C’era una volta…
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Carlo Collodi, “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino”.
Pinocchio, possiamo interpretarlo in tanti modi e vederlo da tante angolature, ma di questa creatura ha sempre soprattutto colpito il materiale di cui è fatto, tale da rendere credibile – essendo naturale – la sua trasformazione in essere umano. Più credibile e affascinante che i robot metallici dell’algida fantascienza, che sempre macchine rimangono, anche quando superano in intelligenza l’uomo. Che una creatura di legno continui a essere tra i personaggi più popolari anche del mondo contemporaneo – ben oltre il territorio delle fiabe e della finzione – dice molto della creatività insita nella materia prima di cui è fatto, la più versatile, la più vitale, la più durevole, la più eclettica, la più consistente e al tempo stesso flessibile e perfino malleabile che ci offra la natura. E ci parla anche – il legno – della sua capacità di trasmettere ovunque, a tutti e a chiunque, il senso della sua generosa vicinanza di essere vivente all’essere umano. Commentando “Pinocchio”, Benedetto Croce scrive che “il legno, in cui è tagliato Pinocchio, è l’umanità”.
La marionetta di Collodi rappresenta l’Italia dei suoi vizi, riflette l’indole italiana, eppure è un personaggio universale. E le virtù italiche? Sono ben presenti nel capolavoro di Collodi. In Geppetto, falegname umile e straordinario. Emblema ante litteram del made in Italy, ai massimi livelli, essendo capace di infondere la vita a “un semplice pezzo da catasta”.
Già, non è per nulla casuale che una storia così s’intrecci con un materiale come il legno e con uno dei mestieri più nobili e più considerati della nostra tradizione artigianale. E oggi? Non fosse stato scritto allora, ci sarebbe uno scrittore, un artista che s’ispiri a quel materiale e a quel mestiere per immaginare una storia altrettanto significativa?
Quel materiale e il mondo di professionisti e lavoratori che lo manipola e lo lavora non solo esistono ancora, nell’era dell’artificiale e dell’immateriale. Sono più vitali che mai. Ma sono poco e solo occasionalmente rappresentati e raccontati.
Il legno, in tutte le sue innumerevoli e affascinanti declinazioni, è una grande risorsa del nostro paese, e l’incredibile varietà di mestieri che hanno a che fare con esso – non solo i moderni Geppetto – è una ricchezza professionale, un saper fare, che nessun altro paese può vantare ai nostri livelli.
Un tronco con innumerevoli rami
L’universo del legno in Italia – oggi si dice filiera – è un mosaico di tante vicende imprenditoriali – piccole, medie e grandi aziende – che non racchiude la storia solo di un settore trainante – peraltro variegatissimo – della nostra economia, ma è l’insieme di tante storie. Di passioni, rischi, inventiva, intelligenza e creatività. Storie di famiglie, di generazioni, di vecchi e di giovani, uomini e donne. Storie condite di un po’ di pazzia. La sana pazzia, nell’affrontare, spesso in solitudine, le sfide che pone oggi al made in Italy la competizione su scala globale.
La filiera italiana ha da tempo e mantiene livelli molto alti, riconosciuti, di qualità di prodotto. Ma nel mondo, e nell’Italia stessa, non è raccontata, non è fatta conoscere, come merita e come richiede la sua presenza nel mercato internazionale. Sarà pure – il made in Italy – il terzo o quarto marchio più conosciuto al mondo, ma un buon brand va sostenuto da un’adeguata, costante e sempre più intensa narrazione, altrimenti serve a ben poco. Per questo ci vuole ancora un lavoro di comunicazione, vieppiù intenso e diffuso, un lavoro che però sarebbe vano se di conserva non ci fosse un significativo rafforzamento dell’interazione e della collaborazione tra imprese, oggi ancora troppo atomizzate e, in tante, animate da rivalità reciproche paralizzanti.
In una casa francese
Se entrate in una casa francese, di una famiglia di medio-alte possibilità, troverete che una buona parte dell’arredamento – mobili, illuminazione, accessori – è di fabbricazione italiana. La Francia è un mercato importante. Come importanti sono gli Stati Uniti, la Russia (ma le sanzioni pesano), la Cina e il Golfo. E sì, il settore del legno e dell’arredo, nelle sue varie e diverse categorie, va forte grazie soprattutto all’esportazione, ma potrebbe andare ancora molto meglio, se non fosse per l’alta variabilità del clima politico sul pianeta, che impone frequenti ricalibrature di strategia. E se non fosse per la fatica a fare squadra – a essere lobby, si direbbe oggi – e a essere così anche più sostenuti dalla politica, a livello nazionale come a livello locale.
Fare squadra. Fare rete. Per un settore che conta 79mila le aziende, non è facile. Ma l’attuale gruppo dirigente di FederlegnoArredo, guidato dal modenese Emanuele Orsini, si sta dando molto da fare perché la filiera diventi una comunità capace di autorganizzarsi adeguatamente e di farsi ascoltare in rapporto alla sua notevole forza, visto che il settore impiega più di 320mila persone, produce un giro d’affari che nel 2016 ha superato i 41 miliardi di euro. Senza contare l’indotto. Ed è in crescita costante, con le esportazioni che hanno toccato in questi mesi dell’anno in corso il più cinque per cento rispetto al 2016. Tutto questo equivale al sette per cento del valore complessivo delle esportazioni italiane.
Se indaghiamo sulla “chimica” del brand, il made in Italy è innanzitutto un mix di cibo, moda e arredamento, ma la sua rinomanza non interessa e consolida solo questi settori. Si riverbera su tutti i rami della produzione italiana e ne facilita l’export. Il legno/arredo può rivendicare questo ruolo di traino anche d’immagine per tutto il complesso delle esportazioni italiane.
E il mercato domestico? C’è una tendenza alla crescita interessante, legata però alle misure di sostegno introdotte dal governo, come il bonus mobili a partire dal 2013, capace di ampliare la fascia dei consumatori per il comparto. Ovvio l’interesse che esse siano preservate, ma per quanto tempo ancora? I leader di FederlegnoArredo, come tutti gli imprenditori, e non solo loro, non hanno la più pallida idea di che cosa succederà nella prossima legislatura (e questo è un altro problema fondamentale – l’incertezza e l’instabilità italica – forse il più rilevante, per chi fa impresa e deve un minimo programmare il futuro).
Le regioni del legno
Sono quattro le regioni, per fatturato, in cima alla filiera: Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Marche. La Lombardia ha più aziende, 57.800), segue il Veneto che è primo per numero di addetti: 49mila lavoratori. Ed è primo – il Veneto – per il fatturato del solo comparto arredamento. Ci sono poi Friuli Venezia Giulia e Marche, ma è rilevante, nel sud, il caso della Puglia, con 3.300 aziende.
Sono per lo più piccole e piccolissime realtà industriali, con importanti specializzazioni da salvaguardare. E molte, pur con le loro scarse risorse finanziarie, sono interessate e dedite all’innovazione e alla ricerca. Anche per mantenere elevato il livello che contraddistingue la nostra produzione, incalzata dagli scandinavi, da sempre i principali concorrenti in quanto a design e qualità, e per non scadere nella produzione più “commerciale”, dove i cinesi la fanno da padroni, e non avrebbe alcun senso competere con loro sul terreno del cheap. Ikea? Al suo apparire in Italia, fu lo scompiglio. Adesso il trenta per cento dei suoi prodotti è italiano. Un compromesso accettabile ma che indubbiamente, a lungo andare, offuscherebbe e deprimerebbe l’immagine della produzione tricolore, se essa non ampliasse il suo mercato “in proprio” e non mantenesse sempre più alta la sua qualità.
Case, sedie, mobili. E bici
A Bibione, la Carrer produce biciclette con un telaio artigianale in legno, completamente made in Italy, grande performance in termini di resistenza, comfort, durata, un capolavoro di design e abilità manifatturiera.
A Monastier di Treviso, Arper fabbrica sedie dal design impeccabile e unico. Oggetti di splendida ed essenziale eleganza.
A Porto Viro, Rovigo, Zennaro Legnami costruisce edifici in legno avveniristici, anche case “passive”, il top della tecnologia in un rapporto virtuoso edilizia-ambiente.
Solo solo tre esempi, tra i tanti possibili, della varietà di imprese nel Veneto, ottomila, impegnate in prodotti legati al legno e all’arredo (a suo volta un settore “plurale”, con la presenza anche di imprese produttrici di apparecchi d’illuminazione, di aziende produttrici di arredamento a articoli per bagno, di aziende produttrici di mobili per ufficio ecc). Con diverse eccellenze e primati. Il settore, in Veneto, con in testa la provincia di Treviso, esporta il 54 per cento del suo fatturato.
Boschi, foreste ed economia circolare
Bici, sedie, case. Arredo. Legno significa anche pannelli, compensati, listellari e semilavorati. Prodotti per l’edilizia e l’arredo urbano. Imballaggi, pallet, sughero. Cofani e accessori funebri. Cassette di legno per la frutta. Legna da ardere. Legno in gran parte importato: l’ottanta per cento. E dire che il trenta per cento del territorio italiano è bosco. Ma sappiamo a che serve: ad alimentare terribili, indomabili falò estivi. Per poi ripiantare boschi o cambiarne l’uso. Una perversione ecologica ed economica.
Osserva Orsini:
Un bosco curato è un bosco più sicuro che può inoltre diventare fonte di reddito in un Paese come l’Italia, storicamente povero di materia prime, che si troverebbe una miniera verde di circa undici milioni di ettari la cui gestione porterebbe a circa 280.000 nuovi posti di lavoro. Ma occorre una legislazione al passo con i tempi, che veda nelle foreste un patrimonio da tutelare e valorizzare economicamente al tempo stesso.
Anche questa è parte dell’economia circolare di cui tanto si parla. Investire sui boschi e sulle foreste italiane.
Il legno è naturalmente una materia prima green, e può essere il perno di un’economia circolare. Infatti, più d’altri materiali, il prodotto legno può essere concepito non come un bene il cui fine esclusivo è la vendita, ma pianificandone riutilizzo al termine del suo naturale ciclo di consumo. Non solo riciclo tradizionale: si possono pianificare, sin dalla fase di design iniziale del prodotto, le modalità di riutilizzo più efficaci ed efficienti delle componenti, per rendere il rifiuto nuovamente una risorsa, sia essa poi utilizzata in azienda o venduta a terzi.
Su questo piano si muove già da tempo l’industria del legno/arredo. Ed è un ulteriore segno distintivo del made in Italy.
Se le cose continueranno ad andare come sono andate nell’ultimo paio d’anni, oltre a un consistente turn over generazionale, ci sarà anche ulteriore occupazione nei prossimi anni. Si parla di 31.000 nuovi occupati che andrebbero a sostituire 27.000 in uscita, con una saldo positivo, dunque, di quattromila posti in più. Molti dei quali qualificati. Non solo figure tecniche ma anche manageriali e organizzative. È del luglio scorso la presentazione a Treviso di un master per giovani laureati dedicato alla gestione e alla valorizzazione del made in Italy.
“I santi di legno scolpito hanno certo fatto più per il mondo che quelli in carne e ossa”, ha scritto il fisico e scrittore Georg Christoph Lichtenberg. C’è qualcosa di umanamente miracoloso nell’operosità ingegnosa di queste imprese italiane e nella loro capacità a tenere botta, incaponendosi nella qualità e nel rigore produttivo, in un mondo che sembra premiare chi va nella direzione opposta.
LE IMMAGINI SONO TRATTE DAL SITO carrerbikes

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