Kosovo, il grande inciucio. Con dentro pure i serbi

A Pristina nasce un governo guidato da Haradinaj, ex comandante Uck, appoggiato perfino dai serbi, ma tutti aspettano di vedere cosa succederà
GIUSEPPE ZACCARIA
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A Pristina la frase più adoperata delle ultime ore è stata “senso di responsabilità”. È per responsabilità che Ramush Haradinaj, già leader della guerriglia albanese e considerato dalla Serbia come un criminale di guerra, ha accolto l’invito del presidente Hashim Thaçi (sospetto criminale anch’egli) a guidare il nuovo governo del Kosovo. E, sempre per responsabilità, il miliardario con passaporto svizzero Behgjet Pacolli, da tutti considerato filo russo, ha messo i suoi cinque deputati a sostegno della maggioranza. E naturalmente, è sempre la responsabilità ad avere convinto il partito regionale dei serbi a entrare nella maggioranza, nonostante l’ incompatibilità evidente.

Comunque la si voglia vedere, dopo l’ennesima crisi e i soliti lunghi mesi di tensione e trattative, la repubblica più giovane e precaria d’Europa da ieri ha un nuovo esecutivo che però, anzichè profumare di grande coalizione, ha in sentore della grande e provvisoria ammucchiata . Si naviga a vista e per il momento nessuno vuole parlare del prossimo futuro, ma le scelte che si profilano non riguardano per nulla le grandi emergenze che hanno richiamato le forze politiche alla “responsabilità” (una crisi economica che non sembra contrastabile, la corruzione istituzionalizzata, la disoccupazione endemica) oltre a un’emigrazione che sembra sul punto di riesplodere.

Ramush Haradinaj

Quest’ultimo fenomeno è il più preoccupante: due anni fa, prima che l’Europa dovesse fronteggiare altre ondate migratorie, quasi centomila kosovari, su una popolazione di un milione e 800mila cercarono di trovare asilo in Germania, tranne a essere rimandati indietro su pullman e charter appositamente noleggiati dal governo di Frau Merkel, allora scarsamente aperturista. Adesso a Pristina la polizia è intervenuta per bloccare la stazione degli autobus, visto che le partenze stavano riprendendo in maniera massiccia.

Tutti questi problemi sono veri, e drammatici, ma non si creda per un solo momento che siano stati alla base della coalizione. No: albanesi e serbi, filorussi e nazionalisti pensano soltanto a quel che deve accadere, ossia alla revisione della Costituzione serba annunciata dal presidente Aleksandar Vučić ed alla possibile nascita di un esercito del Kosovo. Insomma, comunque andrà a finire, per la regione che si è proclamata indipendente e a tutt’oggi è rinosciuta solo dalla metà dei Paesi del mondo con alcune assenze importanti (Russia, Cina, Spagna, Vaticano e molti altri) si profila un cambio di prospettiva quasi epocale. Ed è per questo che in attesa degli eventi tutti cercano di mantenere una fetta di potere.

La prospettiva è talmente chiara che posizioni e commenti del momento ricordano quelle battute che nelle vecchie telenovelas servivano a prendere tempo: l’Unione europea, naturalmente, si rallegra e per bocca della portavoce Maja Kocijančič dice che il nuovo governo di Pristina sarà importante “per assicurare un passo in avanti nel dialogo con Belgrado”, Haradinaj promette “collaborazione sempre più stretta con Nato, Onu e Unione europea”, da Belgrado Vučić ripete che “la Serbia non cambia opinione su Haradinaj ma la decisione di entrare nel governo spettava ai serbi del Kosovo”.

In questo valzer di frasi fatte le sole opinioni sincere sono state quelle espresse da Albin Kurti, leader della destra nazionalista albanese („questo è il governo più debole dai tempi della guerra“) e di Zëri, quotidiano di Pristina, il quale scrive che “è nato un governo di famiglia”, vista la messe di parenti che tutti hanno collocato nei posti più appetibili. Se Pacolli porta con sè il cugino Islam, Thaçi piazza il nipote Evgenij e nel Parlamento compare perfino Teuta, figlia dell’ex presidente Rugova. Tutti intorno al tavolo, insomma, nella quasi certezza che le prossime decisioni faranno saltare tutti i giochi.

Infatti, è dall’ultima riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che si è capito come le prospettive politiche del Kosovo stiano per cambiare radicalmente, e non per suoi meriti quanto per stanchezza della cosiddetta comunità internazionale. Se non è ancora chiaro come si pensi di dare vita a un’amministrazione decente, si è capito però che a vent’anni dall’intervento internazionale si comincia a parlare di ritiro delle forze dell’Unmik, e nello stesso tempo della nascita di un’Armata kosovara che non sarebbe molto temibile (si parla di quindici-ventimila soldati) ma certo contribuirebbe a destabilizzare ancora la regione.

Quel che intanto potrebbe accadere a Belgrado è ancora più difficile da capire: quando Vučić parla di “revisione della Costituzione” sembra riferirsi soprattutto al preambolo che definisce il Kosovo una regione della Serbia chiudendo la strada a qualsiasi riconoscimento. Far digerire ai serbi un cambiamento del genere appare molto problematico, forse bisognerebbe mettere sull’altro piatto della bilancia una serie di finanziamenti e favori di cui però al momento Belgrado non gode.

Albin Kurti

Sono queste le ragioni per cui il nuovo governo kosovaro, nonostante goda dell’appoggio di quasi tutti, sembra anche il più debole di quanti finora si sono succeduti alla guida del Paese. Il solo a rimanerne orgogliosamente fuori è proprio Albin Kurti con il suo “movimento di autodeterminazione”, che continua a portare avanti un progetto di unificazione con l’Albania e, chissà, magari anche con le minoranze albanesi in Montenegro e nella Serbia del Sud, e secondo numerosi osservatori l’uomo che uscirà rafforzato dal fallimento di questo esecutivo sarà proprio lui.

Nel sottofondo intanto continua a ribollire la protesta dei cittadini, che negli ultimi vent’anni hanno mangiato soltanto orgoglio nazionale . Se finora si erano limitati a prendere il pullman per tentare di andarsene adesso non possono più raggiungere neanche la Serbia, l’ultima mossa della polizia è stata quella di bloccare perfino gli autobus Pristina- Belgrado, e Kurti non si è lasciata scappare l’occasione di fomentare ancora il malcontento: “Questo governo pensa a tutto tranne che ai bisogni dei cittadini, è giunto il tempo di ribellarsi”, continua a martellare. E non è difficile immaginare che presto molti gli daranno ascolto.

Kosovo, il grande inciucio. Con dentro pure i serbi ultima modifica: 2017-09-12T11:48:54+02:00 da GIUSEPPE ZACCARIA
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