centri di accoglienza. Una cosa è certa. E a imporli sono i fatti, i numeri: in Europa calano gli sbarchi, in Libia aumentano i lager. Come ricorda l’Avvenire, il giornale della Conferenza episcopale italiana (Cei),  in un lungo reportage.

Stando a fonti locali dell’Organizzazione internazionale dei migranti, sono circa 400mila i profughi “contabilizzati” dalle autorità di Tripoli, ma quelli rimasti imprigionati nel Paese, secondo stime ufficiose confermate anche da fonti di intelligence italiane, sarebbero tra gli 800mila e il milione.

Il reporter Nello Scavo da Zuara, città costiera a sessanta chilometri dal confine tunisino, racconta di

un ammasso indistinto di esseri umani accucciati per terra. Uomini donne e bambini addossati a gruppi di trenta o quaranta per stanza. Ogni vano non supera i cinquanta metri quadri.

Riferisce la storia di Rhoda, “bellissima” quindicenne, violentata da più uomini, per notti di fila, finché non si è uccisa con la lama di un rasoio.

Da qualche settimana, dicono i trafficanti di gasolio, c’è solo gente che entra e nessuno che va via coi gommoni ­– si legge sul quotidiano – Una situazione esplosiva che fa essere gli scafisti ancora più cattivi, forse per il timore di non poter fronteggiare da soli una rivolta di centinaia di persone.

 

I migranti che vengono salvati dalla Guardia costiera libica vengono riportati dalle autorità libiche nei centri di detenzione e non nei centri di accoglienza, che ancora non sono stati realizzati. In questi centri di detenzione le condizioni sono molto complicate, c’è un problema di sovraffollamento, c’è l’assenza di servizi medici, c’è l’assenza di servizi igienico sanitari, ci sono problemi di sicurezza anche per donne e bambini e, di fatto, sono i trafficanti che tengono le persone in detenzione.

Così Barbara Molinario di Unhcr  – l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati – ha risposto nei giorni scorsi alle dichiarazioni del ministro Minniti in merito ai salvataggi dei migranti da parte della Guardia costiera libica e al loro ritorno nel Paese nordafricano.

Ma chi sono “i nuovi schiavi del 2017”? Chi gestisce la tratta dei migranti africani? Quale ruolo gioca la Guarda costiera libica, sulla quale è in corso un’indagine della Corte dell’Aja? Chi garantisce sul rispetto dei diritti umani? Chi racconta quegli abissi di sopraffazione e di dolore? Secondo fonti locali libiche dell’Oim, l’Organizzazione internazionale per i migranti, sono circa 400mila i profughi contati dalle autorità di Tripoli, “ma stime ufficiose fanno oscillare il numero tra gli 800mila e il milione”.

Non solo.

I centri di detenzione sotto il controllo del governo e dei sindaci che hanno firmato l’accordo con l’Italia sono una trentina, con non più di quindicimila persone.

Da qui l’allarme lanciato dal quotidiano dei vescovi italiani. Le denunce erano partite dalle Organizzazioni non governative – Medici senza frontiere, Amnesty International in testa – già prima dell’estate: i centri di detenzione per migranti sono gestiti da milizie irregolari, in combutta con trafficanti che gestiscono le traversate. I porti della tratta hanno un nome – Sabratha, Motred, Zawiya – e raccontano storie di ordinaria sopraffazione. Gironi infernali in cui finisce, tra violenze e soprusi, non solo chi arriva a Tripoli per tentare il salto in Europa, ma anche immigrati che vivono regolarmente da anni in Libia.

Da qui, i dubbi delle Ong sulla possibilità (e opportunità) di stipulare accordi con un Paese diviso in tante parti quante sono le milizie che lo governano e in forte difficoltà a garantire il controllo del territorio, per non parlare dei diritti umani. Violenze di ogni genere, detenzioni illegali, stupri e torture. È quanto denunciano di subire in Libia migranti e rifugiati secondo il nuovo rapporto “L’inferno al di là del mare” che Oxfam con Borderline Sicilia, MEDU (Medici per i Diritti Umani) ha diffuso in occasione del vertice dei ministri degli interni europei di  Tallinn (6 luglio 2017).

L’84 per cento delle persone intervistate ha dichiarato di avere subito trattamenti inumani tra cui violenze brutali e tortura, il 74 per cento ha dichiarato di aver e assistito all’omicidio o alla tortura di un compagno di viaggio, l’80 per cento di aver subito la privazione di acqua e cibo e il 70 per cento di essere stato imprigionato in luoghi di detenzione ufficiali o non ufficiali. I finanziamenti a Paesi di transito come Niger, Mali, Etiopia, Sudan e Ciad, a fronte di una maggiore collaborazione nel controllo delle frontiere e nelle procedure di rimpatrio e espulsione, non chiedono loro di rispettare standard nella tutela dei diritti umani dei migranti – rimarca Oxfam -.

Il rischio è quindi quello di creare così “nuovi inferni” per le persone in fuga da conflitti, abusi, violenze, fame e povertà.

L’accordo stipulato dall’Italia con il cosiddetto Governo di Unità Nazionale libico di Al Sarraj qualora riuscisse a diventare pienamente operativo – rilevava ancora la Ong internazionale – manterrebbe o riporterebbe le persone indietro, in un paese dove regna il caos, con abusi sistematici dei diritti di chi scappa da guerra e povertà e dove i centri per i migranti sono dei veri e propri lager.

Quell’accordo è entrato in vigore e lager sono ancora in funzione. Non basta: sono decine di centri di detenzione non ufficiali, gestiti dalle milizie e inaccessibili anche al ministero dell’Interno libico. E lì le condizioni sono ancora peggiori. Solo a Tripoli ci sono 13 centri di detenzione non ufficiali.

Ho avuto anche la possibilità di parlare con un trafficante che, in riferimento ai migranti, ha parlato di “stoccaggio merci”. In questi centri di detenzione i medici non possono entrare. Chi è malato è destinato a morire. A un ragazzo nigeriano malato di tubercolosi il console del Niger ha chiesto mille dinari libici per i documenti di rimpatrio volontario. Si è intascato i soldi e non si è fatto più vedere,

racconta la giornalista Francesca Mannocchi, autrice per l’Unicef di un documentato video reportage nei lager libici. La verità documentata è che nei centri-lager libici a dettar legge sono i miliziani. Ed è la “legge della sopraffazione”.

Siamo niente. Solo i soldi che avevamo e ci hanno preso. E quelli che si aspettano dalle nostre famiglie per liberarci. Ci danno da mangiare quando vogliono ed è sempre un cibo da schifo che neanche gli animali… E poi insulti, botte. E se sei carina… Pensare che speravo di salvarmi. Di fuggire dalla guerra e dalla miseria che dilaniano il mio Paese. Pensavo di arrivare in paradiso. Sono all’inferno.

È uno dei tanti, infiniti, racconti dell’orrore in cui vivono centinaia di migliaia di migranti africani rinchiusi nei lager libici gestiti da milizie armate che hanno diritto di vita e di morte su questa povera umanità. I numeri dicono che negli ultimi mesi sono diminuiti gli sbarchi in Italia. Ma ciò non significa che i morti siano diminuiti. Tutt’altro.

Perché se è vero che il numero di arrivi sulle coste europee del Mediterraneo si è dimezzato nei mesi di luglio e agosto rispetto al 2016 (da 52.220 si è scesi a 23.301), il numero di morti è rimasto praticamente identico (288 nel 2016 contro i 283 di quest’anno). Con un balzo ad agosto (151 morti nel 2017: nel 2016 furono 62), che contribuisce ad assegnare al Mare Nostrum il triste primato di rotta più pericolosa al mondo.

Dall’inizio dell’anno, a livello globale, 3.741 persone sono morte nel tentativo di emigrare. Di queste, 2.542 sono state inghiottite dal Mediterraneo. Due su tre. Alle quali andrebbero aggiunti gli altri caduti sulla stessa rotta: 281 nei Paesi nordafricani, 147 nell’Africa Subsahariana e 156 nel Corno d’Africa.

Queste le cifre accertate dall’Oim, L’Organizzazione internazionale per le migrazioni, ma in realtà potrebbero essere molti di più.   Perché la sabbia del deserto libico sta nascondendo, e lo farà sempre di più, nascondere centinaia e centinaia di cadaveri, ma lontano dai nostri occhi, dalla nostra paura e rabbia e dalla nostra già debole consapevolezza.

Il Papa ha dato voce a questa indicibile sofferenza e ha condannato i silenzi e l’inerzia complici dell’Europa. Ma su questo si preferisce glissare.

 

Immigrazione. L’indecente manipolazione delle parole del Papa ultima modifica: 2017-09-12T17:44:51+02:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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